In estate immaginerò la tua risata

2008-06-30

Joe, non è il suo vero nome, ha 41 anni, è cattolico ed è padre di quattro figli. Dopo 20 anni di matrimonio, Joe ha divorziato da sua moglie Sandy (non è il suo vero nome).
Il loro primo figlio John Peter fu abortito per salvare un matrimonio appena cominciato. Joe prova un grande senso di colpa e di vergogna per la perdita di questo primo figlio. Ha scritto una lettera di scuse a suo figlio, chiedendogli perdono. Questa lettera fa parte del suo processo di guarigione.
Quando delle persone si rivolgono a padre Hugo L. Blotsky per essere aiutati ad affrontare la perdita di un figlio nato già morto, o morto per aborto spontaneo o procurato, egli propone loro una breve pratica di guarigione. Far dare al genitore il nome al figlio e fargli scrivere una lettera al figlio morto spesso causa la guarigione ad un livello profondo. Padre Hugo ha suggerito a Joe di scrivere una lettera al figlio abortito John Peter.
Joe ha chiesto a padre Hugo di condividere questa lettera con gli altri così che altri genitori possano essere risparmiati dal dolore e dalla sofferenza che ha passato in questi ultimi, tanti anni. Joe vuole che gli altri sappiano che c’è guarigione per i genitori in seguito ad un aborto.

Mio caro John Peter,
lo scorso fine settimana ho fatto qualcosa che avrei dovuto fare molto tempo fa. Ho confessato la tua morte per aborto. John, oggi saresti un giovane uomo di vent’anni, esuberante e vivo. Consentendo il tuo aborto ho peccato contro di te e contro Dio. Perdonami John, perché l’ho fatto per tutte le ragioni sbagliate.
La ragione principale, John, era che ero preoccupato, preoccupato che lo stress che avresti aggiunto alla vita di tua madre potesse rovinare il nostro matrimonio appena cominciato. Però John, ora so quanto avresti aggiunto alla mia vita e quanto l’avresti arricchita, e molto probabilmente anche riguardo alla vita di tua madre. John, cercavo, per giustificare la tua morte, di convincermi eri solo un pacchetto di cellule di tessuto, non più forse di quanto un uovo sia una gallina adulta. Cercavo di convincermi che quello che era accaduto era giusto, che nel distruggere quel tessuto avevo salvato il mio matrimonio. Dopo tutto, pensavo, potremo sempre avere altri bambini dopo. John, da quella sera in poi ho sempre avuto un “nodo” nello stomaco. Provavo come potevo, ma non riuscivo a scacciarti dalla mia mente completamente. Forse questo è il peggior tipo di peccato, figlio mio, il tipo che turba una persona così profondamente. A volte, quando mi venivi in mente, immaginavo quanti anni avresti avuto, che cosa avresti potuto fare a quell’età. James, tuo fratello, mi ha ricordato te a volte e così le ragazze.
John, tu avevi tante potenzialità. Lo sapevi John che avresti potuto essere qualsiasi cosa? Mi vengono ancora le lacrime John, come mi sono venute sabato sera. Sono travolto dal dolore John, e le lacrime non riescono a lavar via il dolore. E tuttavia, piccolo, sono io che sono salvato da te e dalla misericordia di Dio attraverso l’intercessione di Gesù. Vedi, Piccolo, è grazie te che alla fine ho cercato la riconciliazione, non nel solito modo, nel modo in cui andavo a confessarmi, fare la mia penitenza e andarmene senza alcuna sorta di contrizione. Piccolo, è la tua morte e la mia colpa che alla fine mi hanno condotto alla confessione di questo peccato. Sì, l’avevo confessato prima, ma l’avevo fatto tanto per “giocare una carta”, per “stare sul sicuro” solo in caso ciò che avevo appreso fosse vero. Come sai, John, tua madre ed io ora siamo divorziati. Tua madre forse non ha mai confessato questo peccato. John Peter, se puoi farmi un favore, ti chiedo che attraverso Gesù tu operi con Sandy lo stesso miracolo che hai compiuto su di me. Anche la tua mamma era giovane, John. Per lei allora tu rappresentavi quella terribile minaccia alla carriera che aveva scelto. Ti prego, perdona anche lei, John Peter. Ti prego, John Peter, intercedi per noi attraverso Gesù.
Trovo ironico in modo bruciante, Piccolo, che sia io a chiedere tali favori a uno che ho ucciso o, piuttosto, consentito che fosse ucciso. E tuttavia chiedo, Piccolo, perché sono arrivato ad amarti in un modo che è ad un tempo profondo e puro.
In autunno, John, quando le foglie cadono dagli alberi io penserò a te, perché anche tu cadesti dalla vita. Nel freddo dell’inverno, John, la neve mi ricorderà te: perché come la neve tu eri e sei bianco e puro. In primavera, John, penserò a te: perché la nascita della primavera mi ricorderà che anche tu avresti dovuto nascere in questo mondo. John, ti penserò in estate: immaginerò la tua risata. Ti vedrò come avresti potuto essere, un piccolo ragazzo che corre e gioca, che si sbuccia i ginocchi per una caduta. Sentirò la mancanza, John, di tutto ciò che avrei potuto guadagnare dalla tua vita.

Mio Piccolo, John Peter, posso solo ora chiederti di perdonarmi come Gesù e Dio hanno fatto.

Che tu possa riposare tra le braccia di Dio.

Papà

http://www.priestsforlife.org/postabortion/dadgrieves.html


Apri la bocca in favore del muto, in difesa di tutti i condannati a morte

2008-06-29

Mi chiamo Janice Lewis, e sono una donna ferita dall’aborto.
All’età di 18 anni, ho tolto la vita al mio primo figlio. Sebbene la maggior parte di questa esperienza sia offuscata nei miei ricordi, ricordo bene la sequenza di pensieri che hanno portato alla mia decisione. Ricordo di aver pensato: “Se posso farlo entro questo limite di tempo, non è ancora un bambino”. Avevo comprato la bugia che mio figlio era meno che umano.
La Bibbia ha molto da dire sull’aborto.
Giacomo 5,6 dice: Avete condannato e ucciso il giusto ed egli non può opporre resistenza.
Proverbi 24,11 ci istruisce dicendo: Libera quelli che sono condotti alla morte e salva quelli che sono trascinati al supplizio. La verità è ciò che tratterrà queste donne, ma dobbiamo parlare chiaro e raggiungerle.
Il verso immediatamente successivo dice: Se dici: «Ecco, io non ne so nulla», forse colui che pesa i cuori non lo comprende? Colui che veglia sulla tua vita lo sa.
È responsabilità di tutti noi lottare per le vite dei nascituri.
Proverbi 31,8 dice: Apri la bocca in favore del muto, in difesa di tutti i condannati a morte.
Per i pastori, so che questo può essere un argomento delicato e scomodo da affrontare. Voglio incoraggiarvi a farvi aiutare da Operation Outcry. Possiamo dire la verità nelle vostre chiese come voci d’esperienza, conoscendo di persona che l’aborto non è una soluzione. Possiamo aiutarvi a favorire la guarigione per gli uomini e le donne delle vostre congregazioni che stanno soffrendo in silenzio con il lutto e la vergogna degli aborti passati. Siamo qui per aiutarvi, per raggiungerli, se scegliete di aprirci le porte ed invitarci.
In onore del mio bambino, di cui porto con me la perdita ogni giorno, continuerò a parlare chiaramente e a dire la verità: l’aborto non ha solo derubato mio figlio della vita, ma ha derubato il mondo di mio figlio.

Janice Lewis è stata, fino a poco tempo fa, direttrice di Operation Outcry per l’Illinois. Il discorso sopra riportato è stato tenuto ad un pranzo di sostegno per Operation Outcry e mi è stata da lei gentilmente inviata per email con permesso di pubblicazione.

Operation Outcry


Lo spettro del bambino non ancora nato era sempre presente

2008-06-27

Questa testimonianza è di un uomo ferito dall’aborto.

Trentacinque anni fa ero il capo di un’agenzia governativa responsabile della costruzione di tutte le installazioni del governo per la contea di Suffolk, stato di New York, una contea con circa un milione e mezzo di persone, ed ero molto conosciuto.
Ero anche sposato con sei bambini ma separato legalmente dalla mia prima moglie; lei ha avuto una lunga storia di gravi episodi di disturbi mentali, aveva rifiutato di concedermi il divorzio perché eravamo cattolici.
In questo periodo incontrai Dianne, madre di due bambini. Lei era separata e nel mezzo della separazione. Ci siamo innamorati ed abbiamo cominciato una relazione. Dopo un po’ abbiamo scoperto che era incinta. Mi sono spaventato! Che cosa dobbiamo fare? Avevo paura dello scandalo e dell’imbarazzo che avrebbe causato. Anche se ero “religioso” non ero credente e mi interessava più la mia posizione nella comunità che la mia posizione nei confronti di Dio. Avevo un amico avvocato che mi convinse che l’aborto era l’unica opzione. Dopo tutto il feto era solo un p.d.c. un prodotto del concepimento… un ammasso di cellule.
Grandi bugie vengono propugnate dal manipolo dei fautori dell’aborto, e nella mia ignoranza ho accettato questo come un fatto. Allora ho convinto Dianne ad abortire, senza mai considerare quanto avrebbe influenzato la sua salute fisica e psicologica, né tantomeno la vita del bambino non ancora nato. In seguito ho percepito un cambiamento sfuggente nel nostro rapporto. Eravamo comunque innamorati ma sentivo il suo risentimento verso quella che ho capito essere stata una decisione insensibile ed egoista da parte mia, presa senza considerare i suoi sentimenti sull’argomento.
Poco dopo, mia moglie separata concesse finalmente il divorzio. Dianne accettò la mia proposta di matrimonio ed appena il divorzio fu definitivo ci sposammo e ci trasferimmo in una casa con i suoi due bambini ed i miei più piccoli. I più grandi erano già fuori casa e indipendenti. Noi eravamo una famiglia abbastanza felice, ma lo spettro del bambino non ancora nato era sempre presente, soprattutto intorno all’anniversario dell’aborto. Dianne diventava triste e risentita ed io avevo dei sensi di colpa.
Ma Dio ci ha riservato una sorpresa. Quando la nostra figlia più giovane aveva sedici anni, ci ha informato di essere incinta. Questa volta sapevamo che cosa fare. Siamo stati d’accordo ad aiutarla a portare avanti la gravidanza e a sostenerla per il bambino. Alla fine ha partorito una bella bambina, ha finito la scuola e si è diplomata al liceo. Ci siamo presi cura della bambina come fosse nostra, fino a quando nostra figlia non si è sistemata come ragazza madre in modo indipendente. Dio aveva riempito un vuoto nei nostri cuori.
In quel periodo vivevamo nello stato di New York dove avevo uno studio da architetto. Non avevamo nessuna chiesa e Dio non era una parte importante della nostra vita. Poi mi si è manifestata la coronaropatia. Ho rinunciato alla mia attività e ci siamo trasferiti prima in Florida e poi in Georgia dove viviamo adesso.
In Georgia abbiamo iniziato a cercare una chiesa e gli amici ci hanno condotti alla locale chiesa presbiteriana che abbiamo frequentato per più di dieci anni. Ma io non avevo accettato Gesù Cristo come Dio e Salvatore. Poi attraverso una serie di circostanze insolite che solo Dio poteva disporre, mi sono trovato ad una crociata di Benny Hinn dove sono stato condotto al Signore. Ho accettato Gesù Cristo come mio Signore e mio Salvatore.
Ora Dianne è impegnata in un centro locale di aiuto alla gravidanza dove l’avevano assistita e a suo turno ha cominciato ad assistere altre donne che avevano abortito e ha condotto dei corsi biblici. Questo l’ha condotta a “The Justice Foundation” e “Operation Outcry”, suo impegno attuale. Io ho seguito la sua guida per essere “perdonato e liberato”
Non abbiamo mai dimenticato il nostro figlio non ancora nato, un maschietto, che abbiamo chiamato Davide, e non vedo l’ora di riunirmi a lui in Paradiso. Consiglierei a qualsiasi uomo che abbia preso parte ad un aborto di cercare il Signore ed accettare il suo perdono. Io sono stato finalmente in grado di perdonarmi con il Suo aiuto.

