Continuavo ad essere in lutto per la perdita del bambino

2008-08-28

Il 28 agosto 1977 mi ritrovai faccia a faccia con il mio bambino abortito, e non sono mai più stata la stessa.
Come studentessa dell’ultimo anno del liceo, che si era diplomata con lode e giudicata la più brava della classe, ero così concentrata sugli obiettivi della mia carriera che ho semplicemente ignorato tutti i segnali della mia gravidanza. Quando smisi di negare la realtà, la mia famiglia insistette sul fatto che non avevamo i soldi per un’altra bocca da sfamare.
Quando mancava una settimana al college cominciai ad andare nel panico. Permisi a mia madre di portarmi fuori dallo stato in una clinica per aborti segnalataci dal nostro medico di famiglia. Dopo essere stata rifiutata da tre cliniche perché ero troppo avanti, fui indirizzata ad un ospedale universitario che avrebbe potuto prendersene cura.
Prima della procedura, lo staff medico mi rassicurò che non era ancora un bambino, solo “tessuto fetale”. Ma, guardando indietro, il mio cuore e la mia coscienza mi dicevano qualcos’altro. Mentre mi preparavano per l’intervento cominciai a sentirmi poco bene e dissi all’infermiera che avevo cambiato idea. Mentre cominciavo a strisciare fuori dal freddo tavolo metallico, lei mi spinse indietro e mi disse che era troppo tardi e mi fece addormentare.
Il giorno dopo mi svegliai in una stanza d’ospedale, con forti crampi. Non capivo che le iniezioni fattemi il giorno prima stavano forzando il mio corpo ad un travaglio violento e prematuro. Ero completamente impreparata a partorire un bambino morto da sola, ma anche il trauma della procedura impallidiva confrontato al rimorso immediato e profondo che provai dopo, desiderando di poter far tornare indietro il tempo e riportare indietro il mio bambino.
Per anni ho oscillato tra lo stordimento silenzioso e periodi di pianto e disperazione. Non potevo cancellare l’immagine del mio bambino dai miei ricordi, e continuavo ad essere in lutto per la sua perdita e per ciò che sarebbe potuto essere. Il mio sacrificio della sua vita per proteggere la mia dalla vergogna e dalla scomodità mi fece entrare in uno stato di stordimento emotivo che durò molti anni.
Anche se nessun altro mi condannava, il mio cuore batteva la verità: quel bambino era unico e non lo si poteva rimpiazzare. Persino la nascita di due altri figli non rimpiazzò il senso di perdita per il mio bimbo abortito. La scelta che era sembrata così semplice – uscire dalla mia difficoltà e andare avanti con la mia vita – mi consegnò invece ad una spirale depressiva che metteva a rischio la mia stessa vita.
Lottando per superare il mio dolore segreto, alla fine frequentai un ritiro di guarigione per donne post-abortive dove ricevetti una guarigione ed un perdono più profondi di quanto pensassi possibile. Dare un nome al mio figlio non nato mi ha fatto mettere a fuoco il mio dolore e riconoscerlo (il bambino), attraverso alcune semplici parole di dedica in una cerimonia in memoria, ha rotto le catene del mio dolore personale, ha portato una conclusione al mio lutto e mi ha liberata.
Attraverso la grazia di Dio, adesso non vedo l’ora di abbracciare il mio figlio abortito, un giorno in Cielo. Fino ad allora, sarò la sua voce per arrivare ad altre donne post-abortive che stanno ancora soffrendo in silenzio, per far sapere loro che non sono sole nel loro dolore e che Dio è colui che guarisce i cuori spezzati dall’aborto.
Comprendendo che mio figlio non era un errore, ma un dono di Dio, mi ha fatto comprendere che nessuno di noi è un errore. Egli ha un piano speciale per ognuno di noi.

