22 weeks

2010-12-11

Una tragica storia, significativa della barbarie a cui ha portato l’aborto legalizzato.

Lo staff di una clinica per aborti
ignora un bambino nato vivo?
Una donna supplica aiuto per ‘Rowan’
dopo aver partorito il figlio in un bagno della clinica

Di Ron Strom
© 2010 WorldNetDaily.com

Una donna che doveva interrompere la sua gravidanza di 22 settimane presso una clinica per aborti della Florida, ha invece partorito un bambino vivo in una toilette e dice che le sue richieste d’aiuto al personale medico non sono state considerate, anche quando un dipendente ha visto che il piccolo bambino si stava muovendo.
La madre Angele, che ha chiesto che non venga usato il suo cognome, sta ora pensando di intentare un’azione legale contro la clinica. Viene assistita dal Liberty Counsel, una onlus legale pro-life e per la libertà religiosa.
La donna aveva scelto la clinica EPOC dell’Orlando Women’s Center di Orlando, in Florida, perché i dipendenti l’avevano convinta che il suo bambino non avrebbe provato dolore durante la procedura e perché “il personale sembrava premuroso”, ha detto Angele a WorldNetDaily.
WND ha ottenuto il racconto scritto di Angele in cui descrive i due giorni, 1° e 2 aprile, in cui è andata alla clinica dopo avere viaggiato dal suo stato alla Florida.
«Ho avuto un colloquio con una giovane donna di colore carina e piccolina che ha un bambino piccolo» ha scritto Angele della sua prima visita. «Il suo nome comincia con L. Non ricordo il nome completo. Spiegò il processo dell’inserzione della laminaria. Le feci altre domande: avrebbero iniettato una soluzione salina o urea nel sacco amniotico? Ero preoccupata che potesse causare dolore al bambino perché in genere (da quello che ho letto) brucia la pelle e i polmoni. Ho espresso la mia preoccupazione che il bambino non soffrisse o sentisse nulla».
Lo scopo dell’inserzione della laminaria è dilatare la cervice durante la notte in preparazione all’aborto. Angele ha spiegato che aveva scelto la procedura ‘travaglio e parto’ per abortire, «come opposta all’aborto a nascita parziale o al dovere smembrare il bambino per rimuoverlo dall’utero e dal canale del parto».
Angele, che è sulla trentina, dice che le fu dato del Valium «per rilassarmi per l’inserzione di laminaria».
«L’iniezione bruciò molto… il disagio mi distraeva. Sentivo ancora la laminaria mentre mi veniva inserita. Il dott. Perper mi disse di rilassare i miei muscoli e notò che la mia cervice era leggermente morbida. Gli chiesi che cosa volesse dire e mi disse che era una cosa buona».
La digossina è una sostanza chimica che viene iniettata nel bambino per fermare il suo cuore in preparazione a ciò che sarà la nascita di un bambino morto. Angele dice che, pur avendola chiesta, non le fecero l’iniezione di digossina, cosa che lei ipotizza abbia causato la nascita del bambino vivo.
Riferendosi all’iniezione di digossina, Angele ha detto a WND: «Non la fecero».
Dice di aver sentito di sfuggita il personale parlare di “dig-garla” – iniettarle la digossina – ma, dopo avere inizialmente fatto un’ecografia ed aver rapidamente portato la macchina in un’altra stanza, il personale, lei dice, non riuscì a riportarlo nella sua stanza. L’ecografo viene usato per guidare l’ago nel cuore del nascituro.
Una parte della preoccupazione di Angele prima di andare in Florida era che il bambino nascesse vivo, e lei aveva chiesto in precedenza al personale della clinica come si risolvesse questo problema.
«Volevo che fosse il più possibile umano e indolore per mio figlio», ha detto, soffocando le lacrime. «Mi dissero che avrebbero guidato un ago direttamente nel suo cuore che lo avrebbe fatto dormire, e non avrebbe sentito niente».
Il dottor Harry Perper è il medico che inserì la laminaria, un uomo che Angele ha descritto come “un tipo di persona dai movimenti veloci, iperattiva”.
Angele dice che lo staff le diede qualche farmaco da prendere presto la mattina dopo e le disse di tornare il giorno dopo.
Scrive Angele: “La mia amica ed io tornammo in taxi all’hotel. Ci siamo riposate un po’, ci siamo cambiate e siamo andate a cenare in un ristorante vicino. Quella notte, per tutta la notte sentivo il bambino che si muoveva ancora. Dissi alla mia amica che questo mi preoccupava. Ricordo di aver pensato che ci voleva tempo per rallentare e fermare il suo cuore. Ero ancora un po’ intontita dalla medicina e pensai che mi dovevo essere sbagliata riguardo a come la digossina dovrebbe funzionare. Si stava ancora muovendo quando andai a dormire. Ero preoccupata e stavo per chiamare il servizio notturno ma ci ripensai ancora.

