Due morti senza senso

2008-05-26

Quest’anno, il giorno della Festa della Mamma, ho aiutato mio nipote a mettere dei fiori sulla tomba di sua madre. Anche se Justin ha solo sette anni, cerca di essere coraggioso mentre onora il ricordo di sua madre. Non posso non pensare a quanto lei ne sarebbe fiera.Justin è luminoso e bello. Mi ricorda Mary quando era la mia bambina. Quanto mi spezza il cuore pensare a lui. Sua madre e suo fratello gli sono entrambi stati tolti, uccisi da un aborto non voluto e non necessario. Vorrei potergli dire che è morta in pace. Invece, è morta in modo doloroso, violento e politicizzato, una morte che tormenta la nostra famiglia anche oggi.
Mary aveva solo sedici anni quando nacque Justin. Non era sposata, e coraggiosamente accettò il peso di essere ragazza-madre. Eravamo orgogliosi di lei, orgogliosi del suo desiderio di proteggere e preservare la vita di Justin quando tanti l’avrebbero incoraggiata ad abortire. La nascita del nostro caro Justin ci ha resi tutti più pro-vita che mai.
Due anni dopo la nascita di Justin, Mary fu vittima di uno stupro. Quando l’uomo lo scoprì, lui cercò di farla abortire. Lei rifiutò e non voleva avere niente a che fare con lui.
All’inizio pensava di darlo in adozione. L’aborto era una cosa a cui non avrebbe mai pensato. Ma stava prendendo un antidepressivo a causa della sua depressione bipolare ed il suo psichiatra le disse che c’era una possibilità su 12 che gli antidepressivi causassero danni cardiaci e cerebrali al bambino.
Mary era sconvolta. Come potevano i farmaci che la stavano aiutando fare del male al suo bambino? Come poteva mai abortire? Aveva bisogno di consigli ed assistenza di persone esperte. Andò in un prestigioso ospedale specializzato nella cura della salute della donna. Justin era nato lì. L’assistente sociale (AS) dell’ospedale le promise di aiutarla con informazioni e consulenza.
Quando arrivammo per l’appuntamento, l’assistente mi escluse dicendo che Mary aveva diciott’anni e la seduta era privata. Lei prenotò immediatamente un’ecografia per Mary. Dopo l’ecografia Mary ebbe un’altra seduta con l’AS e fu convinta di aver danneggiato il bambino.
Dopo di che, Mary ci rivelò che le avevano detto che sarebbe stato ingiusto da parte sua affaticarmi per aiutarla a tirar su un secondo figlio, specialmente uno handicappato (stavo già aiutando lei con Justin e prendendomi cura di mio marito che è tetraplegico). Quando ci divenne chiaro che avevano consigliato a Mary di abortire, mio marito ed io la rassicurammo in quanto le statistiche dello psichiatra erano in realtà a suo favore. C’era un 92% di probabilità che il bambino fosse sano. Anche se il bambino avesse avuto problemi, potevamo affrontarli tutti noi insieme. La assicurammo che qualunque decisione avesse preso, noi l’avremmo capita ed amata con tutto il cuore. In seguito lei non disse più nulla dell’aborto.
Ma due settimane dopo l’AS ci chiamò a casa per parlare con Mary. Mary non era a casa, così le dissi che Mary era molto depressa e che piangeva per molto tempo. Le chiesi per favore di fare qualche analisi al feto per rassicurare Mary che il bambino era sano. La sua unica risposta fu di dirmi che aveva bisogno di parlare a Mary privatamente. Mary aspettò alcuni giorni e poi la richiamò. l’AS prenotò immediatamente un esame di pre-ricovero e l’aborto per Mary. Da questo momento in poi Mary divenne molto introversa e dipendente da me per ogni cosa.
Quando portai Mary per il suo check-up pre-ricovero, non mi permisero di parlare ad un medico o fare alcuna domanda. Ancora una volta, ci si aspettava che mia figlia, adolescente e depressa, firmasse documenti e prendesse decisioni mediche di vitale importanza senza il sostegno dei propri cari.