Kathy Rutledge è referente del Kentucky per Operation Outcry. È anche presidentessa del Kentucky Memorial for the Unborn, fondato per dare un luogo sacro di conclusione e guarigione per coloro che hanno perso un nascituro, è coordinatrice regionale del Kentucky per Silent No More Awareness Campaign, e una co-facilitatrice di gruppi di sostegno della chiesa per donne che soffrono dopo l’aborto. Madre di due meravigliosi ragazzi adolescenti, è ragioniera abilitata, appassionata giocatrice di tennis e vive a Lexington nel Kentucky.

http://64304.netministry.com/images/KathyRutledge-Sep07.pdf


Quando vidi portar via i resti del mio bambino compresi con orrore che era troppo tardi

2008-08-20

Il silenzio è stato mio compagno per circa 14 anni, fino a quando non trovai il coraggio per affrontare la verità. I flashback del giorno dell’aborto riempivano il mio cuore e la mia mente. Ero stordita. Non ero un’adolescente ignorante ma una quarantenne sposata adulta ignorante. Non volevo essere lì, ma pensai che doveva essere giusto dato che era legale. La paura ebbe il sopravvento sulla ragione. Mi dissero che potevo morire durante il parto. Come potevamo permetterci un bambino con uno al college, e che dire della pensione? Tutte le ragioni erano egoistiche.
Alla clinica per aborti, piangevo lacrime che venivano dal profondo di me e che non avrebbero cessato di scorrere. Mi chiesero: “Perché piangi?”. I miei singhiozzi mi impedivano di rispondere, ma mi chiedevo perché non lo sapessero. “È per la gente che protesta? Per la polizia? Per l’ago?” Ogni volta facevo cenno di no. Alla fine mi chiesero: “È per l’interruzione di gravidanza?” Non usarono mai la parola “aborto”. Annuii. Risposero: “Siamo qui per aiutarti”, ma non mi chiesero mai: “Sei sicura di voler procedere?”
In seguito compresi che l’aborto non aveva risolto niente; aveva semmai creato problemi nuovi e duraturi che saranno sempre con me. Il dolore dell’aborto mi fece odiare me stessa. Mi sentivo sola, piangevo dentro di me, volevo cercare aiuto ma non sapevo dove trovarlo. Ero arrabbiata con me stessa, con i mass-media, col governo, con la chiesa e coi parenti che mi avevano riempito di bugie su come l’aborto fosse una risposta sicura e facile ad una gravidanza inattesa. Il peggio fu che avevo creduto ad una bugia ed avevo permesso l’impensabile, la cosa più innaturale da fare per una madre. Acconsentii a che mio figlio fosse strappato dalla protezione del mio grembo. Quando vidi portar via i resti del mio bambino in un freddo contenitore metallico, compresi con orrore che era troppo tardi. Non avrei mai potuto fare tornare indietro da questa “scelta”.
L’aborto sarà con me per sempre. Sto ancora subendo le conseguenze di questa decisione. Anche i miei figli ne hanno sofferto. La mia figlia adolescente ha avuto degli incubi dopo che gliel’ho detto. Anche io ho avuto degli incubi. La mia seconda figlia lo scoprì diversi anni dopo, senza che io lo sapessi, quando era al college. Si arrabbiò e mi chiese con le lacrime che le inondavano le guance: “Perché hai ucciso mio fratello?” Noi, naturalmente, non conoscevamo il sesso del bambino, ma penso che fosse un maschio e l’ho chiamato Adam James. Il dolore di spiegare un aborto ad una figlia è indescrivibile.
Ho una terza figlia che ora ha 13 anni, nata quattro anni dopo l’aborto per riempire le mie “braccia vuote”. Alcuni la chiamano “figlia di espiazione”. Io la chiamo dono di Dio. L’aborto non uccide solo un figlio: ferisce la madre, la famiglia, e in successione ferisce la società. Per questo motivo non posso più stare zitta. Devo essere una voce per chi non ha voce. Vi prego di aiutarmi a zittire le bugie dicendo la verità.

