L’aborto non è una scelta di libertà

2011-03-25

Una bella testimonianza dal blog di Serena Taccari.



Squilla il telefono, è la sua amica. Lei si vergogna a chiamarmi ed in fondo il contatto non l'ha ancora stabilito con me se non per via interposta. Mi chiede se ho tempo per lei, certo, ho sempre tempo, anche se non sembra. Sviluppi l'insana capacità di spingere un passeggino-cucinare-stirare-fare i compiti-e parlare efficacemente con le persone al telefono, nei miei panni. Se ci fosse una domanda più banale di come va' sarebbe sicuramente "che facciamo". e infatti la prima domanda che le faccio è questa.. allora? che facciamo? sorride nervosamente dall'altra parte, con un "eeeh.." che è un incrocio tra un sospiro e la richiesta di una risposta. La domanda diviene seria a questo punto, è quella che nessuno gli vuole fare per timore che la risposta sappia di panico: tu cosa vuoi fare? "vorrei tenerlo..però..."

Chi dice che l'aborto è una scelta libera dovrebbe pensare bene al significato di libertà. Toglietemi tutti i condizionamenti, mettetemi nella possibilità fisica di portare avanti la gravidanza, lobotomizzate gli uomini verbalmente e fisicamente violenti, cassate brutalmente i genitori e il parentado colpevolizzante e avremo la donna libera di scegliere. Ogni donna che mi dice "però" è coercita, è spinta, obbligata con violenza subdola che oggi si chiama mobbing se sei sul posto di lavoro, stalking se vuoi fare il colto e bastardagine se vogliamo tagliare corto. Mi racconta le sue paure, i suoi però, mi parla di chi gli dice "non puoi farmi questo"e di chi gli parla dei sogni che perderebbe. Non ho molto da dirle, non ci sono dietro grandi messaggi se non “fai quello di cui sei fiera, quello che quando vai a letto la sera e spegni la luce sei sicura che non ti rincorre come un incubo lascia stare gli altri, stanno ognuno a casa sua, nel loro letto, se tu che sei nel tuo”. Le dico che la cosa più importante da fare è quella di cui non dovrà mai vergognarsi.. e lei subito risponde “ah io non mi vergogno mica, con tutti i piercing che ho..” ma io ho detto vergognarsi, non farsi notare. Sto parlando di te e te stesso non di te e gli altri. Tace. Ha afferrato. Ci salutiamo mi farà sapere, ci pensa.
E deve averci pensato intensamente perchè dopo mezz'ora mi chiama e mi chiede se possiamo vederci, anche subito. Quando ci vediamo, che non è subito, mi ringrazia e mi dice che ha preso la sua decisione, che le ho aperto gli occhi, che vuole il bambino. Parliamo ancora delle paure e di come dirlo ai suoi, avendo coraggio di chiedere aiuto. Di come affrontare un lui che non ne vuole sapere..e di come non affrontarlo affatto che forse è la cosa migliore.Parliamo del fatto che se tutti sbatteranno le porte in faccia mi occuperò io di lei ancora di più. E parliamo di questo bimbo, che vorrebbe fosse una bimba, per cui ha già pensato tante cose, e per il quale mi dice che vale la pena mettere la testa a posto, finalmente.
Oggi ha fatto l'eco con la nostra ostetrica. E' tutto a posto, sta bene il sorcetto e sta bene pure lei. E pure la mamma, un pò stordita che l'ha saputo solo ieri sera e oggi è andata a vedere il nipote.
Eh si, era proprio ora di vederlo.

I love my (single) mom: La testa a posto


L’educazione sessuale favorisce o limita aborti e malattie?

2011-03-03

Riporto qui oltre questo interessante articolo di Renzo Puccetti*.


ROMA, domenica, 16 gennaio 2011 (ZENIT.org)

“Proseguendo la mia riflessione, non posso passare sotto silenzio un’altra minaccia alla libertà religiosa delle famiglie in alcuni Paesi europei, là dove è imposta la partecipazione a corsi di educazione sessuale o civile che trasmettono concezioni della persona e della vita presunte neutre, ma che in realtà riflettono un’antropologia contraria alla fede e alla retta ragione”.

Questo il passaggio del discorso del Santo Padre rivolto al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede - pronunciato nella sala regia lunedì 10 gennaio 2011 - che ha suscitato le critiche di una parte della società e del mondo massmediatico.
Ancora una volta il Pontefice Benedetto XVI ha sfidato la cultura dominante e il circuito propagandistico che intende ridurre l’amore a sessualità e la sessualità a genitalità.

Come il suo venerato predecessore, quando tocca questi temi Papa Benedetto XVI si trova di fronte a reazioni scomposte e quasi isteriche.

In questo contesto, alcuni mass media hanno accusato il Pontefice di opporsi all’educazione sessuale nelle scuole, sostenendo che le istituzioni civili italiane sono troppo remissive al potere religioso.