Nella ‘sala parto’

Il giorno dopo – dice Angele – lei prese tre pillole, che dovevano indurre il travaglio, alle 5 del mattino ed un’altra alle 8, prima di arrivare alla clinica poco prima delle 9.
«Ho aspettato fuori, con i crampi e piangendo, che la clinica aprisse.» ha spiegato Angele. «Le mie contrazioni erano vicine. Le avevo da ore. Bussai ripetutamente ala porta. C’era un camion bordeaux nel parcheggio. Dopo 10-15 minuti Debbie aprì la porta e mi fece entrare.
Fui guidata verso ‘la stanza’. C’ero stata un momento il giorno prima e pensavo che fosse una sala d’aspetto per la famiglia e i compagni di guida. Aveva un divano di pelle ed uno di stoffa, entrambi con una coperta bianca stesa sui cuscini, un piccolo televisore ed alcune riviste.
Comunque, notò Angele: Non era una sala d’aspetto, era la ‘sala parto’. Era, naturalmente, molto fredda.»

Baby Rowan

«Dopo avermi dato una coperta umida e uno scaldino – dice Angela – mi dissero che il medico non ci sarebbe stato fino alle 14, e che anche se avessi partorito prima di allora, avrei dovuto rimanere fino a quando avessi potuto essere visitata.»
Scrive Angele: «Le mie contrazioni divennero molto in fretta più forti e frequenti. Chiamai Violene [l’infermiera] pensando fosse ora di spostarsi in un’altra stanza e volevo sapere se potevano darmi qualcosa per il dolore. Mi disse che il medicinale avrebbe fermato le contrazioni e che dovevo rimanere lì e poi lei sarebbe tornata. Le dissi che era ormai ora; appena lo dissi lei mi rispose che non ero ancora del tutto pronta. Se ne andò. Cominciai a sanguinare.»
 «Dopo essere andata in bagno – dice Angele – tornai alla poltrona (avevano entrambe una puzza tremenda), mi coprii con la coperta, bagnata e dall’odore acido, e poi decisi che stavo meglio senza. Mi dondolavo avanti e indietro sulle mani e sulle ginocchia, cercando di tenere lo scaldino vicino allo stomaco per alleviare il dolore e cercare di stare al caldo. Guardai in basso e vidi piccoli segni e macchie di sangue secco sul pavimento, ed un vecchio batuffolo di cotone sporco di sangue vicino alla poltrona dall’altra parte rispetto a me. Notare quanto era sporco e che non c’era nessuno nella stanza e neanche nel corridoio cominciò a rendermi nervosa e incontrollabile. Tornai subito alla toilette e cominciai a tentare di spingere molto. Pensavo sarebbe stato d’aiuto visto che mi avevano detto che non ero vicina a partorire.»

Baby Rowan

Scoppiando in lacrime, Angele dice di aver sentito arrivare una contrazione: «Durante una spinta atroce sentii e udii uscire qualcosa. Poi immediatamente un’altra spinta. Ero debole. Tenni la testa tra le mani per un istante. Poi decisi di alzarmi. Guardai. C’era il mio bambino, il cordone biancastro e quello che doveva sicuramente essere la placenta. Cominciai a singhiozzare e mi sdraiai per terra. Fissai più volte mio figlio. Ero inorridita di averlo partorito in un bagno.»