Quando l’appuntamento finì, lei mi disse che il medico l’aveva rassicurata che la procedura non era per niente brutta. Poi mi chiese se poteva ancora cambiare idea in qualsiasi momento. Questo mi dimostrò quanto fosse in realtà fragile ed incerta.
Il giorno dell’aborto le mie paure iniziarono a sopraffarmi. Ma pensai che questo era l’ospedale di punta per le donne dello stato. Sicuramente avrebbe ricevuto le cure migliori. Era nel posto più sicuro possibile. Però, non avevo pace, mio nipote di diciotto settimane stava per morire.
Un’infermiera arrivò con alcune carte da riempire. Mary era nervosa e rispondeva con difficoltà ad alcune domande. Mentre l’aiutavo, l’infermiera mi diede un’occhiataccia. Era chiaramente seccata dalla mia presenza.
Alle 12:45 l’infermiera accompagnò Mary alla sala operatoria dove effettuarono l’instillazione di urea che avrebbe indotto l’aborto. Quando tornò l’aiutai a mettersi a letto, la coprii, asciugai le sue lacrime e l’abbracciai. “Oh mamma” – disse piangendo – “fa veramente male”. Ricordo di averle detto quanto mi dispiaceva che stesse male.
Lasciai l’ospedale alle 17:30 per controllare Justin. Mentre stavo guidando verso casa, mio marito chiamò. Aveva detto a Mary quanto l’amava e che voleva vederla presto. Terminarono la conversazione con una semplice preghiera, un’Ave Maria, chiedendo alla madre di Nostro Signore di “pregare per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte.” Questa fu l’ultima volta in cui lui le parlò.
Tornai all’ospedale quella sera, e stetti fino alle 23:00 quando Mary insistette che andassi a casa per stare con Justin. Volevo stare con lei, perché l’aborto non era ancora completo, ma mi rassicurò che mi avrebbe chiamato se si fosse sentita sola. Le diedi il bacio della buonanotte dicendo: “Ti amo… ci vediamo domattina”. Sembrava una bambina in quel letto. Fu l’ultima volta che la vidi viva.
Il mattino dopo alle 9:15 ricevetti una chiamata dall’unità di cure intensive (UCI). L’infermiera disse: “Qualcosa è andato storto. È molto grave”. Volai all’ospedale, mi precipitai nell’UCI, e feci irruzione nella prima stanza che mi capitò. Dietro alla tendina vidi la sagoma di una donna e di un medico che scrivevano in una cartella.
Proprio allora un’infermiera venne fuori a chiedermi chi volessi vedere. Dissi che ero la madre di Mary. Lei ansimò, afferrò le mie spalle e mi spinse fuori dalla porta. Dissi che la volevo vedere; volevo che lei sapesse che ero lì. Disse che non potevo andare perché stavano lavorando su di lei.
Grazie a Dio arrivò la mia amica Charlotte. Sedette con me e mi confortò. Un medico venne due volte a farmi domande su Mary. Ogni volta chiedevo di vederla e mi mandavano via. Poi la sala si riempì improvvisamente di camici bianchi. Un medico sedette davanti a me e mi prese le mani. “Mia figlia è morta, vero?”. Lui annuì: “Sì”.
Non riuscivo a respirare e mi sembrava di sprofondare in un buco. Uno di loro disse che avevano detto a Mary che ero lì. Fui meno che grata per questo piccolo gesto.
Alla fine mi permisero di vederla. Entrammo nella sua stanza e a stento credevo a ciò che vedevo. C’era la mia bella figlia, sfigurata così orribilmente che era quasi irriconoscibile. C’era ancora un tubo che usciva dalla sua bocca e vedevo i denti e le gengive coperte di sangue. I suoi occhi erano mezzo aperti ed il bianco degli occhi era di un giallo scuro. L’unico tratto che non era stato sfigurato erano i suoi capelli. Tutto ciò che volevo fare era abbracciarla. Cercai di metterle le braccia intorno e di darle il bacio d’addio.