Karen Hartman è volontaria al Centro di aiuto alla gravidanza di Wickenburg (Arizona) e presidente di Right to Life di Wickenburg. È madre di tre figlie ed ha tre nipotini. Ama cavalcare nel deserto che circonda la sua casa con il suo border collie che l’avverte dei serpenti a sonagli. Fa parte della Chiesa Battista del Calvario.

http://64304.netministry.com/images/KarenHartman01-08.pdf


L’aborto non fa andare via il bambino, lo rende semplicemente un bambino morto

2008-08-12

Abortii una volta quando avevo 16 anni e quando ne avevo 20. Ho avuto lo stesso ragazzo per quasi sei anni, da 14 a 20 anni. Aveva 3 anni più di me, era studente di psicologia e sapeva che il mio patrigno mi odiava. Mi prendeva e mi diceva quanto mi amava e che voleva sposarmi, ma non quando rimasi incinta. Allora disse che non voleva più vedermi e avrebbe detto a tutti che non erano suoi e diede a mia madre il denaro per pagare gli aborti. Mia madre prese l’appuntamento per il primo e mi portò. Alla fine questa relazione finì quando presi la mia auto e me ne andai dallo stato di New York e me ne andai nel Wyoming subito dopo il secondo aborto.
(L’aborto) fu una sorpresa dolorosa e infelice. Piangevo nella sala d’aspetto prima dell’aborto, allora mi misero in una stanza separata perché dissero che stavo spaventando le altre ragazze.
(Seguirono) terribili dolori emotivi e vergogna, di cui all’inizio non avevo idea. L’aborto divenne legale immediatamente prima che io abortissi, ed il mio ragazzo usò quest’argomento per farlo sembrare OK. Disse che queste leggi sono fatte da gente intelligenti, non avrebbero detto che era tutto a posto se non lo fosse stato.
Andai ad un gruppo di studi biblico della PACE [Post Abortion Counseling ad Education] dopo che il mio secondo figlio nacque con la malattia della membrana ialina, ed è sordo di conseguenza. Sentivo che Dio era particolarmente arrabbiato con me per il secondo aborto. Quando nacque sano il terzo figlio (maschio) fu la sensazione più meravigliosa di tutta la mia vita. Non andai alla PACE che dopo che nacque il mio terzo figlio, nove anni dopo il secondo aborto. Fino ad allora mi sembrava solo di avere un terribile segreto e come se stessi facendo finta di essere rispettabile e non penso che piacerò mai a me stessa quanto avrei potuto. So che Dio mi ha perdonata. So che il sesso in sé non è amore, specialmente se è distruttivo, ed insegnerò ai miei figli l’astinenza.
Grazie per fermare la gente che vuole abortire. Non ci fu opposizione di alcun tipo quando abortii io. Tutto ciò che ebbi fu il senso di colpa per essere stata cattiva e la sensazione che questo (l’aborto) l’avrebbe sistemato. Nessuno fa notare che quale che sia la strada percorsa dalla persona, è una decisione che rimane con lei per tutta la vita. Penso che potrei vivere con me stessa molto più serena se avessi fatto adottare mio figlio. L’aborto non fa andare via il bambino, lo rende semplicemente un bambino morto.
Desidero davvero che questa attività ci insegni ad astenerci fino al matrimonio. Uomini e ragazzi inclusi. Non penso che si debba insegnare ai ragazzi di farsi tutte le ragazze, perché le ragazze non pensano mai questo di se stesse. So anche che ero innamorata e che se non “lo avessi fatto con lui”, qualcun’altra lo avrebbe fatto. Crescendo nello stato di New York negli anni ’70, al liceo c’erano molte più ragazze che l’avrebbero fatto, rispetto a quelle che non lo avrebbero fatto. Le ragazze non dovrebbero essere tirate su con le storie di Cenerentola perché ci rende più vulnerabili allo sfruttamento. Dobbiamo insegnare ai nostri figli che il sesso è biologico e non deve essere confuso con l’amore (è una piccola parte dell’amore). Penso anche che se avessi avuto i bambini sarei cresciuta un po’ prima. Sento la mia vita fortemente alterata.

http://www.priestsforlife.org/postabortion/casestudyproject/casestudy854.htm


Aborto in caso di stupro? No, grazie

2008-08-06

Uno dei cavalli di battaglia degli abortisti è l’aborto in caso di stupro. Ma le donne sono davvero d’accordo? Quanto segue dimostra che no, l’aborto non è una scelta né obbligata né indolore dopo uno stupro.

