Una ferita mortale

2009-04-19


Intervista a Esperanza Puente, autrice di un libro-testimonianza

di Sara Martín

MADRID, mercoledì, 8 aprile 2009 (ZENIT.org).- È stato appena pubblicato in Spagna “Rompiendo el silencio” (“Spezzando il silenzio”, edizioni LibrosLibres), scritto da Esperanza Puente, che ha abortito quindici anni fa e oggi racconta la sua esperienza di dolore e solitudine.

L’autrice riporta anche casi di uomini e donne che, come lei, hanno subito la sindrome post-aborto.

Perché scrivere un libro raccontando la propria esperienza dell’aborto? Aiuta a far rimarginare la ferita o la riapre?

Esperanza Puente: L’ho scritto per far conoscere all’opinione pubblica una realtà sociale occulta e perché si sappia che quando una donna abortisce soffre. I 23 anni di funzionamento della legge sull’aborto rappresentano un fallimento e una piaga per la società spagnola. Ho anche voluto che, oltre alla mia testimonianza, ne apparissero altre di uomini e donne che fanno parte della mia vita e il cui caso mi ha colpito in modo particolare. Sono casi rappresentativi di vari ambiti e circostanze. Ad ogni modo, insisto, ho scritto il libro soprattutto per esprimere questa realtà: ciò che si vive e si soffre prima, durante e dopo un aborto provocato.

E cosa si soffre?

Esperanza Puente: Prima dell’aborto, quando una donna è incinta, continua a sentirsi sola, indifesa e non protetta. Nessuno le spiega quali opzioni ha, che abortire non è una soluzione ma un grande problema, che c’è gente che la può aiutare...
Durante l’aborto si prova dolore e lacerazione. È come una ferita mortale che ti lascia devastata dentro, a livello fisico e mentale.


Il lavoro L’aborto rende liberi

2009-04-07

Qualche giorno fa mi sono imbattuto in alcune immagini particolarissime. E mi sono tornate alla mente le immagini dei lager nazisti. Non si trattò – e non si tratta – solo dell’uccisione di milioni di persone, ma anche del tentativo di disumanizzarle, di privarle di ogni dignità e persino del rango di esseri umani. Le immagini che seguono sono state scattate in California.
Chi si sentisse di vederle clicchi nel link qui sotto.



Alcuni attivisti pro-life si sono introdotti in un laboratorio della California meridionale a cui arrivano i resti dei bambini uccisi in una particolare catena di cliniche per aborti.

In ogni contenitore di plastica vi sono i resti di un piccolo essere umano. Sull’etichetta sono riportati il nome della madre e la data dell'aborto.


Le ricevute attestano gli aborti effettuati in una clinica di La Mesa (California) in un giorno.


I contenitori sono di varie grandezze; i più grandi contengono i resti di aborti effettuati dalla 20ª alla 36ª settimana di gravidanza.

Alcune vedute d’insieme...

I resti degli aborti effettuati nelle prime settimane sono contenuti in barattolini simili a quelli usati per le spezie.

Il ritaglio di giornale parla di allattamento al seno; per uno strano paradosso, negli stessi luoghi la vita viene fatta sbocciare e viene soppressa.
E ogni giorno, nella sola Italia, 400 di questi barattoli si riempiono e 400 finiscono in un incineritore...

http://www.christiangallery.com/atrocity/gorypics.htm