Don Donaudy, figlio di genitori di origine francese e ligure, risiede con la moglie Dianne in Florida. Don e la moglie Dianne hanno partecipato ad iniziative per la vita anche in Italia, Francia ed Israele. Questa testimonianza mi è stata da lui molto gentilmente inviata per e-mail con il permesso di pubblicazione.

http://www.operationoutcry.org
Testimonianza di Dianne Donaudy


È stata la decisione che più ho rimpianto

2008-06-24

Avevo 29 anni, ero madre nubile di due figli piccoli e lavoravo a tempo pieno per mantenerci. Avevo una relazione con un uomo da circa sei mesi, quando rimasi incinta. Avevo avuto problemi nel concepire i miei primi due figli, e siccome amavo quest’uomo, ero felice.
Il padre del mio bambino non lo era, e non voleva che lo avessi. I pochi amici che conoscevano la situazione concordarono che avrei dovuto abortire. Una persona (un legale), mi suggerì che se avessi deciso di avere il bambino, avrebbero potuto dichiararmi madre non idonea e farmi perdere la custodia degli altri miei due figli. Che cosa c’entra l’uccidere con l’essere una madre idonea?
Ero stata da un ginecologo e l’organizzazione fu fatta in un ospedale locale. Mentre mi portavano sulla barella per la sala cominciai a piangere, ed il medico mi disse: “Dianne, non devi fare così”, e la mia unica risposta fu: “sì, devo”. È stata la decisione che più ho rimpianto. Quel giorno, così tanto tempo fa, ha creato in me un buco che non si sarebbe mai riempito.
Tutti dicevano che era solo un grumo di sangue, un pezzo di tessuto. Ma io sapevo che era un bambino che stava crescendo dentro di me, ed io volevo disperatamente il mio bambino. Ogni giorno vorrei aver cercato aiuto e non aver ceduto alla vergogna ed alla disperazione: perché ci lasciamo spingere da altri a prendere una decisione che ci segnerà per la vita?
Gli ani passavano, ma il dolore no. Seppellii questa cosa così profondamente dentro che non ne ho mai parlato per quasi 25 anni. Il momento del cocktail divenne un rituale importante: trovavo che l’alcool era eccezionale per offuscare le emozioni. Sognavo di camminare in una stanza o uno sgabuzzino e di trovare il mio bambino e di non ricordare se avevo dato da mangiare o cambiato il bambino. Fu difficile quando nacquero i miei nipotini: il pensiero del mio figlio mancante mi faceva così male. Tutto questo era sepolto dentro. Fuori ero la moglie, nonna, impiegata ed amica impegnata e di buona reputazione.
Com’è che questo diritto della donna a “scegliere”, per cui tanto combattono i fautori dell’aborto, ferisce così tanti, così profondamente, così a lungo? Alcuni anni fa vidi un annuncio in un nostro giornale locale e andai ad un incontro organizzativo di un centro di aiuto alla gravidanza. Per la prima volta ho trovato speranza con la nascita di quel centro. Ho trovato un modo per affrontare le mie emozioni sepolte. Ho frequentato un corso biblico di recupero dall’aborto dove ho trovato il perdono di Dio. Ho anche trovato libertà dall’impedimento che avevo ad aprire la mia bocca e a parlare della mia esperienza. È nato anche un sogno in me e quel sogno è vedere la fine di questo olocausto che è l’aborto.
Anche il mio rapporto con il mio Signore e Salvatore, Gesù Cristo, è stato riparato, ed è per Sua grazia che posso parlare francamente. C’è perdono e c’è libertà dalla schiavitù dell’aborto. Rimpiango di avere abortito. L’aborto ferisce le donne! Ogni giorno donne e ragazze sono incoraggiate a sottoporsi ad una procedura che le segnerà a vita. Ascoltatemi, non siamo straniere e non siamo mere statistiche. Siamo figlie, sorelle e madri. Non possiamo e non staremo più zitte. Le donne si meritano qualcosa di meglio dell’aborto. Dobbiamo andare oltre al rendere raro l’aborto, dobbiamo renderlo non necessario ed impensabile. L’aborto ferisce le donne e non starò MAI PIÙ ZITTA.

Dianne Donaudy risiede con suo marito Donald nella contea rurale di Jackson, Florida. Don e Dianne hanno otto figli tra di loro e quattordici nipotini. Lei ha condotto un corso biblico per donne post-abortive ed ha prestato servizio nel direttivo del locale centro d’aiuto alla gravidanza. Ora presta servizio nel comitato pro-life della Tavola Rotonda dei Governatori ed è la direttrice di Operation Outcry per la Georgia.


http://www.trinityzone.org/operationoutcryga/p3a.html
http://www.silentnomoreawareness.org/signaturead/ad.pdf
http://www.operationoutcry.org
Testimonianza di Don Donaudy


Il più grande rimpianto della mia vita è di non aver seguito il mio cuore

2008-06-22

Sono nata a Saipan, isola dell’Oceano Pacifico, quando mio padre lavorava per la CIA. Mentre era incinta di me, mia madre fu esposta alla rosolia e le fecero un vaccino che causò la mia quasi completa cecità alla nascita. Comunque, sono sempre stata trattata come gli altri figli. Andavo a scuola normalmente e ho sempre creduto di poter fare tutto quello che gli altri potevano fare.
Mia madre ed io avevamo un rapporto tempestoso; a 16 anni andai via di casa per vivere con un’amica. Una notte mia madre mi chiamò dopo aver bevuto. Disse che era molto triste per me perché pensava che non avrei mai trovato l’amore e che non mi sarei mai sposata, e che nessuno mi avrebbe voluta. Mi arrabbiai molto per le sue parole, ne fui profondamente influenzata e passai molti anni della mia giovinezza a provare che aveva torto. Questo mi portò a relazioni autodistruttive, impossibili.
Nel 1981 avvennero due eventi che cambiarono la mia vita: rimasi incinta, ed abortii. Quando scoprii di essere incinta ebbi due diverse reazioni. Inizialmente scoppiavo di gioia ed ero piena di meraviglia perché stavo portando mio figlio. Poi mi sentii in colpa e mi vergognai perché il bambino era la conseguenza di una breve storia con un uomo sposato.
Quando parlai ad alcune persone della mia gravidanza, mi consigliarono di abortire. Mi sentii in dovere di dirlo al padre del bambino, non perché mi aspettassi niente da lui, ma perché credevo che avesse il diritto di sapere. Era molto turbato e mi supplicò di interrompere la gravidanza. Disse che il sapere che aveva un figlio in giro gli avrebbe rovinato la vita.
Nel mio cuore volevo profondamente avere il bambino, ma non volevo essere responsabile dell’infelicità di qualcun altro. Decisi di procedere con l’aborto ma cambiai idea alla clinica per aborti ed uscii. Sentii un enorme senso di sollievo, ma dovetti fare i conti con la gente che mi incoraggiava ad abortire, incluso il padre del bambino.
Lacerata dalla decisione che mi si prospettava, vidi uno psichiatra/abortista che pure mi disse che l’aborto sarebbe stata la miglior soluzione in quelle circostanze. Alla fine soccombetti alle pressioni.
Ricordo nitidamente i suoni, il dolore, la sensazione di avere mio figlio strappato dal corpo, ed il vuoto immediato. Il più grande rimpianto della mia vita è di non aver seguito il mio cuore e di non avere avuto il coraggio, attraverso le mie convinzioni, di far nascere il mio bambino.
Per anni ho cercato di reprimere questo ricordo. Non parlavo mai di questo “segreto” del mio passato. Facevo sogni, a volte incubi, e a volte riguardavano la mia bambina viva, che parlava, ed abbastanza avanti per la sua età.
Dopo alcune relazioni autodistruttive con uomini, mi impegnai a rinunciare agli uomini e per tanti anni continuai a non avere relazioni strette. Recitavo sempre il ruolo del consigliere, li aiutavo con i loro problemi ma stando molto cauta riguardo a me stessa.
Cominciai la mia via di guarigione quando udii un’amica che raccontava la storia del suo aborto in una radio su internet. Questo ebbe un profondo effetto su di me ed in seguito seguii un programma di recupero dall’aborto attraverso la Vigna di Rachele.
Attualmente rispondo ad un telefono verde nazionale per la Vigna di Rachele di sera e nei fine settimana. Faccio anche volontariato per il telefono nazionale due giorni alla settimana. Ricevo centinaia di telefonate su entrambe le linee da donne e uomini di tutto il paese che raccontano le loro tragiche storie di aborto e che cercano qualcuno che li ascolti, capisca e in molti casi li aiuti a portare il proprio peso. Indirizziamo queste donne e questi uomini a programmi di recupero dall’aborto per cercare di alleviare il loro peso, ma il loro dolore non se ne va mai davvero via. Dopo aver lavorato per aziende private per diversi anni, ho deciso di dedicare la mia vita a dire la verità e ad insegnare alla gente che l’aborto ferisce le donne, gli uomini e le famiglie.

Tracy Reynolds è produttrice di Faces of Abortion e Media Liaison per The Justice Foundation. Fa anche volontariato per una linea nazionale di recupero dall’aborto. Ha anche una egregia carriera in Risorse Umane ed ha lavorato come assistente per interventi in situazioni critiche per organizzazioni no-profit.

http://64304.netministry.com/images/TRACYREYNOLDSSep07.doc
http://www.operationoutcry.org/pages.asp?pageid=27784


Non c’è niente che causi più vergogna e dolore alle donne dell’aborto

2008-06-21

All’età di 24 anni scoprii di essere incinta. Il mio ragazzo mi chiese immediatamente di non tenere “questa cosa”. Tutti i miei amici dicevano che non avrei dovuto tenere “questa cosa”. Dato che ero già madre di un figlio, sola e senza sostegno da parte di suo padre, credetti sinceramente di non avere opzioni. Mi sentivo molta pressione addosso e non mi sembrava di avere vie d’uscita.
Pensavo che altre avevano abortito in passato, quindi non lo vedevo come un granché. Incinta di otto settimane, la mia amica, che io avevo accompagnato ad abortire anni prima, ora stava accompagnando me.
Firmai ed aspettai insieme ad altre cinque donne. Una alla volta, chiesero ad ognuna di noi se questo era ciò che volevamo. Una donna era lì per il sesto aborto. Ricordo di aver pensato: “Come ha potuto continuare a farlo?”
Poi mi fecero un’ecografia. Quando chiesi di vederla mi dissero che non era una buona idea. Dissi che andava bene, volevo solo vedere. L’assistente girò il monitor verso di me e mi mostrò un piccolo punto sullo schermo. Ricordo di aver pensato che “questa cosa” non era proprio niente, non capendo che non mi stava facendo vedere il mio bambino.
Dopo che mi posizionarono sul tavolo, entrò l’abortista. Quando lo guardai, rimasi senza fiato quando capii di conoscerlo. Era un cliente dell’ufficio legale dove lavoravo. Volevo morire proprio lì. La vergogna che mi venne addosso era insopportabile; tuttavia, non mi guardò mai. Non mi esaminò mai, non guardò mai la mia cartella, e non mi fece mai domande.
L’assistente mi diede una maschera con del medicinale e mi sussurrò che dovevo stare completamente ferma. L’abortista disse che avrei sentito un piccolo disagio mentre mi somministrava l’anestetico. Ci fu un dolore molto più grande di un piccolo disagio.
Poi partì l’aspiratore. Quello fu il momento più lungo della mia vita. Mi sembrava di essere scossa violentemente fuori dal tavolo. L’infermiera mi urlò di stare ferma. Scendevano lacrime dal mio volto. Sapevo che stavo facendo il più grande errore della mia vita, ma era troppo tardi. L’unico gesto compassionevole che ricevetti fu dall’assistente che mi dava delle pacche sulla testa e mi diceva di continuare a piangere, che era una cosa buona piangere. Sembrò un’eternità. Quando si sarebbe fermata la macchina? Pensavo veramente di stare per morire.
Dopo l’aborto, sentii il rumore metallico degli strumenti, lo schiocco dei guanti dell’abortista, mi schiaffeggiò sulla coscia dicendo “Buona fortuna” ed uscì senza mai guardarmi. Fui sollevata perché provavo vergogna, ma comprendo ora quanto fu freddo ed irrispettoso e che non ci fu nessun rapporto medico-paziente.
Fui condotta in una stanza con poltrone reclinabili dove le ragazze si rannicchiavano in posizione fetale, piangendo e soffrendo. Quando fui dimessa mi diedero una ricetta per antibiotici e mi dissero di tornare per una visita di controllo. Ricordo di aver pensato: “Non tornerò mai più qui”.
Il mio ragazzo venne per “assicurarsi che stessi bene”. Ero rannicchiata sul divano e non riuscivo neanche a vederlo. La nostra relazione finì poco dopo.
Quella sera cominciai ad indossare una maschera per nascondere la mia vergogna, maschera che durò anni. La vergogna era così forte che non volli compilare la ricetta per gli antibiotici. Non volevo che nessuno sapesse che cosa avevo fatto. Il dolore che soffrivo fu il peggiore dolore fisico e psicologico che abbia mai provato. Mi sentivo ingannata e violentata. Non avevo idea di cosa mi avrebbe fatto l’aborto. Se qualcuno mi avesse solo messa in guardia, il mio bambino ed io avremmo potuto essere salvarci.
Dopo l’aborto cominciai a bere fortemente. Provai la droga e passavo la maggior parte del mio tempo libero nei night club. Ero una buona madre quando avevo bisogno di esserlo, e poi avevo il “mio” tempo quando potevo essere cattiva quanto pensavo di esserlo. Non avevo autostima. Tutte le cose che dicevo che non avrei mai fatto, ora le facevo. Furono pochi i peccati che non commisi, ma la mia famiglia non era al corrente che ci fosse mai stato un problema.
In seguito all’aborto, ebbi periodi di pianto incontrollabile, dormivo troppo, sentivo dolore al petto e facevo fatica a respirare. Il mio medico mi diagnosticò attacchi di panico e depressione, per i quali dovetti prendere delle medicine. Non avevo mai avuto questi problemi prima. Non ho mai parlato a nessun medico del mio aborto.
Se l’aborto non fosse stato legale, non sarei mai andata in quella clinica per aborti quel giorno. Non avrei avuto anni di dolore ed ansia per aver tolto la vita a mio figlio. Non c’è niente che causi più vergogna e dolore alle donne dell’aborto. Una donna se lo porta nel cuore per il resto della vita. L’aborto porta solo dolore, pena e rimorso. Per via delle prove scientifiche che ora abbiamo, per via delle tante testimonianze di donne su quanto l’aborto le abbia ferite, poiché ora sappiamo che non è una cosa buona per le donne e che non è una scelta in realtà, l’aborto non dovrebbe più essere legale.