Petizione al Congresso ed ai legislatori di stato
dal Comitato di
Donne incinte in seguito a violenza sessuale
(WPSA, Women Pregnant by Sexual Assault)

Noi sottoscritte, avendo ognuna di noi avuto esperienza di una gravidanza a seguito di stupro o incesto, richiediamo con la presente che il Congresso USA e le singole legislature degli stati tengano pubbliche audizioni alle quali noi ed altre donne rimaste incinte a causa di violenza sessuale veniamo invitate a discutere le nostre particolari necessità e preoccupazioni. Le ragioni per tali audizioni sono esposte qui di seguito.

Ogni anno legislatori, giudici ed altri soggetti politici discutono il problema delle donne che rimangono incinte a seguito di violenza sessuale. Queste discussioni hanno luogo senza mai prima sollecitare il nostro intervento. Nella maggioranza dei casi, si parla di noi solo nel contesto di dibattiti altamente contrastati sull’aborto. Virtualmente in ogni caso, queste persone, che pretendono di difendere i nostri interessi, non hanno mai passato del tempo ad ascoltarci realmente per conoscere le nostre vere situazioni, necessità e preoccupazioni.

Siamo profondamente offese e sgomente ogni volta che le nostre situazioni difficili sono sfruttate a pubblico consumo per promuovere l’agenda politica di altri. Questa è una grave ingiustizia. Nel perseguire la propria agenda politica, questi sfruttatori hanno ridotto a rozza caricatura le nostre preoccupazioni, necessità e situazioni.

Quelli che pretendono di rappresentare i nostri interessi non hanno mai chiesto la nostra autorizzazione per rappresentarci. Non ci conoscono, non ci capiscono né a loro semplicemente importa di noi. Proprio come un tempo siamo state usate, senza il nostro consenso, per gratificare i desideri sessuali di altri, così continuiamo ad essere usate, senza il nostro consenso, per gratificare gli obiettivi politici di altri.

Solo noi che abbiamo realmente sperimentato la gravidanza a seguito di violenza sessuale comprendiamo il trauma, le paure, le preoccupazioni e le necessità delle nostre sorelle che sono, o un giorno diventeranno, incinte a seguito di stupro o incesto.

Ogni anno, migliaia di donne affronteranno questa esperienza. A meno che la società in generale cominci ad ascoltarci oggi, queste altre donne dovranno, come noi, affrontare grandi difficoltà nel trovare comprensione ed aiuto autentici.

L’argomento delle gravidanze a seguito di violenza sessuale è sia delicato sia complicato. Persino le donne che hanno subito violenza sessuale ma non sono rimaste incinte possono parlare solo in termini delle proprie paure piuttosto che della propria esperienza reale. Solo le donne che sono state o sono incinte a seguito di violenza sessuale possono testimoniare competentemente su questa esperienza.

Le nostre esperienze sono varie. Molte di noi hanno portato le loro gravidanze fino al compimento. Alcune di noi hanno allevato o stanno allevando i propri figli, mentre altre hanno dato i figli a case adottive. Altre di noi hanno abortito. In molti casi, ci siamo sentite soggette a pressioni per abortire da parte di familiari, assistenti sociali e medici che hanno insistito che l’aborto era la soluzione “migliore”. Per molte l’aborto ha causato traumi fisici ed emotivi uguali o superiori al trauma della violenza sessuale che i nostri aborti avrebbero dovuto “curare”.