Nato vivo

Angele spiega che cosa è accaduto poi a lei e al suo maschietto, cui ha dato il nome Rowan:
«Il suo braccio destro si mosse. Si rannicchiò un po’ come se avesse freddo. Chiamai urlando Violene! Non venne nessuno. Cercai di raggiungere il corridoio con i pantaloni abbassati, il sangue dappertutto, e urlai ancora. Tornai al mio bambino. La sentii dire che sarebbe arrivata subito.
Le mostrai Rowan, le dissi che era vivo e si muoveva, e che doveva chiamare il 911 [l’equivalente del nostro 118]! Lei dette una rapida occhiata, disse che non si stava muovendo, che sarebbe tornata e che si sarebbe occupata di tutto mentre usciva. La chiamai ancora. Stavo toccando dolcemente Rowan e lui si mosse ancora. La richiamai. Rowan sussultò, penso spaventato dal mio chiamare aiuto a voce alta. Le mostrai che si stava muovendo ed era vivo. La implorai di fare in fretta e di chiamare il 911, subito!
Mi disse di sdraiarmi e che avrebbe portato il suo supervisore. Non venne nessuno.
Continuavo a carezzare e a dare conforto a mio figlio massaggiandogli la schiena, il pancino e il petto. Accarezzavo la sua testolina e continuavo a dirgli che lo amavo e che tutto sarebbe andato bene. Avevo paura di muoverlo perché non volevo fare nulla che potesse finire col fargli male. Spinsi il mio mignolo nella sua manina e le sue dita si arricciarono su di me. Non veniva ancora nessuno. Ero terrorizzata ma cercavo di non fargli sapere che ero spaventata. Continuavo a dirgli che era un bel bambino e che saremmo presto stati al sicuro.»
Angele dice che allora ha pensato ad un modo per chiamare aiuto.



«Ho lasciato Rowan per due secondi, ho afferrato il telefono, sono ritornata in fretta al bagno per stare con lui, chiamando contemporaneamente la mia amica ‘Sharon’. Le dissi che Rowan era vivo e che nessuno ci stava aiutando, di chiamare per favore un’ambulanza alla clinica immediatamente, e attaccai»
«Stavo accanto a Rowan e gli parlavo, gli dicevo quanto era forte e quanto ero fiera di lui. Gli dissi che Dio doveva proprio volere che stessimo insieme perché superasse tutto ciò che aveva passato e che a mammina dispiaceva tanto, ma era così felice di avere una possibilità di amarlo. Gli dissi che era un piccolo, forte miracolo e che non vedevo l’ora che vedesse suo fratello e sua sorella. Continuavo a toccarlo, a cercare di scaldarlo con le mie mani e a parlargli così che non si sentisse preoccupato più di quanto di quanto doveva già esserlo.»

«Poi Rowan smise di muoversi»