Lisa Dudley è la direttrice di Outreach per Operation Outcry ed è assistente legale per The Justice Foundation. Parla della sua storia nelle chiese e davanti ai parlamenti di tutta la nazione. Ha tre figli ed una figlia.

http://64304.netministry.com/images/LisaDudley-May2007.pdf
http://www.operationoutcry.org/pages.asp?pageid=27784


Sono una sopravvissuta all’aborto e non posso più rimanere zitta

2008-06-20

Un giorno, quando ero in terza elementare, mia mamma e mio papà mi chiesero di sedermi per parlare. Cominciarono col dirmi che, siccome ero molto piccola, i miei genitori mi trovavano che dormivo rannicchiata strettamente in posizione fetale, sepolta sotto le coperte e sempre in un lato del letto. Avevo l’incubo ricorrente di essere intrappolata in una stanza con una finestra bloccata da un coltello e dicevano di trovarmi spesso a parlare al mio “altro sé”. Mia mamma disse di pensare che questi erano segni che la invitavano a confessarmi qualcosa che aveva fatto e sperava che l’avrei perdonata.
Mi parlò di quando, a 39 anni, con cinque figli già grandi (il minore aveva 19 anni e due erano al college) si era trovata incinta. Aveva ricevuto pressioni da un’amica in particolare di abortire perché era troppo vecchia e sarebbe stato “ridicolo” avere un bambino alla sua età. Questo accadeva nel 1952, e la sua amica le insegnò un metodo per abortire da sola. Lei rimandò il suo aborto fino alla fine di giugno, al compleanno di Elliott, il figlio maggiore. Era incinta di circa tre mesi.
Cominciò a piangere e mi disse di non credere quando ti raccontano che non è un bambino, ma solo un ammasso di tessuto. Faceva fatica a continuare. “Era un maschietto perfetto”. Pianse disperatamente sul freddo pavimento del bagno e chiese a Dio di perdonarla e Gli promise che, se mai fosse rimasta incinta, non avrebbe MAI abortito il bambino. Fece andare il suo piccolo figlio giù per il water e disse che stette sdraiata sul freddo pavimento fino ad essere stordita.
Nessuno lo sapeva, tranne lei e la sua cosiddetta “amica”. Poi, sentì ancora di essere incinta. Il medico disse che io ero probabilmente un tumore o un’ulcera. E, agli inizi di settembre, le diedi un calcio! Il medico fu sorpreso che io fossi stata una gemella nascosta e fossi sopravvissuta al tentativo di aborto. Mia mamma non parlò con nessuno della sua gravidanza se non con mio padre, ed in seguito con il mio fratello più giovane Fred, che aveva 19 anni.
Avrei dovuto nascere il 21 gennaio 1953, però indussero il parto un mese prima, il 19 dicembre 1952 e, dopo tre giorni di travaglio, nacqui nell’Ora della Misericordia, alle 15,30 di domenica 21 dicembre 1952. Lei mi chiese di perdonarla. Le chiesi se mi amava ADESSO perché non mi conosceva allora. Lei continuò a singhiozzare e disse: “Sì, ti amo come la mia vita”. Dissi: “OK” e, dirigendomi dalla sala verso la mia camera, continuavo a sentire i suoi singhiozzi che mi spezzavano il cuore. Quando mio papà si affrettò a prendermi il braccio mi sussurrò: “Non l’ho fatto io”, ed indicando la mamma disse: “È stata lei”. E credo che lo Spirito Santo, attraverso di me, gli disse: “Ma il tuo amore avrebbe dovuto farla sentire sicura di avermi”. Queste parole colpirono il suo cuore e gli impedirono di venire ancora. (Nota: non ho mai più dormito rannicchiata o avuto incubi dopo quel giorno).
Gli anni passarono. La “malattia” senza nome di mia mamma era ciclica e la faceva stare a letto dalla fine di giugno all’inizio di settembre. A volte aveva accessi d’ira, o girava in casa di notte, o andava a fare spese pazze. Soffriva di paranoia, e s’ingozzava delle pillole prescritte dal medico. Questo la portò ad essere ricoverata in ospedali psichiatrici, imbottita di farmaci psicotropi e sottoposta a dolorosi elettroshock. Parte della terapia consisteva nel dirle che era una vergogna – l’aborto allora non era legale – perché avrebbe potuto andare al college, fare carriera… e non sprecare i suoi talenti. Ricordo quando guardai in profondità nei suoi occhi drogati e le dissi in un giorno d’estate: “So che mia mamma c’è da qualche parte, ed un giorno quando sarò cresciuta scoprirò che cos’è questa malattia!”. Tutti noi soffrivamo. Attorno a me vedevo altre mamme con problemi ed ossessioni simili. Ora viviamo nei giorni di Roe v. Wade [la sentenza che ha legalizzato l’aborto negli USA]. Pensate alla vastità del dolore di mia mamma dovuta ad un solo tentativo di abortire, ed ora le donne abortiscono diverse volte! Tre mesi prima che mia mamma morisse, le chiesi perché tutti gli esaurimenti capitavano da giugno a settembre ogni anno. Perché? Scoppiò a piangere e disse che fu nel giorno del compleanno di Elliott (fine di giugno) che lei aveva abortito mio fratello e, quando Elliott morì tragicamente a 27 anni, lei sentì di aver causato la morte del suo primogenito quando aveva abortito il suo ultimogenito. A settembre lei si ricordava del giorno in cui l’avevo calciata e di quanto era felice, e questo la faceva uscire dalla depressione. Non poteva fidarsi di se stessa e si odiava per aver abortito suo figlio! Come poteva perdonarla Dio? Era una forma di autopunizione per un crimine che sentiva non potesse essere perdonato. Le dissi che per questo Gesù era morto e che Dio l’aveva perdonata quando lei aveva scoperto di essere incinta di me. Egli si era fidato di lei per darmi la vita. Non ci aveva mai pensato fino al giorno in cui glielo dissi. Tre mesi dopo morì, ma in pace, e perdonata.
Allora ed adesso, col silenzio dal pulpito, le comunità mediche e psichiatriche continuano a far andare questa industria di morte. Ora abbiamo un nome per la “malattia”. È la sindrome post aborto. Ma i medici ed i cosiddetti “gruppi per i diritti” delle donne non la riconoscono nemmeno. Tante donne soffrono in silenzio, cercando aiuto. Tuttavia viviamo in un’epoca in cui i gruppi di Progetto Rachele, i ritiri dei Ministri di San Raffaele e le organizzazioni pro-life stanno facendo breccia nella barriera di silenzio ed aiutando tutte le vittime dell’aborto a trovare guarigione attraverso la croce di Gesù ed i sacramenti che danno vita, specialmente la Riconciliazione.
Non posso più rimanere zitta. Sono una sopravvissuta all’aborto. La vita non è mai uno sbaglio; la vita è sempre una benedizione di Dio. Ogni persona ha una missione divina che lei sola può compiere.
La Bibbia dice: “…e un fanciullo li guiderà”. È il peggiore dei tempi per il grande peccato, ma è il migliore dei tempi per l’abbondanza della grazia di Dio. L’amore è decisione. Decidiamo di non stare più zitti.
Audrey

http://www.priestsforlife.org/testimony/audreytestimony.html


Se solo avessi visto un’immagine dello sviluppo fetale non avrei mai scelto di abortire

2008-06-19

Appresi di essere incinta quando avevo 18 anni, dopo la mia prima esperienza sessuale. La nausea al mattino fu il primo segno rivelatore che il mio corpo stava cambiando e che una nuova vita stava crescendo dentro di me. Mentre tenevo la mia testa sopra il water piangevo senza controllo, comprendendo che la mia vita non sarebbe stata più la stessa. Ero oppressa dalla paura e dalla vergogna, e sapevo di aver bisogno di aiuto.
Quando lo dissi al padre del bambino, ruppe la nostra relazione immediatamente. Mi sentivo abbandonata e sola. Ero una matricola al college e mi dicevano che avere un bambino avrebbe rovinato la mia vita e la mia carriera futura. L’unica “scelta” di cui si parlava era l’aborto. Mi vergognavo di essere incinta e non sposata, e così pensai che l’aborto avrebbe risolto il mio problema.
Mi sentii spinta ad abortire in fretta perché ero molto vicina al limite delle dodici settimane. Non c’era tempo per pensare ad altre opzioni. Se avessi abortito nessuno avrebbe saputo della mia gravidanza, ed avrei salvato la mia famiglia dalla vergogna.
“Non dovrai neanche ammettere di essere mai stata incinta” fu il consiglio che ricevetti. Credetti alla bugia che era solo un ammasso di tessuto che poteva essere buttato via. Mi dissero che avrei potuto dimenticare l’aborto e continuare la mia vita senza conseguenze. Ma non potei dimenticare. Nelle relazioni con i ragazzi la prima cosa che rivelavo era il mio aborto perché ero terrorizzata dall’essere respinta. Per anni sono stata “pro-aborto” perché pensavo di dover giustificare il mio aborto.
Ho sofferto di esaurimento nervoso ed ho trascorso del tempo in una clinica psichiatrica per via della paura di non potere avere più figli. Mi sembrava di vivere al rallentatore perché la mia mente, un tempo acuta, era molto offuscata. Mi ci vollero degli anni per ripristinare la mia capacità di pensare e reagire normalmente. L’esperienza dell’aborto mi ha lasciato cronicamente depressa e confusa.
In seguito ho appreso che il mio nascituro di 12 settimane aveva un cuore che batteva e braccia e gambe pienamente sviluppate. Se solo avessi visto un’immagine dello sviluppo fetale non avrei mai scelto di abortire. Sentivo che mi avevano mentito ed ingannata.
Voglio che l’America sappia che l’aborto ferisce le donne. Le donne sono create per amare e nutrire i propri figli, non per farseli strappare dal grembo e gettare via. C’è una disconnessione tra il cuore e la mente di ogni donna quando acconsente ad abortire. Sebbene cerchi di dimenticare l’aborto e sopprimere i ricordi, alla fine guarderà in faccia alla realtà che suo figlio è stato mutilato dall’aborto.
Il mio rifiuto della realtà è durato 21 anni. Ho pianto senza controllo dalle profondità della mia anima per tre giorni, quando alla fine ho guardato in faccia alla verità. Il pianto dava sfogo al dolore nascosto e cominciò un percorso di guarigione che mi portò al perdono. Mi ricordo di aver gridato: Dove sono le donne? Dove sono le donne che vogliono parlare della tragedia dell’aborto?
Non voglio che nessuna donna attraversi il dolore e la sofferenza profondi che ho provato. Devo levare la voce e raccontare la mia storia per incoraggiare altre donne che stanno soffrendo in silenzio a cercare la guarigione emotiva ed il perdono.