Noi siamo le sole che possono dare testimonianza delle nostre esperienze reali e dei nostri bisogni reali. Per quanto tempo vi rifiuterete di ascoltarci?


Firmatari:

1.Arlene Anzalone (Michigan)17.Patricia Storms (California)
2.Eleanor Attonito (New Jersey)18.Rebecca Underwood (Maryland)
3.Diane Conley (Ohio)19.Kay Ziblolsky (Wisconsin)
4.Sue B. Evans (Louisiana)20.Dana (California)
5.Heather Gemmen (Colorado)21.Diane (Rhode Island)
6.Virginia Green (Alabama)22.Gloriann (California)
7.Shea Hart (South Carolina)23.Helene (Illinois)
8.Jeanette Himko (Pennsylvania)24.Janet (Arizona)
9.Sarah Hoover (Hawaii)25.Lisa (California)
10.Mary V. Hopkins (Michigan)26.Marie (California)
11.Dorcas O. King (Michigan)27.Maura (Washington)
12.Suzanne L. Maurer (Hawaii)28.Ruby (District of Columbia)
13.Laurie McDevitt (Illinois)29.Shirley (Colorado)
14.Susanne Renne (Texas)30.Jane Doe #1 (Ohio)
15.Louise Simmons (Virginia)31.Jane Doe #2 (Kansas)
16.Cynthia Speltz (Minnesota)32.Jane Doe #3 (Ohio)

Ci sono tre livelli di firma di questo documento: pubblica (che desidera testimoniare pubblicamente od essere intervistata usando l’identità reale, ed essere identificata con nome e cognome), semi-privata (che desidera testimoniare od essere intervistata in diverse condizioni, possibilmente con richiesta di anonimato, ed essere identificata solo col nome) ed anonima (identificata come “Jane Doe”, a causa di preoccupazioni personali o familiari che richiedono riservatezza).

Le vere firme sono in archivio. Si possono prendere contatti, su accordo autorizzato, attraverso Elliot Institute, (217) 525-8202

http://www.theunchoice.com/pdf/FactSheets/HardCases.pdf


Due giornate che vorrei rivivere

2008-08-01

Mia sorella rimpiange ancora oggi il ruolo che ha avuto nel mio aborto. I suoi sentimenti sono cambiati da quando è diventata cristiana ed ha scoperto la verità sull’aborto.
Mia mamma ha chiuso l’argomento e non vuole affrontarlo. Non era consapevole della realtà dell’aborto e sapeva solo ciò che ne dicevano i mass-media liberali. Le ho scritto delle lettere su che cos’è veramente l’aborto e sui suoi effetti su di me personalmente, ma non ho mai avuto risposta.
Come affronto il mio aborto? Nell’unica maniera che può portare pace e perdono. È stato contro Dio che ho peccato, e solo Egli ha la facoltà di dirmi: “Sei perdonata, va’ e non peccare più”. Andare da assistenti e psicologi non aiuta. Anche se ti giudicano “non colpevole” o cercano di aiutarti ad affrontare “l’elaborazione del lutto”, non allevia il problema di base né risponde all’unico capace di liberarti. La mia risposta è di rivolgermi a Dio, pregare, gridare, finché Egli non ti liberi dalla colpa e dal dolore. Allora perché piangere ancora? In pentimento e rimorso, ed Egli è lì con il mio “spirito in pezzi”.
Quanto segue è una copia della lettera al redattore di un giornale locale, a cui ho scritto. Hanno anche chiesto che i resoconti della storia dell’aborto rimangano anonimi. Invece di rifarlo – perché è traumatico scrivere nero su bianco i particolari dell’uccisione di tuo figlio – vi mando la copia.

