Cercavo qualcuno che mi dicesse di non farlo

2008-05-19

Avevo 18 anni e mi vedevo con un uomo che ai miei genitori non piaceva per niente. Così “fecero un patto” con me: se avessi rotto con lui mi avrebbero mandato al college. Acconsentii, anche se non ho mai voluto veramente rispettare i patti.
Ho capito di essere incinta quando gli odori del laboratorio di chimica continuavano a darmi la nausea. Un’amica mi convinse ad andare dal suo medico in città. Egli diagnosticò immediatamente la gravidanza, dicendo: “Che vergogna, un’altra giovane”. Mi disse di non preoccuparmi, perché ci si poteva “prendere cura” di “questa cosa”. Non mi parlò mai neanche una volta di tenere il bambino, ma mi diede un biglietto per la clinica abortista locale.
Anche se non avevo forti convinzioni religiose, la visita alla clinica per quella “consulenza” iniziale, mi lasciò un senso di disagio. L’infermiera mi disse di tornare dopo una settimana con il denaro per farlo.
Avevo sentito dire alcune cose sull’aborto, e sapevo che probabilmente era sbagliato. Così, tutta quella settimana, parlai con amiche ed insegnanti, cercando un consiglio. Una insegnante in particolare mi consigliò di farlo. Mi disse che aveva abortito diverse volte, che non era “niente” e che non avevo bisogno di questa preoccupazione nella mia vita proprio ora.
Nessuno, in alcun momento, mi parlò dell’adozione o di tenere il bambino. In effetti una delle mie insegnanti era una suora e avvicinai anche lei per parlare del mio problema. Ora penso che in realtà volevo che qualcuno mi dicesse: “No! Non farlo!” ma persino la suora mi disse che l’aborto era la strada migliore per me. [!]
Il mio ragazzo non aveva i soldi, così i miei genitori si offrirono di pagarlo. Quando scoppiai a piangere davanti a loro, dicendo che pensavo che fosse sbagliato farlo, mi dissero che mi avrebbero cacciato via di casa se non avessi abortito. Mio padre disse che non voleva avere dei “piccoli bambini mori nella sua casa!” (il mio ragazzo era italo-portoricano). Mi dissero che se avessi avuto il bambino, avrei dovuto fare completamente da sola. Mi sembrava che non ci fosse assolutamente alcun modo per fuggire l’inevitabile.
Quando venne l’ora, il mio ragazzo ed alcuni amici di scuola vennero con me. Non c’erano manifestanti, non c’erano antiabortisti. Di fatto, durante tutto il periodo della crisi, non ho udito una parola su o dal fronte antiabortista.
Fui condotta in una stanza con un intero gruppo di ragazze, proprio come me, che aspettavano che i propri bambini fossero uccisi. Nessuno guardava nessun altro. Chiamavano i nostri nomi, uno per uno.
Ero molto spaventata, perlopiù del dolore che dicevano avrei potuto sentire. Con l’assistente piansi perlopiù. Ma concordava con tutti quelli con cui avevo parlato. Sì, questo è un brutto periodo per avere un figlio. Sì, sei troppo giovane. Sì, avere un bambino costa un sacco di soldi. Sì, sarebbe tanto difficile per te tirare su un bambino da sola. Sì, è la cosa migliore da fare.
Aspettando che chiamassero il mio nome, cercai di convincermi di queste cose. Volevo solo che tutta la faccenda fosse finita.
Finalmente mi chiamarono dentro e mi misero su un tavolo. La dilatazione fu estremamente dolorosa. Un assistente teneva la mia mano e mi diceva di non piangere, sarebbe presto finito.
La macchina di suzione era molto rumorosa, un rumore orribile. Avevano un dipinto sul soffitto perché tu lo guardassi così da non dover pensare a che cosa ti stava accadendo. L’immagine del dipinto è impressa a fuoco nella mia memoria. Mi portarono via il bambino mentre guardavo gente che camminava sul treno.
Il mio ragazzo si ubriacò mentre ero alla clinica. A fatica riuscì a portarmi a casa in auto. Arrivò in ritardo a prendermi e stetti sull’angolo davanti alla clinica, sanguinante e imbarazzata, finché arrivo.
Quando tornammo alla mia stanza al college, io piangevo. Raccontai a tutti quanto fosse terribile, e come volevo non averlo fatto dopo tutto. Il mio ragazzo mi rise in faccia – mi rise in faccia! – e disse: “Beh, questo è il risultato per averla data in giro!”. Uno dei ragazzi della scuola cercò di buttarlo fuori e iniziarono a lottare. Fu una scena orribile. Sono sicura che si era ubriacato per cercare di affrontare la cosa; lui sapeva, nel profondo di sé, che era una cosa sbagliata. Stava solo cercando di biasimarmi cosicché la responsabilità non gravasse sulle sue spalle.
Alla fine, l’aborto non “risolse tutti i miei problemi” come tutti mi avevano promesso. I miei genitori tuttavia mi cacciarono fuori. Dovetti abbandonare la scuola. Sposai il mio ragazzo. Non funzionò. Divenne alcolizzato e drogato. Mi picchiava e portava altre donne nel nostro letto.
Una notte, durante una sbornia, mi puntò un coltello al petto. Gli dissi di uccidermi, che volevo morire. Non avevo nulla. Non i genitori, non il marito, in realtà, nessun bambino e nessun rispetto di me stessa. Come poteva rispettarmi? Avevo ucciso nostro figlio. Come potevo guardarmi allo specchio ogni giorno? Ero un’assassina. Volevo veramente morire. Poco dopo, ci separammo e divorziammo.
Il mio aborto è avvenuto circa dieci anni fa. Per me, è come un brutto, brutto incubo, immerso nel passato, da dimenticare. Nella mia vita attuale non ho ancora parlato a nessuno (mio marito, i miei amici di chiesa, chiunque io rispetti) del mio aborto. Non riesco. So che mi vedrebbero diversamente, e non potrei sopportarlo.
Ho avuto un bambino da allora, e sono ancora incinta. Questi figli sono la mia gioia, ed il mio perdono da parte di Dio. Il mio piccolo bimbo è così, così prezioso e meraviglioso. Se solo avessi saputo quanto un bambino è dolce e meraviglioso, non l’avrei mai fatto, neanche tra due milioni di anni.
Ora faccio picchettaggio vicino alle cliniche, scrivo lettere al giornale e do soldi ai gruppi pro-vita. Questo mi aiuta un po’, mi sembra di aver bisogno di fare almeno questo.
È ovvio che l’aborto ha devastato la mia vita. Emotivamente, ero una persona diversa prima e dopo. Ha lasciato un sentiero di distruzione nella mia vita. La mia famiglia, il mio primo matrimonio, la mia immagine di me stessa: un fallimento completo. Niente sarà mai più uguale.
Ora conosco le bugie che mi dissero, le verità che mi furono nascoste, i fatti che venivano mascherati o lasciati fuori. Da donna incinta, vado dal mio medico e vedo immagini di bambini nella pancia. Mese dopo mese, sento il battito del cuore del mio bambino. Mi dice come fare ciò che è meglio per la salute del mio bambino. Perché è legale in città NON dire queste cose?
Sono solo contenta di poterlo dire agli altri. Sono contenta di poter stare fuori da quella clinica quando nessuno c’era per me. Forse non sarò capace di confessare il mio aborto, ma posso combattere l’aborto!

Pubblicato originariamente in The PostAbortion Review 1(3) Fall 1993.
Elliot Institute, PO Box 7348, Springfield, IL 62791-7348
Altro materiale a www.afterabortion.org
http://www.afterabortion.org/case_co.html


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