Karen Bodle è la guida del Gruppo di Preghiera e la direttrice di Operation Outcry per la Pennsylvania. Il suo più grande desiderio è vedere l’aborto diventare una scelta socialmente inaccettabile negli Stati Uniti e nel mondo.
Karen è laureata in Matematica ed Istruzione al Juniata College. Dopo aver insegnato matematica alle superiori per alcuni anni, ha cambiato professione ed ha lavorato come programmatrice, analista di sistemi e project manager. Mentre viveva a Buenos Aires lavorando per l’IBM, ha fatto un’esperienza che le ha cambiato la vita e l’ha portata al suo impegno attuale: aiutare le donne a riprendersi dall’aborto. Karen risiede a Harrisburg con la sua figlia adolescente.

http://64304.netministry.com/images/KarenBodleJun08.pdf
Un grido senza voce


Legalizzare l’aborto non l’ha reso sicuro

2008-06-18

Per 31 anni ho rimpianto di aver creduto alle bugie dell’aborto. Nel gennaio 1973, all’età di 28 anni, ero sposata con quattro bambini quando mio marito ed io facemmo la “misera scelta” dell’aborto, basandoci su bugie e su paure esagerate.
A mia insaputa, mio marito presumeva che un’altra gravidanza avrebbe comportato che io diventassi più anemica di quanto lo ero diventata con la precedente gravidanza. Quando disse che era l’unica cosa da fare, sapevo che cosa lui voleva dire. L’aborto era stato legalizzato la settimana prima. Temevo che il nostro matrimonio non fosse forte. Lui era preoccupato, io non fui abbastanza forte.
Fu molto diverso dal 1965 quando ero una ventenne nubile, studente di college ed incinta. Non avevamo mai pensato all’aborto allora. Non era legale. Ci sposammo.
Nel 1973 non compresi che ero diventata madre al momento del concepimento, quando comincia la vita. Spaventata e sotto pressione, andai da Planned Parenthood. Non mi diedero alcuna informazione sullo sviluppo del feto/bambino, neanche un test di gravidanza. Non fu fornita alcuna informazione sulla procedura abortiva, sui rischi e le conseguenze. Mi dissero: “Se hai dei problemi dopo, abbiamo degli assistenti disponibili”. Mi chiedevo: “Perché dovrei avere dei problemi?”
La notte prima dell’appuntamento chiesi: “Dio, c’è qualcosa di sbagliato in ciò che sto per fare? L’uomo dice che non è nemmeno vita. Che cosa dici Tu?”. Al mattino chiamò un impiegato della clinica per dirmi: “Il medico ha cancellato i propri appuntamenti di stamattina”. Non stavo ascoltando; presi un altro appuntamento! Mentre ero nella sala d’aspetto, c’erano altre tre donne. Due di loro pure erano sposate con figli. Sentii la loro conversazione: “È il nostro secondo, ed è troppo presto” – “Questo è il nostro terzo e ne vogliamo solo due”. La terza donna era più giovane ed era l’unica che piangeva.
Non pensavo a niente e non provavo niente, stavo già negando la realtà. Durante la procedura abortiva il mio utero fu danneggiato. A causa della mia “misera scelta”, dovette essere rimosso, il che portò alla deprivazione di estrogeni ed in seguito alla depressione. Legalizzare l’aborto non l’ha reso sicuro.
Un anno e mezzo dopo, dato che sentivo un peso opprimente di senso di colpa, lutto e vergogna, seppi “senza ombra di dubbio” che ero responsabile della morte di mio figlio. “Oh Dio, ho ucciso!”.
Legalizzare l’aborto non l’ha mai reso giusto. Legalizzare l’aborto non l’ha mai reso una cosa buona per le donne.
Quando il nostro terzo figlio nacque prematuro di due mesi e morì, la perdita portò lutto ma non senso di colpa. Ma l’aborto distrusse il nostro rapporto genitore-figlio e quasi distrusse il nostro matrimonio per via del senso di colpa, del lutto, della vergogna e dei rimproveri. Oggi mio marito ed io concordiamo sul fatto che la devastante “misera scelta” dell’aborto è stata la peggior decisione che abbiamo mai preso.
Dio ci ama così tanto che ha dato Suo figlio perché pagasse il nostro debito di peccato. Gesù Stesso ha portato il Suo stesso corpo sulla croce per offrirci perdono, per prendere la nostra colpa e la nostra vergogna, liberandoci per toccare i cuori, cambiare le vite, ripristinare la giustizia nella nostra nazione! L’aborto ferisce madri, padri, famiglie, e l’America!
Sei stata ferita dall’aborto? Stai pensando di abortire? Chiama il numero nazionale 1-866-482-LIFE [In Italia 8008-13000].

Myra Myers è la direttrice di Operation Outcry per il Texas. Ha prestato servizio come volontaria e direttrice di un centro di aiuto alla gravidanza di Okinawa. Ha partecipato alle attività del Christian Women’s Clubs per 28 anni in Texas, New Hampshire, Okinawa, Tokyo e Seoul.
Myra ha testimoniato a favore del “Women’s Right To Know Bill” [legge che prescrive tra l’altro che le donne che vogliono abortire devono essere messe a conoscenza dell’aiuto che possono ricevere in caso portino a termine la gravidanza] nel Consiglio delle Commissioni Salute del Texas. Ha anche testimoniato a favore del “Prenatal Protection Act” [legge che punisce l’uccisione di un nascituro contro la volontà della madre] in un’audizione al Parlamento del Texas.
Myra e Gary, suo marito da 40 anni, risiedono a Flower Mound nel Texas. Sono genitori di sei figli e nonni di 15 nipoti.


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Video testimonianza di Myra Myers
Un grido senza voce


Cercai di suicidarmi, mi odiavo per ciò che avevo fatto

2008-06-17

A 21 anni feci la “scelta” sbagliata di abortire. Allora mi dissero che avrebbe risolto il mio problema e che avrei potuto continuare la mia vita. Non risolse nulla. E invece mi diedi alla droga ed all’alcool per nascondere il dolore ed il senso di colpa che provavo per aver scelto la morte del mio bambino.
Cambiò anche il modo in cui mi rapportavo a mio figlio di sei mesi che mi aspettava quando tornai a casa dalla clinica per aborti. Stava piangendo, ed io non riuscivo a tenerlo e consolarlo. La nostra cara relazione cambiò quel giorno.
Per via della mia avversione ai bambini, dieci anni più tardi feci un’altra “scelta” sbagliata. In una clinica mi avevano fatto un’iniezione di Depo Provera [una sostanza contraccettiva]; e poi l’incredibile accadde. Alcuni mesi dopo ero ancora incinta. NON volevo abortire ancora, così stavolta decisi di tenere il bambino e di darlo in adozione. Ma il padre disse: “I miei genitori non permetterebbero MAI che uno dei LORO nipotini fosse dato via!”.
Così tornai alla clinica piangendo, cercando di non pensare a quello che stava per succedere. Piansi per l’intera procedura e specialmente quando l’infermiera guardò il medico e disse: “Oh guarda, gemelli”. Mi sorrideva come se fosse una cosa di cui avrei dovuto essere fiera. Ricordo di averla vista al rallentatore come non stesse accadendo veramente.
Divenni isterica ed iniziai ad urlare e cercai di scendere dal tavolo. L’infermiera e gli altri dovettero entrare e tenermi giù. Il medico mi urlò di stare sdraiata e mi disse che non poteva interrompere ciò che stava facendo a causa del tessuto rimasto dentro di me. Così dovetti stare sdraiata lì, tenuta contro la mia volontà, mentre il medico toglieva il resto dell’altro bambino fuori di me. Mentre ero nella sala postoperatoria entrò per parlarmi e si scusò per il “comportamento” dell’infermiera. Non dovrebbero parlare alle donne dei loro bambini.
Ricordo di essere uscita di lì come uno zombie, desiderando di morire. Cercai di suicidarmi ed ebbi diverse overdose perché mi odiavo per ciò che avevo fatto.
Voglio che le donne e gli uomini sappiano che non si può neanche immaginare il dolore a meno che ci si passi di persona. L’aborto non è una cosa che capita e tu puoi continuare la tua vita. Vai avanti come un individuo molto ferito. Non voglio che altre donne provino il dolore che io ho avuto.
Leverò la voce per far sì che la gente sappia che le leggi devono essere cambiate in modo che altre donne non facciano la “scelta” sbagliata come me.
Non volevano che sentissi parlare dei miei gemelli quel giorno. Ma penso che Dio abbia permesso che io ascoltassi per farmi aprire gli occhi e questo può aiutare ad aprire gli occhi di altre donne un giorno.
Credo che bisognerebbe esigere che le cliniche per aborti dicano alle donne che NON è solo tessuto, è un BAMBINO VIVENTE!
Ma, più di tutto, spero che la Corte Suprema degli USA capovolga Roe v. Wade [la sentenza che ha legalizzato l’aborto negli USA]

Rebecca Porter è direttrice di Operation Outcry per la Florida. Presta servizio come direttrice dei servizi al cliente in un centro di aiuto alla gravidanza ed è anche la loro moderatrice certificata per il corso biblico “Perdonata e Liberata” per le donne con sindrome post aborto.
Presta servizio anche come direttrice generale per Right to Life della Florida. Ha lavorato per far approvare la legge della Florida “Women’s Health and Safety Act” e la legge che prescrive la notifica ai genitori di una minore che vuole abortire.
Rebecca dirige ‘Un grido senza voce’, un progetto che consente alle donne di commemorare le vite dei propri figli attaccando un biglietto col nome del bambino abortito ad un paio di scarpine. Queste scarpe hanno viaggiato per gli USA, Israele e per l’Olanda.