Mentre mi portavano alla sala d’aspetto, iniziai a parlare di quanto era bella Mary quando era piccola. Cercavo di capire che cosa avevo visto. Cercavo disperatamente di aggrapparmi alla mia salute mentale. Non sentivo le mie dita mentre telefonavano a mio marito. Avevo un tale dolore che mi sembrava che il mio cuore andasse a pezzi. Gli sussurrai che Mary era morta. Sento ancora il suo pianto.
Il medico di Mary venne da me con un autorizzazione da firmare per l’autopsia. Solo adesso avevano bisogno della madre di Mary. Solo adesso ero importante per firmare i documenti. Firmai, sapendo che sarebbe stato inflitto un ulteriore oltraggio al corpo di Mary, perché dovevo sapere cos’era successo. Perché era morta? Perché era morta da sola, spogliata del suo orgoglio, della sua dignità, della sua autostima?
Ricordo di essere corsa a casa cercando nel cielo qualche segno che Mary era in paradiso. Quando arrivammo a casa, fui felice di vedere che c’erano la famiglia e gli amici che mi mostravano amore e sostegno. Dovemmo concentrarci sul funerale di Mary. Prima di accordarci per la Messa, dissi al nostro pastore che Mary era morta di aborto. Li avremmo seppelliti entrambi quel giorno. Ora lui riusciva a comprendere l’orribile condizione del corpo di Mary.
Dopo l’autopsia, l’agenzia di pompe funebri tentò diverse volte di renderla presentabile per l’esposizione. La prima esposizione fu il 19 agosto 1989. Era il 39° compleanno di mio marito. Il corpo di Mary fu vestito del suo abito per la Cresima. Nelle sue mani c’era un piccolo bouquet rosa da parte di Justin. La Messa per il funerale di Mary fu una festa per la sua vita. Volevamo che Dio sapesse che gli eravamo grati per averci benedetto con questa bella figlia. Gliela restituivamo con lo stesso amore che avevamo per lei quando avevamo chiesto un figlio nostro.
Un mese dopo incontrammo il medico legale per parlare dei dettagli dell’autopsia di Mary. Evitò completamente di rispondere alle nostre domande. Invece di una spiegazione dettagliata, ci consigliò di “andare a casa e cercate di non vergognarvi di vostra figlia”. Ci aspettavamo un’inchiesta sulle procedure dell’ospedale, invece ricevemmo un commento sulle virtù di nostra figlia. Lei era solo una statistica.
Non potevamo permettere che la morte di Mary rimanesse nascosta in un cumulo di statistiche. Sapere la verità avrebbe richiesto un’azione legale, e questo voleva dire che noi e Mary saremmo stati trascinati davanti all’attenzione pubblica e saremmo stati soggetti ai crudeli attacchi degli avvocati della difesa. Però era l’unico modo che avevamo per rompere l’insabbiamento.
Fu molto difficile trovare il giusto avvocato. Per disperazione chiamai Vicki Conroy di Legal Action for Women. Mi diede il nome di un avvocato del Kentucky, Ted Armshoff, membro di un’agenzia legale nazionale specializzata in casi di malasanità relativi all’aborto. Quando parlai alla sua assistente, Josephine, ho capito di aver trovato finalmente qualcuno che si preoccupava più della morte di Mary che del dibattito sull’aborto. Due giorni dopo Mr. Armshoff venne nella nostra città, visionò le cartelle dell’ospedale e il rapporto dell’autopsia e riconobbe che Mary aveva avuto una morte senza senso.
La nostra causa fu registrata nel settembre del 1991. La battaglia legale sta ancora andando avanti e per questo non posso rendere pubblici i nostri veri nomi e molti altri dettagli che identificherebbero gli imputati.
Durante il corso di questa causa, penso che le tattiche difensive siano state senza vergogna. Tra le varie manovre, hanno cercato di discreditarci e farci passare per una famiglia che vuole “lucrare” sulla situazione. Naturalmente sono arrivata a capire che tutto questo è parte della strategia per scoraggiarci.
Grazie alla perseveranza di Mr. Armshoff abbiamo portato alla luce diversi fatti importanti. Nelle deposizioni abbiamo appreso che l’AS non ha mai visto l’ecografia di Mary né ha mai neanche parlato dei risultati con lei. L’AS aveva ordinato l’ecografia per determinare quale tipo di aborto si dovesse usare.