Avevo diciotto anni ed ero al primo anno di college. Ero lontana da casa per la prima volta nella vita, e prendevo le mie prime decisioni da “adulta”. Ci sono due giornate che in tutta l’eternità vorrei rivivere ma non potrò mai: il giorno che rimasi incinta ed il giorno in cui assassinai brutalmente il mio figlio innocente.
Dissi a mia madre della gravidanza e lei inizialmente mi disse che mi avrebbe aiutata e mi avrebbe aiutata a tirare su il bambino. Poi parlò a mia sorella che le parlò di un’amica che aveva abortito e disse quanto era facile. Se il governo non l’avesse reso legale, il mio bambino sarebbe vivo oggi perché i miei genitori hanno sempre rispettato la legge.
Chiamai il mio ragazzo che pure mi disse di abortire. Non lo vidi più.
Andai da Planned Parenthood che mi esaminò per essere sicuri che fossi incinta e scoprire quanto fossi avanti. Dissero che non vedevano altre alternative per me tranne l’aborto e che bisognava effettuarlo il prima possibile (non mi fu data alcuna spiegazione ma ero vicina ai tre mesi e gli aborti per suzione hanno complicazioni tanto più grandi quanto più si è avanti). Programmarono l’aborto alla clinica e mi portarono là con un’altra ragazza che avevano programmato.
Loro (Planned Parenthood) programmarono anche il mio incontro con un assistente il giorno prima dell’aborto, che pure non discusse in profondità altre opzioni attuabili, tranne l’aborto. L’intera seduta durò da cinque a dieci minuti.
Tenere il “bambino” (sebbene mi dissero di non chiamarlo “bambino”, era un feto – mi dissero)? “Tu non vuoi prendere i sussidi ed essere una ragazza madre” (anche se ero diplomata a pieni voti con genitori che avrebbero potuto aiutarmi, se avessi deciso di tenere il bambino).
Adozione? “Potresti vivere non sapendo mai niente del tuo bambino?” L’adozione può essere aperta o chiusa sulle informazioni scambiate tra la ragazza ed i genitori adottivi. Ci sono ragazze e genitori adottivi che vivono insieme finché nasce il bambino e affrontano la nascita insieme. Ci sono quelli che si scrivono lettere tra di loro.
L’aborto fu presentato come fosse avere un aborto spontaneo. In un aborto spontaneo il bambino non è sviluppato al punto di essere in grado di sopravvivere dopo la nascita, laddove questo minuscolo bambino di dodici settimane che stavo portando doveva solo aumentare di peso per nascere normalmente. Tutti i suoi sistemi erano già formati. Il cuore del bambino stava battendo e poteva essere udito dallo stetoscopio di un medico, ma non lo fu.
L’aborto per suzione fa letteralmente a pezzi il bambino, e non muore istantaneamente senza dolore. Il bambino morirà per lo shock, dissanguamento, emorragia cerebrale o solo per l’essere fatto a pezzi. Il bambino cercherà di scappare da questo aspiratore, che è più potente di un aspirapolvere domestico. I fatti non mi furono mai detti.
Non si parlò mai dei rischi per la mia salute fisica dopo l’aborto.
Le “infermiere” ci misero circa 45 minuti per trovare la pressione sanguigna. Fu un tale shock per me. Quando più tardi mi misi a piangere, era tutto ciò che potevo fare, il lutto era tanto grande. Sto ancora piangendo.
Non c’era nessuno dopo che tutto era avvenuto. Non ci fu alcun esame dopo neanche per vedere se ero a posto fisicamente. Planned Parenthood aveva avuto il suo denaro ed ero solo un’altra cifra nei loro libri. Chi mi poteva aiutare per liberarmi dal senso di colpa? Chi poteva capire il lutto che mi sopraffaceva?
Ora sono sposata con due figli ed uno è in arrivo. Ogni volta che rimango incinta mi chiedo quale sarebbe il costo dell’aborto di questa gravidanza, se tutto andrà bene.
Questo mese sono quattordici anni che ho abortito. Questo mese sono quattordici anni che ho ucciso mio figlio. E piango ancora.

http://www.priestsforlife.org/postabortion/casestudyproject/casestudy977.htm