http://64304.netministry.com/images/RebeccaPorter-Sep07.pdf
Un grido senza voce


Sapevo che era un bambino, ma negavo la realtà per alleviare il dolore

2008-06-16

La mia storia comincia quando mio padre abusò fisicamente e sessualmente di me quando avevo sei anni. Mia madre alla fine lasciò mio padre e tornammo nel Missouri sudorientale a vivere con mia nonna.
A 17 anni andai via di casa e mi diressi verso una città più grande. Ero una ragazza di provincia giovane e ingenua. Non molto tempo dopo essere arrivata fui violentata. Circa un anno dopo cominciai una relazione con un uomo sposato molto più vecchio. Dopo che la relazione era finita lui mi disse che stavo cercando una figura paterna: era proprio vero! Avevo sempre bisogno che gli uomini mi dicessero che ero bella perché mi aiutava ad alleviare il vuoto che sentivo dentro.
Alcuni anni dopo mi sposai ed ebbi due figlie stupende. Nel 1980, a 33 anni, divorziai e diventai una ragazza madre, cominciai una nuova carriera nel settore dei viaggi. Mentre ero fuori città, incontrai un uomo al ristorante di un hotel. Da cosa nasce cosa, e il resto è storia. Qualche settimana dopo, lo chiamai per fargli sapere che ero incinta, e lui offrì immediatamente il denaro per l’aborto. Accettai la sua offerta, temendo che la gravidanza avesse un effetto negativo sul mio lavoro e sulla mia reputazione. Ma la mia paura più grande era il pensiero di cedere le mie figlie al loro padre se avesse saputo della gravidanza.
Il mio supervisore si offrì di andare con me alla clinica per aborti. Una volta lì, cercai di andarmene ma il mio supervisore mi disse che non avevo scelta. Oh, avevo una scelta certo; ma, purtroppo, feci quella sbagliata.
Sedetti in quella fredda stanza con altre donne quel giorno, fissando il vuoto. Guardai la tristezza nei loro volti e pensai: “Non ci vorrà molto ed avremo tolto le vite ai nostri bambini”.
Mentre ero sdraiata sul tavolo per l’aborto ed il mio bambino veniva succhiato via dal mio corpo, non comprendevo quanta sofferenza ci sarebbe stata. Sapevo che era un bambino, ma negavo la realtà per alleviare il dolore.
Poco dopo l’aborto cominciai a bere. Essere nel settore viaggi mi dava la possibilità di socializzare con gli uomini e presto ne seguì la promiscuità. La maggior parte delle persone pensavano che io fossi una del “jet set” e che facessi una “bella vita” per via del mio lavoro; in realtà, stavo lottando finanziariamente e mi odiavo per il modo in cui vivevo.
Misi su una facciata, ma la mia vita continuava a spiraleggiare verso il basso mentre i ricordi del mio bambino rimanevano. Credo nel mio cuore che fosse un maschietto. Ho sempre sentito la mancanza di mio figlio ma specialmente nel giorno che sarebbe stato il suo compleanno.
Dopo aver tenuto il mio segreto per 24 anni, parlai alle mie due figlie dell’aborto. Rimasero del tutto shockate ed incredule. Compresi che l’aborto non aveva ferito solo me, ma aveva ferito anche loro.
Poco tempo dopo, un’amica mi chiamò e mi chiese come stavo. Mi disse quanto sentiva il bisogno di pregare per me. Quando le parlai del mio aborto, lei lo riferì ad una sua amica che pure aveva abortito.
Il giorno dopo questa cara signora chiamò e parlammo delle nostre storie. Mi sembrava che si aprissero le cateratte, e cominciai a piangere. In seguito, cominciai un corso biblico in un programma di recupero dall’aborto. Compresi che c’erano donne ferite come lo ero io. Non avevo capito quanto ero arrabbiata in realtà o quanto la mia rabbia avesse danneggiato i rapporti con tanta gente.
Ho preso parte ad una cerimonia in memoriale. È stata incredibilmente emozionante ma necessaria, e ha portato a conclusione la morte di mio figlio che ho chiamato Jeremiah.
Ora sto promuovendo uno corso biblico per riprendersi dall’aborto con altre donne che sono state ferite dall’aborto. A causa di tutte queste parti fondamentali del viaggio, è stato sollevato un peso.

Paula Talley è cresciuta nel “tacco dello stivale”, la regione sudorientale del Missouri ed è andata via di casa a diciassette anni per andare a Memphis nel Tennessee.
Paula lavora nel settore viaggi da 29 anni. Ha due meravigliose figlie: Jill, che sta a St. Louis e Paige che sta a Little Rock, Arkansas.
Si è spostata da Memphis a St. Louis nel 1987 per sposare il suo amico d’infanzia che non vedeva da 25 anni.
Larry Talley morì nel 1999, è stato malato per sette sui dodici anni in cui sono stati sposati. Ha sofferto di cancro, infarti, diabete ed altri problemi di salute.
Ha sofferto, ma ha vissuto la vita. La sua filosofia di vita era “Dio ci comanda di camminare nella luce”. Non aveva bisogno che la gente gli dicesse che cosa fare quanto di sostegno amorevole e “chiunque può farlo”.
Era l’Amore della vita di Paula e lei ha fatto tesoro di ogni istante fino a quando è mancato.
Paula è la direttrice per il Missouri di Operation Outcry e condivide la storia del suo aborto ed il suo viaggio di guarigione nelle chiese, nei centri di aiuto alla gravidanza, con i legislatori ed i mass-media. Paula ha la passione di aiutare le altre che sono state ferite dall’aborto affinché giungano a conoscere la speranza e la guarigione disponibile attraverso Gesù Cristo.
Lei dimostra che le avversità non devono fermare la nostra vita o farci sprofondare nella disperazione, ed è la prova vivente che le prove possono essere tappe per la vittoria.

http://64304.netministry.com/images/PaulaTalley-Feb2007.pdf
http://www.operationoutcry.org/pages.asp?pageid=27781


Un grido senza voce

2008-06-15

Piedini
UN GRIDO SENZA VOCE


Le madri stanno onorando e ricordando i loro figli abortiti scegliendo un paio di scarpine ed attaccandovi un biglietto commemorativo.

“Parlando con donne di altre nazioni, ho notato che le culture possono variare, ma il dolore lasciato dall’aborto è lo stesso” ha detto Cynthia Collins, direttrice di Operation Outcry per la Louisiana, che ha abortito diverse volte.

Le scarpine sono state mostrate negli Stati Uniti, in Israele e in Olanda con il progetto “Un grido senza voce” a cura di Rebecca Porter, direttrice di Operation Outcry per la Florida.

Cynthia ha scelto le scarpe per rappresentare i suoi cinque figli ora in Cielo. Il paio bianco rappresenta il primo bambino che abortì. “Rimpiangerò sempre la scelta che feci di abortire mio figlio David Emmanuel nel gennaio 1973”.

“La sua vita parla attraverso le scarpine che non ha mai portato e condivido con gli altri ciò che non mi avevano detto: L’aborto ferisce le donne” ha detto Cynthia.

Profondamente commossi al vedere le scarpe, anche altri hanno voluto onorare fratelli, sorelle, nipoti, nipotine e nipotini uccisi dal aborto. Anche i padri hanno scelto le scarpine in memoria dei loro figli abortiti.

Il progetto tocca i cuori delle persone e dà un potente impatto visivo sugli effetti dell’aborto. Permette alle donne di parlare del profondo dolore dell’aborto e del perdono e della guarigione da parte di Gesù Cristo. Permette loro anche di dare onore e dignità alle vite dei loro bambini.


A mio figlio,
David Emanuel,
mi dispiace figlio mio. Sento tanto la tua mancanza.
Ti amo.
Mamma


http://www.operationoutcry.org/pages.asp?pageid=27781
http://acrywithoutavoice.com/A Cry Without a Voice with testimony.wmv
Testimonianza di Cynthia Collins
Testimonianza di Rebecca Porter
Testimonianza di Myra Myers
Testimonianza di Karen Bodle

A Cry Without A Voice


L’aborto non aveva risolto il mio “problema”, si era aggiunto al mio dolore

2008-06-14

Avevo diciannove anni, ero matricola all’università e incinta del mio primo ragazzo. Un amico ci disse di andare da Planned Parenthood. Era il gennaio 1973, stesso mese ed anno di Roe v. Wade [il caso giudiziario che legalizzò l’aborto negli USA]. L’assistente di Planned Parenthood si sedette di fronte a me e disse: “Puoi andare a Washington DC ad abortire: non è legale in Pennsylvania, ma molto presto le donne non dovranno passare per tutti questo… l’aborto sarà legale e sicuro”. Dov’era l’inalienabile diritto alla vita per le donne di questa generazione? [Nella Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America del 4 luglio 1776 è scritto che: «Noi riteniamo queste verità di per sé evidenti, che tutti gli uomini sono creati uguali, che sono dotati dal loro Creatore di alcuni Diritti inalienabili, tra i quali vi sono la Vita, la Libertà e la ricerca della Felicità»] Quello che scoprii fu che il fatto che l’aborto sia legale non significa che sia sicuro.
L’assistente mi disse che dopo l’aborto avrei potuto continuare la mia vita. Anche se il mio ragazzo era seduto vicino a me, mi sentivo molto spaventata e sola. Lui mi guardò e mi disse: “Qualunque cosa tu voglia fare”.
Ricordo quel freddo giorno, un venerdì del gennaio 1973. Volai a Washington DC col mio ragazzo. Fummo prelevati all’aeroporto insieme ad altre donne che dovevano abortire quel giorno.
Nell’edificio dove si abortiva mi misero in una stanza con 40 altre donne. Era così impersonale. Ci fecero vedere un modello fetale vuoto. La donna che parlava ci disse che la procedura sarebbe durata 15 minuti. Poi fui portata in una stanza con solo il medico abortista ed un’altra donna. Ricordo un dolore intenso mentre piangevo. Mi sembrava come stessi per sentirmi male. Non ho mai provato un dolore così intenso, mai, nella mia vita. Poi fui portata in un’altra stanza. Mi dissero di sedere ed aspettare. Me ne sarei potuta andare dopo un’ora. Vicino a quella stanza c’erano donne nei lettini che stavano piangendo. Mi dissero che avevano dei problemi.
La forza della suzione fu molto forte, e cominciai a sanguinare abbondantemente. Non ci fu rapporto medico-paziente. Non avevo mai visto il medico abortista prima dell’aborto, e non l’ho mai visto dopo.
Quando lasciai l’edificio mi dissero: “Tutto andrà bene. Puoi continuare la tua vita. Ecco alcune medicine se ti viene la febbre”. Tutto non andava bene. La mia vita non fu più la stessa.
Nel giro di alcune settimane la relazione col mio ragazzo finì. Fu la mia “unica e sola” relazione sessuale prima dell’aborto. Piombai immediatamente in profonda depressione. Cominciai a bere molto, ad usare droghe, cominciai a volare di relazione in relazione, e smisi di frequentare molti corsi universitari. Cercavo di uccidere il dolore che era cominciato coll’aborto. Dov’era il mio bambino? Dov’era l’inalienabile diritto alla vita? Non me ne importava proprio più nulla.
Prima di un anno mi diagnosticarono un disturbo fibrocistico al seno. Il medico non riusciva a capire come avessi sviluppato queste cisti. Ero molto depressa e piena di sensi di colpa. Lasciai l’università dopo il secondo anno e cominciai ad avere uno stile di distruttivo di promiscuità, dolore, e gravidanze abortite. L’aborto non aveva risolto il mio “problema”, si era aggiunto al mio dolore.
Durante un aborto lasciarono dentro di me una parte del mio bambino. Planned Parenthood mi aveva inviata ad un abortista che effettuava estrazioni mestruali. Non mi fecero alcuna anestesia. Dopo aver pianto con profondo dolore, con le mie braccia che afferravano il muro, l’abortista mi guardò con paura. Disse all’infermiera che ero troppo avanti. Mi disse di alzarmi, vestirmi ed uscire. Continuai a sanguinare abbondantemente per giorni. Fui ricoverata all’ospedale per un raschiamento d’urgenza per rimuovere il resto del bambino.
Per anni ho negato che l’aborto fosse la causa del dolore e della profonda rovina nella mia anima. Pensavo: Il governo l’ha resto legale, quindi deve essere OK. Alle cliniche per aborti non mi avevano mai detto che avevo altre opzioni, che l’aborto avrebbe potuto danneggiare il mio corpo, che avrei potuto non avere più bambini, che stavo prendendo un’altra vita umana, che avrei potuto morire. Il mio bambino, il mio primo figlio mi avrebbe potuto salvare, se avessi scelto la vita.
Da bambina ero stata oggetto di abusi sessuali fino all’età di sei anni. Credo che la violenza abbia condotto alla mia perdita di dignità, di autostima, ed al bisogno di essere accettata dagli uomini per le mie prestazioni. Da allora sono venuta a a sapere che molte donne con sindrome post abortiva pure hanno sofferto di qualche forma di abuso da bambine. L'abuso ha causato l’aborto, e l’aborto ha aumentato gli abusi sulle donne.
Un anno dopo il matrimonio abortii spontaneamente nostro figlio Peter. La sua morte nel mio utero fu dovuta alle cicatrici nel mio utero dovute agli aborti.
L’aborto mi ha lasciato con la sterilità e tanti anni di cicatrici che ora sono guarite per mezzo dell’amore di Gesù Cristo. Sono madre di 10 figli. Sette sono in Cielo (sei aborti procurati ed uno spontaneo). I miei tre figli sulla terra sono una straordinaria benedizione ed hanno cambiato la mia vita per sempre. Portano a questa generazione e a questa nazione la verità che “ogni vita ha valore ed è degna e le donne di questa nazione hanno bisogno di guarigione, vero amore e verità, non di abuso continuato tramite l’aborto”.
Quando mio figlio John aveva otto anni mi disse: “Mamma, sento che c’era qualcun altro prima di me…”. L’aborto non finisce sul tavolo dell’abortista. L’aborto influenza le generazioni a venire.
L’aborto fa male alle donne, ai bambini e alle famiglie della Louisiana e di questa nazione. Le donne meritano alternative a favore della vita sia per la madre che per il figlio, non importa come un bambino sia stato concepito.

