Cercai di suicidarmi, mi odiavo per ciò che avevo fatto

2008-06-17

A 21 anni feci la “scelta” sbagliata di abortire. Allora mi dissero che avrebbe risolto il mio problema e che avrei potuto continuare la mia vita. Non risolse nulla. E invece mi diedi alla droga ed all’alcool per nascondere il dolore ed il senso di colpa che provavo per aver scelto la morte del mio bambino.
Cambiò anche il modo in cui mi rapportavo a mio figlio di sei mesi che mi aspettava quando tornai a casa dalla clinica per aborti. Stava piangendo, ed io non riuscivo a tenerlo e consolarlo. La nostra cara relazione cambiò quel giorno.
Per via della mia avversione ai bambini, dieci anni più tardi feci un’altra “scelta” sbagliata. In una clinica mi avevano fatto un’iniezione di Depo Provera [una sostanza contraccettiva]; e poi l’incredibile accadde. Alcuni mesi dopo ero ancora incinta. NON volevo abortire ancora, così stavolta decisi di tenere il bambino e di darlo in adozione. Ma il padre disse: “I miei genitori non permetterebbero MAI che uno dei LORO nipotini fosse dato via!”.
Così tornai alla clinica piangendo, cercando di non pensare a quello che stava per succedere. Piansi per l’intera procedura e specialmente quando l’infermiera guardò il medico e disse: “Oh guarda, gemelli”. Mi sorrideva come se fosse una cosa di cui avrei dovuto essere fiera. Ricordo di averla vista al rallentatore come non stesse accadendo veramente.
Divenni isterica ed iniziai ad urlare e cercai di scendere dal tavolo. L’infermiera e gli altri dovettero entrare e tenermi giù. Il medico mi urlò di stare sdraiata e mi disse che non poteva interrompere ciò che stava facendo a causa del tessuto rimasto dentro di me. Così dovetti stare sdraiata lì, tenuta contro la mia volontà, mentre il medico toglieva il resto dell’altro bambino fuori di me. Mentre ero nella sala postoperatoria entrò per parlarmi e si scusò per il “comportamento” dell’infermiera. Non dovrebbero parlare alle donne dei loro bambini.
Ricordo di essere uscita di lì come uno zombie, desiderando di morire. Cercai di suicidarmi ed ebbi diverse overdose perché mi odiavo per ciò che avevo fatto.
Voglio che le donne e gli uomini sappiano che non si può neanche immaginare il dolore a meno che ci si passi di persona. L’aborto non è una cosa che capita e tu puoi continuare la tua vita. Vai avanti come un individuo molto ferito. Non voglio che altre donne provino il dolore che io ho avuto.
Leverò la voce per far sì che la gente sappia che le leggi devono essere cambiate in modo che altre donne non facciano la “scelta” sbagliata come me.
Non volevano che sentissi parlare dei miei gemelli quel giorno. Ma penso che Dio abbia permesso che io ascoltassi per farmi aprire gli occhi e questo può aiutare ad aprire gli occhi di altre donne un giorno.
Credo che bisognerebbe esigere che le cliniche per aborti dicano alle donne che NON è solo tessuto, è un BAMBINO VIVENTE!
Ma, più di tutto, spero che la Corte Suprema degli USA capovolga Roe v. Wade [la sentenza che ha legalizzato l’aborto negli USA]

Rebecca Porter è direttrice di Operation Outcry per la Florida. Presta servizio come direttrice dei servizi al cliente in un centro di aiuto alla gravidanza ed è anche la loro moderatrice certificata per il corso biblico “Perdonata e Liberata” per le donne con sindrome post aborto.
Presta servizio anche come direttrice generale per Right to Life della Florida. Ha lavorato per far approvare la legge della Florida “Women’s Health and Safety Act” e la legge che prescrive la notifica ai genitori di una minore che vuole abortire.
Rebecca dirige ‘Un grido senza voce’, un progetto che consente alle donne di commemorare le vite dei propri figli attaccando un biglietto col nome del bambino abortito ad un paio di scarpine. Queste scarpe hanno viaggiato per gli USA, Israele e per l’Olanda.

http://64304.netministry.com/images/RebeccaPorter-Sep07.pdf
Un grido senza voce


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