Trenta minuti per una sentenza di morte

2010-10-22

La vicenda descritta nelle righe seguenti è avvenuta nel modenese, terra governata dal partito (lo stesso, a parte gli svariati cambi di nome) che più ha pesato nell’approvazione della legge 194/78 che legalizza e finanzia l’aborto. E, che, come anche in questo caso è avvenuto, lo incentiva e favorisce. Come ben sa chi opera per la difesa della vita, infatti, questo è tutt’altro che un caso isolato...


17-10-2010


«Ero disperata, ho abortito mio figlio
Mi hanno solo fatto firmare dei fogli»


«OGGI potrei vedere il volto del mio bambino. Guardarlo negli occhi e baciarlo. Come faccio con gli altri due. Perché non mi è stato detto che qualcuno poteva aiutarmi? Perché mi hanno lasciato abortire?»
Mary Jane Emenwe, 30 anni, nazionalità nigeriana, ripete la domanda da un anno, da quando ha abortito. «Perché al Consultorio dell’Ausl non mi è stato detto che qualcuno poteva aiutare la mia famiglia a sfamare anche una terza bocca? Poche parole sarebbero bastate per salvare me, dalla tortura di quella ferita, e il mio bambino. Se ho deciso di raccontare la mia storia è perché spero che altre mamme non siano costrette a fare quello che ho fatto io».
Dopo quell’evento, Mary Jane sogna spesso i bambini. L’altra notte ha sognato che l’amica Emmanuela stava partorendo due gemellini, un maschio e una femmina. Lei, la futura mamma, è scoppiata in una sonora risata perché il sogno, a giorni, diventa realtà. Forse Mary Jane sogna anche il suo piccolo. Ne intravvede il volto sfumato. Il dolore dell’aborto è grande. Quando e se lentamente diminuirà allora non avrà più bisogno di cercare risposte. Oggi invece sì. Tutto è cominciato un anno fa, quando Mary Jane si è accorta di essere incinta. «Non potevamo tenere il piccolo — racconta — Il primo impulso è stato di abortire, ma oggi se tornassi indietro non lo rifarei per nulla al mondo. Mio marito mi diceva che non saremmo mai riusciti a tirare avanti. La paura di non farcela era tanta». Mary Jane allora bussa alla porta di un Consultorio dell’Ausl della Bassa modenese.
«Se ripenso al colloquio, l’operatrice non ha fatto nulla per dissuadermi. Forse non era la persona giusta. Ricordo di aver spiegato che non avevamo mezzi e che quindi dovevo abortire. Lei non ha detto nulla, ma ha cominciato a compilare fogli su fogli».
Il colloquio con l’operatrice sanitaria è durato poco meno di una trentina di minuti. Utili per la chiacchierata introduttiva; le motivazioni dell’aborto; le generalità. Come in un ufficio notarile quando la pratica è veloce. «Perché non mi ha detto che in tante regioni italiane e proprio qui, dove abito, c’era un Centro di Accoglienza alla Vita che poteva aiutarmi, come sta facendo ora che sono incinta di due mesi »?

QUEL GIORNO Mary Jane esce dal Consultorio con un foglio: il certificato per abortire, con luogo e data fissata. «Sul foglio — spiega — era scritto il giorno e l’ora in cui sarei dovuta recarmi al Policlinico, a Modena. Così ho fatto. Dopo le analisi, i prelievi, l’ecografia poi — sillaba a fatica — l’aborto». Solo mesi dopo Mary Jane bussando alla porta della Croce Rossa di Finale Emilia per chiedere indumenti per i suoi due bambini viene a contatto con una drammatica verità. La volontaria l’invita a rivolgersi al Centro Aiuti alla Vita, che le darà il necessario per lei e la sua famiglia. «Quando sono arrivata qua, due mesi fa, ero già incinta. Qui ho incontrato donne di altre nazionalità, soprattutto marocchine e italiane, e proprio da loro ho saputo che potevo evitare l’aborto soltanto se al Consultorio mi avessero dato questo indirizzo, anzichè quello del Policlinico».


Ritiro post-aborto a Bologna, 5-7 novembre 2010

2010-10-08

Il ritiro è organizzato dalla Vigna di Rachele. Più informazioni qui.