Cynthia Collins è direttrice esecutiva del Centro di aiuto alle gravidanze difficili. Presta servizio come direttrice della Louisiana e come membro del Consiglio Direttivo Nazionale di Operation Outcry, una rete nazionale che dà voce a donne e uomini che hanno provato il trauma causato dall’aborto.
Il 28 agosto 2005 Cynthia è evacuata da Slidell a causa dell’uragano Katrina ed è tornata in una casa che era stata riempita dall’acqua dell’alluvione. La sua famiglia si è spostata undici volte in otto mesi per rimanere nell’area e prestare aiuto alle donne incinte in situazioni difficili ed ai loro nascituri. Negli ultimi 20 anni il Centro di aiuto alle gravidanze difficili di Slidell ha fornito aiuti a favore della vita ad oltre 23'000 donne e dato la scelta della vita a circa 9'000 bambini della Louisiana.
Cynthia ha aiutato migliaia di donne ferite dall’aborto nel loro viaggio di guarigione e assistenza per riprendersi dall’aborto. Ha anche fondato Passion4Purity [letteralmente: Passione per la Purezza] International e presta servizio come Direttrice di Stazione di WGON-FM (Generation Outreach Radio), una stazione radio comunitaria dell’area di Slidell.

http://www.operationoutcry.org/pages.asp?pageid=26405
http://64304.netministry.com/images/CynthiaCollinsNov2007.pdf
Un grido senza voce


Io, Sarah Smith, sopravvissuta all’aborto

2008-06-13

Il 24 aprile 1996 Sarah Smith tenne il seguente discorso ad un convegno pro-life internazionale tenutosi a Roma. Il convegno si chiamava “Un congresso per la vita”. Era stato organizzato per festeggiare il primo anniversario della lettera enciclica Evangelium Vitae (il Vangelo della Vita) di Giovanni Paolo II. Il convegno si tenne al seminario dei Legionari di Cristo a Roma e vide la presenza di circa 500 uomini e donne compresi: leader pro-life, leader politici, rappresentanti dei mass-media, sacerdoti e seminaristi. Quel che segue è il discorso tenuto da Sarah Smith

Mi chiamo Sarah Smith e desidero ringraziare tutti voi, vostre eminenze, e tutti i meravigliosi Legionari di Cristo per averci permesso di essere con voi oggi. Non ho saputo dell’aborto fino a 12 anni. Sono cresciuta sentendo che ero come i miei amici, tranne per il fatto che avevo avuto numerosi interventi chirurgici e complicanze fisiche. L’unica differenza che sentivo era un’incredibile solitudine e il sapere che mi mancava qualcosa. Non mi sono mai sentita intera. Ho combattuto con una grave depressione e mi sono ritrovata a morire di anoressia nervosa, e allora mia madre comprese che era giunto il momento di dirmi la verità.
Lei si sedette vicino a me, prese la mia mano, mi guardò negli occhi e disse: “Sarah, sei una gemella. Ho abortito tuo fratello ed ho cercato di abortirti. Ti prego sappi che non sapevo ciò che stavo facendo e prego che un giorno tu possa perdonarmi. Ti amo e ho bisogno che tu sappia che sei una parte benvenuta della nostra famiglia.”
In quel momento seppi di che cosa avevo sentito la mancanza per tutta la vita, e che ero stata chiamata a qualcosa di molto più grande di quanto potessi sapere. Immediatamente sentii il dolore opprimente del sapere che avrei dovuto essere morta. Come sono qui davanti a voi oggi, sono dolorosamente consapevole che questo è possibile solo perché il mio fratello gemello ha preso il bisturi per me, ed io sto al suo posto e ricordo, dandogli onore ed un volto.
Siamo stati bombardati di statistiche nella nostra lotta per la vita. Trentadue milioni di bambini sono stati uccisi nei soli Stati Uniti. Però ognuno aveva un volto, una vita, un creatore che l’amava e l’aveva creato a Sua immagine. Mentre oggi mi guardate, comprendete che non sono assolutamente diversa da voi, però oggi sono qui davanti a voi a rappresentare dei morti, a rappresentare le vite innocenti che oggi possono perdere la vita. Chi parlerà per loro?
Le parole di Cristo sono chiare: “ciò che avete fatto ad uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Voi ed io siamo chiamati ed incaricati di prenderci cura di questi piccoli proprio come se ci prendessimo cura di Gesù Stesso. Andare via e dire che questo non è il mio problema è andare via da Gesù Stesso.
Molte persone dopo aver saputo dell’aborto mi chiedono come mi sento, o a che cosa si possa paragonarlo. La sola cosa a cui posso paragonare la mia vita è quella di un ebreo innocente fatto camminare per le strade della Germania nudo davanti a tanta gente e dentro una stanza da cui sa che non verrà mai fuori. Nel mio caso, purtroppo, le persone che mi portavano in quella stanza sono mia madre e mio padre. Tuttavia la gente che sta a guardare è gente come voi. Ed io vi chiedo oggi: alzerete la voce o volgerete via silenziosamente lo sguardo mentre un’altra persona che ha bisogno del vostro aiuto viene condotta alla morte?
Ho perdonato i miei genitori tanto tempo fa, ricordando le parole che Gesù disse mentre era appeso, sanguinante e pieno di lividi, dalla croce: “Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno”. Le Sue parole riguardano i peccati di aborto. La maggior parte degli uomini e delle donne che sono coinvolti nell’aborto non sanno ciò che stanno facendo, come non lo sapevano i miei genitori.
Molte donne che pretendono il diritto di abortire dicono: “È il mio corpo, è la mia scelta”. Permettetemi di fare chiarezza su una cosa oggi: la scelta di mia madre era la mia condanna a morte. Non è solo del corpo di una donna che stiamo parlando, a proposito di aborto. È della carne ed ossa di qualcuno come me.
Poi abbiamo la questione del personale medico che afferma che è solo tessuto. Chiunque abbia mai studiato biologia sa che non è vero. Prima che una qualsiasi donna sappia di essere incinta, suo figlio ha già un cuore che batte a 20 giorni. Mostratemi un pezzo di tessuto o di cancro, che pensate debba essere rimosso, con un cuore che batte. Mostratemi un fegato o un rene che abbia il suo gruppo sanguigno. Quel bambino è perfetto dal primo giorno. Tutto ciò di cui ha bisogno è tempo, ossigeno e nutrimento.
Un altro fatto sorprendente è che nelle riviste mediche sia scritto che il feto può sentire il dolore a 8 settimane di gravidanza. In America, la grande maggioranza degli aborti è eseguita tra 10 e 12 settimane, ben dopo quando il bambino può sentire l’intera procedura. Quindi non venite a raccontarmi che l’aborto è una semplice procedura che espelle un pezzo di tessuto e non fa male a nessuno. Io c’ero. Ero a meno di due centimetri di distanza dal mio fratello gemello innocente quando il suo corpo fu fatto a pezzi, e lui sentì tutto. Avevamo da 14 a 16 settimane, eravamo nel secondo trimestre. Ecco come si intendeva porre fine alla mia vita.
Però sono stata risparmiata per stare qui davanti a voi oggi e dirvi, a nome di quelli che non hanno voce, che se voi rimanete zitti, solo nel mio paese una persona proprio come voi e me morirà ogni 20 secondi di ogni giorno. Siamo stati incaricati da Gesù di levare la voce per coloro che non possono parlare per se stessi e siamo anche stati incaricati dal Santo Padre, che ho avuto il privilegio di incontrare poche ore fa.
Mentre gli raccontavo la mia storia mi guardava tanto intensamente, come se mi dicesse: “Dì il messaggio! Proclama la Verità”. E mi ha baciato e mi ha dato la benedizione per andare a parlare della vita. E questo è ciò che dice a tutti voi, benedicendoci e baciandoci con la sua enciclica. Predicate il vangelo, la buona notizia della vita. Qual è il dono più grande? Quando Gesù allungò le Sue braccia e disse: “Questo è il mio corpo dato per voi”. Immaginate se Gesù fosse stato egoista col Suo corpo e non avesse dato così gratuitamente la Sua vita a voi e me. Dove saremmo oggi? Saremmo nulla. Il dono del corpo di una madre per 9 mesi della sua vita è uno dei più bei doni di tutta la vita. Dobbiamo lottare per proteggerlo.
Mentre sto qui da sola, sapendo che ho mio fratello come caro angelo custode che è sempre con me, so che la mia vita è un dono. E oggi desidero renderla a voi convenuti ed alla Chiesa, come simbolo del potere divorante della redenzione di Dio e della Sua vita e verità. Voi ed io rappresentiamo la vita, ed insieme estenderemo quella vita ad un mondo dolorante e morente. Noi daremo loro la verità della vita e non staremo mai in silenzio.
Vi amo e Dio vi benedica.

http://www.prolife.com/SARAH2.html


Mi sembrava che le mie viscere fossero rivoltate e strappate fuori

2008-06-11

Ero single (abusavo di alcool e droga a quel tempo), andai da un medico, presi alcune pillole e mi scoppiò l’orticaria; come risultato un’amica mi suggerì di andare da Planned Parenthood [e mi mandarono in un’altra città] insieme ad un carico aereo di altre.
[L’aborto fu] estremamente doloroso, peggio di tre giorni di doglie (più tardi ho fatto l’esperienza di partorire un figlio). Mi sembrava che le mie viscere fossero rivoltate e strappate fuori. Appena prima dell’aborto non ero sicura di volere andare fino in fondo. Il medico approfittò del mio stato emotivo come fosse un genitore che rispondeva ad un figlio. L’aborto doveva durare 10 minuti (così mi dissero quelli di Planned Parenthood). Durò da mezz’ora a 45 minuti.
Sei settimane dopo l’aborto contrassi l’epatite. Non ho mai sentito quelli di Planned Parenthood e non lo ho mai contattati per vergogna/senso di colpa. L’alcolismo aumentava. Tentai di suicidarmi. Miracolosamente guarii dall’epatite e fui liberata dall’alcolismo. Ho dato la mia vita a Cristo e sono stata liberata dalla droga. Liberata dal disturbo gastrointestinale (conseguenza dell’aborto) e dal senso di colpa, dallo spirito di omicidio, dalla vergogna ed alla fine ho potuto fare lutto per il mio bambino 12 anni dopo. Non fui in grado di partorire mia figlia per via vaginale ma ebbi bisogno di un parto cesareo.
Ho dato la mia vita a Cristo Gesù. Il signore si è occupato di me e mi ha condannato per l’omicidio di mio figlio. Ho chiesto il Suo perdono ed ho chiesto il perdono di mio figlio che è col Signore. Ora faccio parte di WEBA [Women Exploited By Abortion, donne sfruttate dall’aborto] ed assisto altre donne che soffrono e do la mia testimonianza.
Dio non ha mai voluto che uccidessi mio figlio. Comunque, visto che l’ho fatto, apprezzo maggiormente ciò che Dio ha fatto [nella mia] vita e quella del mio bambino di 9 anni, specialmente essendo una ragazza madre. Inoltre, come conseguenza, posso aiutare gli altri in modi che non avrei mai sognato fossero possibili. Dio opera su tutte le cose per il bene di coloro che lo amano e che sono stati chiamati secondo il suo disegno [cf. Rm 8,28].