Si sostiene infatti che l’educazione sessuale obbligatoria nelle scuole è un progresso e si porta l’esempio di cosa è avvenuto in Francia, Olanda, Svezia, indicando quelle esperienze come veri modelli di civiltà, di pluralismo e scientificità.

Ma è proprio così?

Quali dovrebbero essere gli obiettivi di questo supposto progresso educativo? Dal momento che si chiede l’opinione di esponenti del mondo della medicina, l’educazione sessuale insegnata ai bambini e ai ragazzi nelle scuole dovrebbe servire a ridurre le malattie sessualmente trasmesse, le gravidanze indesiderate e gli aborti tra i giovani. Per cos’altro lo Stato dovrebbe chiedere a cittadini già asfissiati dalle tasse ulteriori sacrifici economici? O si preferirebbe una semplice ripartizione che stornasse parte dei fondi per l’edilizia scolastica a favore della “buona educazione” sessuale?

In Inghilterra, qualche tempo fa, non sapendo più che pesci prendere per il dilagare delle gravidanze e degli aborti tra le minorenni, si stampò un opuscolo il cui titolo era un programma: “Un orgasmo al giorno leva il medico di torno”.

Il prestigioso British Medical Journal, tuttavia, aveva pubblicato nel 2009 uno studio i cui risultati non erano stati proprio quelli auspicati: analizzando un gruppo di 446 giovani a rischio, i ricercatori hanno verificato che le ragazze a cui era stato fornito un programma contenente informazioni sulla contraccezione mostravano un tasso di gravidanze tre volte e mezzo superiore rispetto alle coetanee che non avevano frequentato quelle lezioni. Con un tasso di abortività tra le giovani fino a 19 anni pari a 23, in Inghilterra l’ente preposto ha dato il via libera per la pubblicità televisiva delle cliniche per aborti.

In Francia, Paese in cui il numero di pillole del giorno dopo vendute nell’ultimo anno è stato di un milione e centomila confezioni, la Nazione in cui il 95% delle donne sessualmente attive che non desidera una gravidanza usa la contraccezione, in massima parte fatta di pillola e spirale, il Paese in cui sono obbligatorie 40 ore all’anno di educazione sessuale, sono stati praticati 213.382 aborti nel 2007, con un tasso di abortività tra le ragazze di 15-19 anni pari a 15,6.

In Svezia, Paese in cui l’associazione per l’educazione sessuale è stata fondata nel 1933 dalla femminista Elise Ottesen-Jensen, dove nel 1945 apparve il primo manuale per l’educazione sessuale rivolto agli insegnanti, dove nel 1955 l’educazione sessuale nelle scuole divenne obbligatoria, nel Paese dei vichinghi dove sin dalla più tenera età si insegna a impratichirsi con il lattice vulcanizzato nei “condom’s days”, qual è il tasso di abortività tra le giovani?

Solo, si fa per dire, 22,5, tre volte più alto rispetto a quello registrato tra le pari età italiche, per le quali nell’ultima relazione è attestato a 7,2, nonostante i “poveri” giovani italiani siano costretti ad informarsi dagli amici, da Internet e, pensate un po’ che obbrobrio, persino dai genitori. I dati dell’Olanda, dove a scuola esiste il programma Long Live Love per i ragazzi di almeno 13 anni, non si scosterebbero di molto.

E sul versante delle malattie sessualmente trasmesse?

Qui i dati sono più farraginosi e più difficilmente comparabili, ma può essere indicativo quanto riportava l’Organizzazione Mondiale della Sanità riguardo l’infezione da clamidia, un germe assai insidioso, causa talora di sterilità per infezioni trascurate, riferendo la prevalenza negli anni ’90: Italia 2,7%, Francia 3,9%, Olanda 4,9%, Regno Unito 6,2%.

E allora? Se questi sono i risultati dell’educazione sessuale a scuola, voglio essere ottimista e sperare che in Italia non si dia più neppure un centesimo per queste iniziative, lasciando che ciascuno, secondo il proprio grado di maturazione, inizi il proprio percorso di avvicinamento alla scoperta di una dimensione dell’umano grandiosa e potente.

Al giornalista Peter Seewald, Joseph Ratzinger in poche righe ha indicato un errore che l’uomo post-moderno fatica a comprendere: “Vogliamo impadronirci anche dell’esistenza umana per mezzo della tecnica e abbiamo disimparato che ci sono problemi umani originari che non possono essere risolti attraverso di essa, ma che richiedono uno stile e delle decisioni di vita”.

Prima che di fede, è questione di realtà, di responsabilità e in ambito pubblico di appropriatezza degli investimenti.

* Renzo Puccetti è specialista in Medicina Interna e Segretario dell’associazione “Scienza & Vita” di Pisa e Livorno.

http://www.zenit.org/article-25221?l=italian