A quel punto, racconta Angele, lei lo cullò e pregò prima di fargli il bagno e tagliargli il cordone ombelicale.
Scrive Angele: «Era perfetto, leggermente pallido e un po’ traslucido. Le sue sopracciglia erano chiare ma ampie e ben definite. Si vedevano dei piccoli peli sul volto e sulla testa. Aveva delle minuscole unghie ai ditini delle mani e dei piedi. Notai che avevano già avuto un po’ di crescita. Era bello. Era stato tanto forte.»
«Lo avvolsi in un panno blu invece che in una delle coperte bagnate. Continuavo a baciarlo e a dirgli che lo amavo tanto. Gli dissi che mi dispiaceva di non poter fare arrivare nessuno per aiutarci e che mi dispiaceva tanto di essere venuta lì»
A quel punto, dice Angele, l’infermiera Debbie entrò e chiese di avere il bambino. Angele rifiutò.
«Stranamente tornò dopo due o tre minuti. Era più irritata e insistente di prima. Ero irritata che mi stesse addosso così, e che non sembrava avesse tanta fretta quando Rowan era vivo. Dov’era lei quando Violene avrebbe dovuto portarla qui ed avevamo bisogno del suo aiuto? Mi chiese ancora di prenderlo. Rifiutai nettamente. Capivo che era arrabbiata. Non mi importava. Le dissi che avrei aspettato che se ne andasse così che potessi finire di pregare con Rowan e che avevamo bisogno di intimità.»
Angele dice che allora tornò nel bagno e bloccò la porta fermamente con la sua schiena in modo che nessuno potesse disturbarla.
Scrive Angele: «Fissavo mio figlio, piangevo a bassa voce e osservavo il sangue rappreso sulle pareti. Mi sentivo così male, mi sentivo così indifesa. Avevo fatto un tale errore ad andare lì, e però mi sentivo molto fortunata ad avere mio figlio vivo. Volevo rimediare e cambiare ogni cosa una volta visto il suo faccino e il suo corpicino. Avevamo solo bisogno di qualcuno che ci portasse al sicuro. Mi sentivo così male che l’unica cosa che potevo fare era dirgli che tutto sarebbe andato bene e che saremmo stati sempre insieme, che eravamo forti e una bella squadra.»
«Mi chiedevo se i bimbi andassero immediatamente in Cielo. Vengono loro dati immediatamente saggezza, prospettiva e comprensione? Rowan riusciva a vedere che lo amavo? Riusciva a vedere che lo volevo con me e che avevo cercato di aiutarlo a stare con me? Riusciva a vedere tutto ciò che era successo mentre era qui? »
Sharon, l’amica di Angele, è arrivata ed è stata d’accordo sul fatto che Rowan “era uno splendido bambino”.
Sorprendentemente, dice Angele, alla clinica venne la polizia invece dell’ambulanza.
«La polizia chiese se volevo portare Rowan alla agenzia di pompe funebri» ha scritto Angele – «Ho detto loro che avevo preso accordi in precedenza, che l’avrebbe preso l’impresario delle pompe funebri.»
Angele dice che la sua amica ha sentito di sfuggita un’infermiera dire che non aveva visto muoversi il bambino, una discussione che faceva arrabbiare la madre angosciata.
«Ho visto Violene un’altra volta, ed ero furiosa per ciò che Sharon mi aveva detto. Le dissi quanto poco apprezzassi che dicessero alla polizia che il mio bambino non era vivo. La fissai e le dissi: Violene, tu l’hai visto muoversi. È accaduto quando dicesti che saresti andata dal tuo capo perché ‘se ne prendesse cura’. Siete stati lontani fino a quando Rowan è morto. Non m’importa ciò che dici, tu ed io sappiamo che era davvero vivo. Conosciamo la verità». Lei non disse niente e se ne andò.
«Hanno dato a Sharon una busta con la mia medicina e ce ne siamo andate. Che strano, non avevano più bisogno che il medico mi vedesse alle 14, il personale voleva solo che me ne andassi il prima possibile»


«Non vedevo altra via d’uscita»

Angele, che è divorziata, ha un figlio e una figlia. Ci sono state settimane di colloqui prima di prendere la decisione di abortire: «Non vedevo altra via d’uscita»
Angele spiega di aver cercato tra i vari metodi di aborto tardivo quello che sarebbe stato meglio nella sua situazione.
Sebbene il metodo ‘travaglio e parto’ sia il più difficile per la madre, sembrava essere la scelta migliore per mio figlio, e gli avrebbe dato la possibilità di nascere integro, così che lo potessi tenere e piangere e farlo cremare.
Angele dice di avere dato un nome a suo figlio in anticipo, e di avere fatto tanti progetti perché “volevo che andasse dalla mia pancia al Cielo nel modo più degno possibile”.
Angele, che è cristiana, ha detto a WND: «Ho scelto i versi della Bibbia per il suo funerale e tutto il resto».
Angele dice che vuole che il governo effettui un’autopsia sul corpo di Rowan ma il coroner del luogo si rifiuta. Lei dice di non avere i 3500 dollari che costerebbe un’autopsia.
«È importante per la mia causa provare che Rowan era vivo per evitare che questo capiti ancora» ha detto, poiché solo un’autopsia potrebbe provare questo fatto.
Nel frattempo, il corpo di Rowan è nel frigorifero di un obitorio.
Angele dice che vuole rendere pubblica la sua storia e sta pensando ad una azione legale affinché «questo non capiti a nessun altro».
Ricordando la sua esperienza dopo la nascita di Rowan, Angele ha detto: «Le prime due volte che ho detto a Violene di chiamare il 911, pensavo l’avrebbe fatto. Non mi aveva sfiorato il sospetto che non l’avrebbe fatto… Alla fine tutto mi è stato chiaro: non mi avrebbero aiutato a salvare mio figlio». Fu allora che Angele chiamò la sua amica e le disse di chiamare il 911.
Parlando della sua fede cristiana, Angele ha detto: «Lo so che cosa pensate: come può una cristiana prendere questa decisione? ma penso avvenga molto più spesso di quanto pensiate».

Da questa tragica storia è stato tratto un film, “22 weeks”