http://www.priestsforlife.org/postabortion/casestudyproject/casestudy1088.htm


Vorrei dire al medico quanto l’aborto mi ha devastata

2008-06-09

Avevo 19 anni, frequentavo un tirocinante in podologia. Lo amavo intensamente. Rimasi incinta anche se usavamo regolarmente i condom. Ero pietrificata al pensiero di dirlo ai miei genitori che erano cristiani e non sapevano nemmeno che ero attiva sessualmente. Avrei dovuto cominciare la scuola per infermieri in autunno. Il mio ragazzo era stato educato da cattolico, non mi propose neanche una volta di sposarmi. A causa di tutti questi fattori, scelsi di uccidere mio figlio.
Fisicamente fu molto facile. Ero vicina alla fine del mio primo trimestre. Mi fecero dormire così che non sentissi il dolore. Ricordo che ero molto spaventata ma scherzai con l’anestesista e col medico prima. Non ricordo il nome del medico o niente del suo volto. Vorrei saperlo così da potergli scrivere e dirgli quanto alla fine fui devastata anni dopo.
Mi costruii un muro intorno per non reagire emotivamente [all’aborto]. Non mi sono afflitta, né ho pianto né mi sono sentita in colpa per 9 anni dopo l’aborto. Ma durante quel tempo sono stata promiscua. Quando trovavo dei bravi amorevoli cristiani che mi amavano veramente, li rifiutavo. Non mi sembrava di meritare il loro amore positivo. Ruppi col mio ragazzo che mi aveva messo incinta.
Nel 1979 rimasi di nuovo incinta. Tutti cercarono di persuadermi o forzarmi ad abortire. Ma ebbi assistenza da alcuni pro-life di Philadelphia, lessi un libro sulle tecniche abortive e scelsi la vita per il mio bambino. È un caro ragazzo di 11 anni e mezzo, ed è un bravissimo studente in una scuola cristiana. Mi sono anche impegnata nel Movimento Pro-Life nel 1985, attraverso istruzione, impegno politico, picchettaggio fuori dalle cliniche per aborti. Ora sono un’esperta di aborto.
[L’aborto] mi ha dato dolore e pena più di quanto si possa dire. Ho commesso il più infame dei delitti: ho ucciso il mio bambino. Tuttavia il Signore mi ha perdonata, proprio come perdonò Paolo. Però rimpiangerò sempre ciò che ho fatto e probabilmente ne sarò sempre addolorata. Ma prego che la mia esperienza possa in qualche modo evitare ad altre donne di fare il mio stesso fatale errore. Sono un’infermiera ora, e così porto la mia uniforme a tutte le attività pro-life che faccio! Mi aiuta.

http://www.priestsforlife.org/postabortion/casestudyproject/casestudy942.htm


L’aborto è una ferita profonda che rimarrà per sempre

2008-06-08

Nel luglio del 1996 rimasi incinta dopo un anno che stavo col mio ex. Ero molto felice alla notizia che sarei diventata mamma. Ho sempre amato i bambini; penso che siano la cosa migliore che possa mai capitare a qualcuno.
Ma quando lo dissi al mio ragazzo, lui diventò matto. Mi disse che era tutta colpa mia; disse pure che il bambino non era suo. Mi disse che dovevamo occuparcene al più presto. Così, contro la mia volontà, andai ad una clinica per aborti con un’amica.
Volevo veramente il bambino, ma non sarei stata capace di tirarlo su da sola, e non ho mai avuto alcun sostegno emotivo in tutto questo. Sapevo che il mio ragazzo non mi avrebbe aiutato in alcun modo, sia dal lato emotivo sia da quello finanziario. Dall’inizio alla fine sono stata sola. I miei genitori non l’hanno mai saputo, e fino a oggi mio papà è l’unico della famiglia a cui l’ho detto.
Ero molto nervosa alla clinica. Mi dissero che non potevo mangiare niente e mi fecero firmare un foglio che diceva che ero pienamente responsabile se mi fosse capitato qualcosa. Mi presero del sangue, mi fecero un test delle urine e l’ecografia. Dopo di questo, aspettai per un tempo che sembrava un’eternità prima che mi chiamassero a parlare con uno dei loro assistenti. Lei disse che ero molto giovane e che avevo tutta la vita davanti, che l’aborto era la cosa migliore. Cominciai a piangere, la mia mente era completamente vuota e non riuscivo a pensare a niente.
L’assistente mi disse che mi avrebbero chiamato quando tutto fosse pronto per la procedura. Dopo un po’ mi richiamarono e mi portarono in una stanza dove mi dissero di togliermi i vestiti, mettermi una veste e sdraiarmi. Venne il medico con un infermiere e l’assistente. Mi fecero l’anestesia locale. Improvvisamente sentii una suzione molto forte dentro l’utero. Faceva molto male; era come se qualcuno mi tirasse fuori tutti gli organi. Durante la procedura le mie emozioni erano tutte mescolate. Ero spaventata, arrabbiata, mi sentivo in colpa, ero nervosa.
L’intera cosa fu eseguita in circa cinque minuti, e dopo mi vestii ed andai in una sala di recupero dove altre cinque donne erano sdraiate e riposavano. Mi diedero delle medicine in caso di infezione e mi lasciarono lì. Mi dissero che potevo andarmene quando mi fossi sentita meglio.
Fu veramente terribile. La mia pancia era molto gonfia ed avevo dei bruttissimi crampi. A malapena riuscivo a camminare perché sentivo il mio utero molto debole e ogni volta che facevo un passo avanti sembrava che ogni cosa si muovesse dentro di me. La mia amica mi portò a casa in auto e tutto ciò che volevo fare era stare sdraiata e piangere. Sapevo di avere ucciso il mio bambino.
L’aver preso la decisione di abortire mi opprime veramente. Ha influenzato la mia intera vita ed il modo con cui interagisco con gli altri. Sono passati quasi tre anni ed il mio umore è cambiato molto. Sono sempre arrabbiata. Ho uno sguardo triste negli occhi e niente mi rende felice. Non gioisco della vita come facevo una volta. Non mi fido per niente degli uomini, ed è stato per me molto difficile instaurare una sana relazione romantica. Non lego molto bene con le persone, c’è sempre un piccolo dubbio dentro di me. Se qualcuno fa qualcosa di carino per me, penso che voglia solo farmi del male.
La mia vita è stata un inferno in questi ultimi anni. Sono arrabbiata col mondo e con me stessa. Sono molto più aggressiva e nervosa, ma a volte voglio solo ricordare il mio bambino, sedermi e piangere nella mia stanza. Ho visto il volto del mio bambino in sogno e sento che è un maschietto. Questi sogni sono stati molto pacificanti, ma ho avuto altri sogni in cui ho visto il volto sfigurato di un bambino.
Sono così spaventata di rimanere incinta, è una cosa opprimente. Qualche tempo fa non riuscivo a vedere una donna incinta o qualche cosa che avesse a che fare con i bambini perché non ce la facevo e cominciavo a piangere senza riuscire a controllarmi. Ma ora sono molto interessata ad aiutare altre donne in modo che non facciano il mio stesso errore. Due mie amiche aspettano un bambino e sono così emozionata per loro. Non vedo l’ora di vedere i loro bambini. Ho comprato dei vestitini per loro e le chiamo sempre per sapere come stanno.
Una mia cugina ha avuto una bambina circa sei mesi fa; è una ragazza madre. Non appena l’ho saputo sono andata all’ospedale a vedere la sua bambina e a tenerla tra le braccia. È stata una sensazione meravigliosa! Naturalmente mi sentivo triste ma ero così felice di poterla tenere, farle il bagno e vestirla. Sto a mio agio con i bambini ora, anche se qualche volta mi sento ancora in lutto.
Non riesco ancora ad accettare ciò che ho fatto. Ho appena cominciato ad andare da uno psicologo e stiamo lavorando sull’intera faccenda dell’aborto. Sono in terapia solo da un mese ma penso che mi aiuterà veramente a superare tutta questa faccenda. Mi piacerebbe essere ancora com’ero una volta! La terapia non è facile perché apprendi tante cose nuove, sulle tue paure e su te stesso, che sono state nascoste profondamente dentro di te per tanto tempo. Ma penso che alla fine imparerò a fidarmi ancora delle persone e a superare tutti gli ostacoli che ho affrontato nella mia vita, con una prospettiva positiva su ogni cosa.
Non avevo mai creduto all’aborto prima, ma quando mi sono trovata ad affrontare un grande problema, ho scelto la soluzione più facile. Non avevo mai pensato che mi avrebbe influenzato così tanto. Ora guardo alla vita in modo diverso. Penso che la vita sia uno dei doni più preziosi che una persona può ricevere. Molta gente non dà valore al fatto che è viva, o che la sua vita può fare un giro di 180 gradi in pochi secondi.
Sono arrivata a capire che si dovrebbe essere gentili e compassionevoli con le altre persone e cercare di capire perché agiscono in un certo modo. Può darsi che la persona stia soffrendo molto e reagisca in modo distruttivo perché non riesce a trovare una via d’uscita.
L’aborto è un atto violento contro un essere umano indifeso, e la legge dovrebbe opporvisi. Tante persone uccidono la loro carne e il loro sangue perché è legale ed è la scappatoia più facile. Consiglierei alle donne di non prendere la decisione che io presi e di andare avanti e di avere i loro bambini con coraggio ed orgoglio, quale che sia la situazione.
Le cose si risolveranno nel lungo termine. Ma se prendi la decisione sbagliata vivrai con rimorso, senso di colpa e tristezza per il resto della tua vita. L’aborto è una ferita profonda che rimarrà per sempre. Spero che la mia storia contribuisca ad aprire gli occhi della gente e cambi il loro modo di pensare all’aborto ed alle sue conseguenze.

Pubblicato originariamente in The PostAbortion Review 10(1) January-March 2002.
Elliot Institute, PO Box 7348, Springfield, IL 62791-7348
Altro materiale a www.afterabortion.org
http://www.afterabortion.org/PAR/V10/n1/CaseStudy.htm


Quando sentivo parlare di aborto ammutolivo o mi mettevo a piangere.

2008-06-05

Avevo 23 anni, ora ne ho 30. Studiavo al college e facevo pratica d’insegnamento. Compresi di essere incinta quanto saltai il ciclo e feci immediatamente un test di gravidanza per confermarlo. Fu una decisione congiunta tra il mio ex e me. Sebbene fosse una decisione congiunta, mi sentivo manipolata e controllata da lui, semplicemente perché non mi offrì mai alternative ed io ero troppo sconvolta per pensare a qualche alternativa. Andammo ad una clinica di Planned Parenthood [importante “industria” abortiva]. Non so perché ci andai. Ricevetti apparentemente consulenza alla clinica ma non penso che volessero veramente scoprire come mi sentivo.
La mia esperienza dell’aborto fu spaventosa. È difficile ricordare esattamente come mi sentivo. Mi ricordo che dopo che era accaduto il medico mi chiese se volevo vedere che cos’era uscito da me, e mi disse che era solo una massa di tessuto e disse: “era troppo piccolo, difficilmente riesci a vederlo”. Dopo l’aborto dovetti sedermi nella sala post operatoria per un’ora. Ricordo che pensavo: “Mi sento bene, portatemi solo via di qui”. Dopo che entrai nell’auto con il mio ragazzo lui disse: “Non voglio parlarne mai più”. Questo mi ha fatto provare molta vergogna e senso di colpa, ma questo mi confuse perché anch’io sentivo un grandissimo sollievo.
[L’aborto] ha influenzato la relazione tra il mio ex e me perché mise un muro tra noi. Sapevo che non voleva più parlarne con me, ma io provavo dolore. Sembrava che non gli importasse e fino a oggi non so se gli importa. Non ho veramente cominciato a provare il dolore, il senso di colpa e la pena fino a circa sette anni fa. Ero diventata cristiana e il fatto di aver commesso un peccato così terribile pesava fortemente nella mia mente. Ogni volta che sentivo parlare di questioni d’aborto ammutolivo o mi mettevo a piangere. Mi sentivo sempre estremamente in colpa e molto ipocrita. Mettevo molte barriere tra me e gli altri, ne parlavo alle persone e la maggior parte mostravano accoglienza e amore ma alcuni ruppero l’amicizia con me dopo averglielo detto. Questo mi spinse a mettere muri e a sentirmi oppressa da ciò che gli altri avrebbero pensato. Non ne ho mai parlato ai miei genitori e non so se ne sarò mai capace, e la cosa mi fa sentire molto ingannevole.
Per sette anni non ho fatto altro che reprimerlo e far finta che non fosse mai accaduto o cercare di far sembrare che non mi importasse. Sono da poco entrata in un gruppo che si chiama “I Conquistatori”. Mi aiuta ad affrontare l’aborto ricevendo informazioni e sostegno da altre che hanno passato le stesse cose. Mi offre anche principi biblici per aiutarmi ad affrontare i temi della vergogna, il senso di colpa, il lutto, la responsabilità, l’accettazione e la speranza. Mi mostra principalmente che sono una persona che ha un valore attraverso Cristo anche se ho fatto una brutta scelta. Mi ha aiutato tanto!
[L’aborto] ha sicuramente colpito la mia autostima. Come può una buona persona fare una scelta così cattiva?! Capisco ora che attraverso il sacrificio che Cristo ha fatto io sono una persona che ha un valore. Mi ha portato molto più vicina al Signore.

http://www.priestsforlife.org/postabortion/casestudyproject/casestudy975.htm


Mi dicevo: “Tutto questo non sta accadendo”

2008-06-04

Ciò che segue sono brani del discorso di Brenda Pratt Shafer al National Right to Life Conference ’96 e del discorso tenuto il 21 marzo 1996 davanti ad una sottocommissione del Congresso USA. Shafer, infermiera professionista, ha partecipato a tre aborti a nascita parziale. Prima di questa esperienza era “pro choice”.
Attenzione, ciò che segue potrebbe darvi molto fastidio, leggete solo se vi sentite preparati.