Mary non ha mai visto le parole sulla relazione dell’ecografia che avrebbero cambiato tutto: “Nessuna anomalia rilevata”. Se gliel’avessero detto, non avrebbe mai abortito. Sarebbe stata liberata dal senso di colpa e dalla paura che suo figlio handicappato non fosse adottabile o un peso insopportabile sui suoi genitori e su suo figlio. Questo assistente d’aborto voleva che Mary vedesse una sola scelta; l’aborto. Si sono approfittati di una diciottenne depressa, portandola a prendere una decisione di vitale importanza basandosi su affermazioni incomplete e fuorvianti. Mai una volta hanno parlato del senso di colpa e del dolore che avrebbe passato se lei fosse sopravvissuta al suo aborto “sicuro e legale”. Altrettanto per la “libertà di scelta”.
Abbiamo anche appreso che l’unità abortiva, in questo ospedale universitario, consente agli interni di effettuare l’aborto e le cure successive. Quando Mary si sentì male, fu vista da un interno che era uscito da appena due mesi dall’università. Nonostante i diversi sintomi di infezione presenti quando la esaminò, egli decise di ritardare il trattamento di Mary di un’ora.
Mary non sopravvisse a quell’ora. Dopo 40 minuti era in coma ed in terapia intensiva. Aveva una violenta infezione che stava rapidamente avendo il sopravvento sul suo corpo. Quando Mary fu portata all’UCI era troppo tardi per salvarla. Solo allora, quando era troppo tardi, fu finalmente vista da un medico esperto.
Quando Mary morì, non ci fu un’inchiesta, conferenza, o discussione collettiva condotta dall’ospedale. L’unità abortiva è ancora aperta ed operante come se nulla fosse accaduto. La morte di una giovane madre diciottenne non era una ragione sufficiente per revisionare la loro unità abortiva. Il loro atteggiamento era stato semplicemente di far andare avanti gli affari.
Né ci è sfuggito che non era stata assolutamente espressa alcuna preoccupazione per la morte di Mary da parte dei gruppi di donne “pro-choice”. Perché non esigono giustizia per questa sorella adolescente? Non sono preoccupate del fatto che le mentirono riguardo alle condizioni del suo bambino, del fatto che le fu negata una vera scelta? Non sono preoccupate del fatto che è stata ignorata mentre un’infezione le toglieva la vita? Questa “sorellanza” è una bugia. Neanche un membro di un gruppo pro-choice o di donne, come A.C.L.U. o N.O.W. si è fatto avanti a esprimere simpatia formale o tanto meno indignazione per la morte di Mary. Preferiscono che lei rimanga solo una statistica.
Ma mia figlia non è una statistica. È una persona che merita rispetto. Credo che lei ora sia una persona che vive in Cielo con suo figlio Christopher, anche lui morto in quell’aborto. E lei sta pregando per noi, specialmente per Justin, affinché trovando giustizia troviamo anche guarigione.
Anche noi preghiamo per la giustizia e per la guarigione di tutte le altre famiglie come la nostra che sono state traumatizzate dall’aborto “sicuro e legale”. Per il loro bene, e per il bene di quelli che verranno, non possiamo stare zitti.
I nomi della famiglia “Taylor” in questo racconto sono fittizi. Quando questa azione legale sarà terminata, “Mrs. Taylor” vuole creare una rete con le altre famiglie le cui figlie sono state uccise o gravemente ferite dall’aborto, allo scopo di avere un mutuo sostegno ed il progresso della riforma sociale. Altre famiglie che volessero contattarla a questo scopo possono scriverle presso Ted Amshoff, Swendsen, Amshoff, Maroney, 1385 S. 4th St., Louisville, KY 40208, (502) 634-2554. Mrs. Taylor è stata assistita per trovare rappresentanza legale da Legal Action for Women, (800) 962-2319.
Pubblicato originariamente in The PostAbortion Review 1(3) Fall 1993.
Elliot Institute, PO Box 7348, Springfield, IL 62791-7348
Altro materiale a www.afterabortion.org
http://www.afterabortion.org/twodead.html


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