… Lavoravo per un’agenzia infermieristica a quel tempo e facevano ogni cosa: davano personale alle cliniche, agli ospedali, alle case di cura, ed io facevo l’intera gamma. E mi chiamarono un giorno e mi dissero: “Brenda, vuoi lavorare in questa clinica per aborti a Dayton?” ed io dissi: “Bene, che cosa fanno?” – “Beh, fanno aborti, fanno aborti D&C [Dilatation and Curettage, una tecnica abortiva in cui il bambino viene fatto a pezzi ed estratto dall’utero]. Questo è ciò che mi dissero. Non avevo mai sentito parlare dell’aborto a nascita parziale prima di entrare là. Così dissi loro che l’avrei fatto. Non avevo problemi, ero pro-choice e la pensavo così. Quando andai alla clinica mi fecero persino fare un colloquio sulle mie opinioni perché volevano essere sicuri, immagino, a quel punto che non fossi un ‘infiltrato’.

Aborti D&C
Aborto D&C (primo trimestre)
Il primo giorno che ero lì facemmo aborti D&C. È un aborto per aspirazione di bambini attorno alle sei settimane. La cosa che davvero si impresse nella mia mente quel giorno, fu che c’era una ragazza di 15 anni che faceva il suo terzo aborto e rideva per tutto il tempo. Ed io pensavo, immaginate, che poteva essere la mia figlia di 15 anni ad essere seduta su quel letto e facendo questo aborto.

Aborto tardivo D&E
…l’aborto a nascita parziale è una procedura di tre giorni… nei primi due giorni le donne vengono fatte entrare ed eseguono su di loro una procedura in cui inseriscono una cosa che si chiama laminaria – sembra un tampone ma è fatto di alga – e lo inseriscono nella cervice e quando diventa umida si espande, dilatando la cervice. Perché quando una donna ha le doglie e i dolori del parto, questo è ciò che succede, la cervice si sta dilatando per allargarsi per far uscire il bambino. Dobbiamo farlo anche in un aborto perché non riesci a tirarlo fuori da una cervice non dilatata… Entravano, le inserivano la laminaria, e le mandavamo a casa o in un hotel della zona con un numero telefonico d’emergenza.
Aborto D&E (secondo trimestre)
Il secondo giorno, le facevamo rientrare e cambiavamo la laminaria, dilatando ancora di più, ed anche il secondo giorno facevano ciò che si chiama aborto D&E. E in questo aborto… portavano l’ecografo e lo mettevano sulla pancia della donna, e tu vedevi il bambino, vedevi il cuore battere. E questo per le gravidanze fino a quattro mesi e mezzo, è fino a quanto si può andare circa, con questo metodo. Ed io stavo a fianco del medico, a circa un metro da lui, e lo vedevo prendere il forcipe e salire dentro l’utero e strappare letteralmente il bambino membro a membro. Entrò e strappò via un braccio e lo gettò nella vaschetta, entrò e strappò via una gamba e la gettò nella vaschetta. Continuò finché non arrivò alla testa, allora andò su con il forcipe, schiacciò la testa e la tirò fuori. Ed io stavo a guardare, guardavo nella bacinella in cui aveva messo il corpo, e penso tra me e me: Aspetta un attimo, dov’è il mucchio di cellule, dov’è l’ammasso di tessuto? Vedo un braccio, vedo una gamba, con dita nei piedi e nelle mani, e la cosa ha veramente cominciato a darmi fastidio a quel punto.
E cominciai a pensarci… arrivai a casa e pensai, bene, se è così brutto al secondo giorno, non voglio vedere che cosa succede al terzo giorno. E mi spiegarono un po’ che cosa sarebbe accaduto. Il terzo giorno entrai, il primo aborto che vidi era di una donna incinta di 26 settimane e mezzo. Il bambino aveva la sindrome di Down. E l’infermiera lo chiamava il loro caso speciale. Ed io dissi: “Perché è un caso speciale?” – “Beh, al medico non piace farlo oltre le 26 settimane e lei è un po’ oltre.”

Alcune donne non vogliono abortire…
Questa signora in particolare non voleva abortire. Aveva questo bambino con la sindrome di Down, non era sposata, il suo ragazzo non voleva il bambino ed io suoi genitori non volevano il bambino. Pianse per tutti e tre i giorni che restò lì. Così facemmo lei per prima per farla finita con lei. La portammo dentro, la preparammo, cominciammo una flebo di Valium per farla star calma. Non usammo l’anestesia generale per tramortirla… Portammo l’ecografo e lo fissammo alla sua pancia.

Vedevo il bambino…
Vedevo il bambino. Vedevo il battito del cuore. E il medico voleva che stessi proprio vicino a lui, perché voleva che vedessi tutto quanto riguarda l’aborto a nascita parziale. Così stetti lì. Entrò, guidato dall’ecografo. Prese il forcipe, entrò e girò il bambino perché non era in posizione allora. Trovò un piede e tirò il piede del bambino giù per il canale del parto, tirandolo giù, e prese un altro piede e cominciò letteralmente a tirare fuori il bambino, in posizione podalica, prima i piedi. E continuava a tirare giù ed io vedo questo bambino che viene tirato fuori dalla mamma, il suo sederino, il torace e poi fece uscire entrambe le braccia. E la signora ha le gambe legate alle staffe come quando si partorisce un bambino o c’è un esame ginecologico. Ed il bambino, l’unica cosa che sosteneva il bambino era il medico che lo stava tenendo con due dita, tenendo il collo così che la testa era appena dentro la mamma.
Aborto a nascita parziale (terzo trimestre)
Ed il bambino stava scalciando i piedi, appeso lì, muovendo i suoi ditini ed i braccini. Non potevo crederci – non so che cosa pensavo lo avrebbe ucciso in quei tre giorni – ma si muoveva ed io continuavo a guardare il bambino che si muoveva. E continuavo a dirmi, questo non sta accadendo, e pensavo che sarei svenuta. E continuavo a dirmi: Sono una professionista, posso farcela, questo è giusto, dovrebbe esserlo, ed io dovrei farcela, sono un’infermiera. Poi lui prese un paio di forbici e le affondò nel retro della testa del bambino. Ed il bambino ebbe un sussulto, come un riflesso di sorpresa, come fa un bambino quando lo lanci un po’ su e lui salta. E allora il bambino divenne proprio rigido. Il dottore poi aprì le forbici per fare un buco. Prese una potente macchina aspiratrice con un catetere e la conficcò in quel buco ed aspirò fuori il cervello. Ed il bambino divenne completamente floscio.

L’ho rivisto nella mia mente mille e più volte…
E l’ho rivisto nella mia mente mille e più volte quel bambino che guardavo mentre la vita ne veniva prosciugata. Fui molto colpita da ciò che vidi. Per molto tempo, a volte ancora oggi, ho avuto incubi su cosa ho visto in quella clinica quel giorno. E come ho detto prima, ho visto bambini morire tra la mie mani, ho visto gente morire tra le mia mani, gente menomata in incidenti d’auto, ferite di pistola. Ho visto procedure chirurgiche di ogni tipo. Ma in tutti gli anni di professione non ho mai assistito a niente del genere. E stavo per vomitare sul pavimento. Stavo letteralmente solo respirando e dicendomi: “non vomitare, non vomitare, sarai imbarazzata se lo fai”. Così cercai di non farlo.
Tirò fuori la testa, tagliò il cordone ombelicale e lo gettò in una bacinella, fece uscire la placenta e la gettò nella stessa bacinella, e vi gettò anche gli strumenti che aveva usato. Vidi il bambino muoversi nella bacinella. Chiesi ad un’altra infermiera e mi disse che erano solo “riflessi”.
Bene, questa mamma voleva vedere il suo bambino. Ed il medico ci aveva detto in anticipo, ci aveva detto: “Cercate di dissuaderla dal vedere il suo bambino”. Non gli piace. Ma lei aveva il diritto di vederlo. Così lo pulirono e la pulimmo e la accompagnammo fuori dalla sala operatoria, la portammo in una stanza e le demmo il bambino.
Lei teneva quel bambino tra le braccia e urlava e pregava Dio… di perdonarla, e per farsi perdonare dal bambino lo teneva e lo dondolava, e gli diceva che lo amava. Ed io guardai il volto del bambino, ed aveva il volto più angelico e perfetto che abbia mai visto, e continuavo a pensare: È un angelo adesso, è in cielo. E non ce la facevo. Dopo tutti gli anni in cui ho fatto l’infermiera, [per la prima volta] non ce l’ho fatta. E chiesi scusa, e mi scusai, e corsi al bagno e piansi e pregai.
…ne vidi altri due quel giorno, di circa 25 settimane. Ma ero in stato di shock. Stavo lì e sapevo che stava accadendo ma non volevo essere lì. Stavo camminando in una spiaggia alle Hawaii da qualche parte, cercando di pensarmi fuori da quella stanza… Le altre due erano donne perfettamente sane con bambini perfettamente sani. Una era una donna di 40 anni che aveva un figlio di 19 anni e stava divorziando, e quindi non voleva il bambino. L’altra era una mamma adolescente che aveva tenuto nascosta la gravidanza ai suoi genitori, e poi i genitori l’avevano scoperto e l’avevano fatta abortire il bambino. Dopo essere uscita quel giorno, non ritornai mai più.
Il presidente Clinton ha posto il veto su questa legge (il Partial-birth abortion Ban Act, che vieta questo tipo di aborto). Vorrei che il presidente Clinton fosse stato dov’ero io. Non penso che avrebbe posto il veto alla legge.
…Molta gente fuori dice che non ho visto quello che ho visto. Credetemi, l’ho visto ed ho avuto tanti incubi. E questo è un modo di guarire, di cercare di superarlo, ed insegnare alla gente la verità di che cosa accade veramente. Vorrei non avere visto ciò che ho visto, perché è stato molto terrificante. Ciò che ho visto quel giorno non dovrebbe essere consentito in questo paese.
La gente mi chiede perché l’ho fatto, perché sono andata a fondo e mio marito mi ha sempre detto: “È meglio accendere una sola candela che maledire l’oscurità”. E questo è ciò che cerco di fare, accendere una candela. E magari dalla mia candela io posso accendere la candela di qualcun altro e loro accenderanno quella di qualcun altro e così via. Perché una sola persona può fare la differenza. E questa è una grande cosa. Ognuno di voi può fare la differenza. Se voi lo dite ad una persona, al vostro vicino, e loro lo dicono ad una persona, dobbiamo, dobbiamo far venire fuori la verità e dobbiamo dirgliela.
E uno di questi giorni ogni persona qui dentro starà davanti a Dio ed Egli vi chiederà: “Che cosa hai fatto per Me sulla Terra?” e voi direte: “Signore, non ho fatto molto, ma ho acceso una candela”. Ed egli vi dirà: “Però oh, quanto splende”.



http://suewidemark.netfirms.com/shafer2.htm http://www.priestsforlife.org/testimony/brendatestimony.html