L’aborto non aveva risolto il mio “problema”, si era aggiunto al mio dolore

2008-06-14

Avevo diciannove anni, ero matricola all’università e incinta del mio primo ragazzo. Un amico ci disse di andare da Planned Parenthood. Era il gennaio 1973, stesso mese ed anno di Roe v. Wade [il caso giudiziario che legalizzò l’aborto negli USA]. L’assistente di Planned Parenthood si sedette di fronte a me e disse: “Puoi andare a Washington DC ad abortire: non è legale in Pennsylvania, ma molto presto le donne non dovranno passare per tutti questo… l’aborto sarà legale e sicuro”. Dov’era l’inalienabile diritto alla vita per le donne di questa generazione? [Nella Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America del 4 luglio 1776 è scritto che: «Noi riteniamo queste verità di per sé evidenti, che tutti gli uomini sono creati uguali, che sono dotati dal loro Creatore di alcuni Diritti inalienabili, tra i quali vi sono la Vita, la Libertà e la ricerca della Felicità»] Quello che scoprii fu che il fatto che l’aborto sia legale non significa che sia sicuro.
L’assistente mi disse che dopo l’aborto avrei potuto continuare la mia vita. Anche se il mio ragazzo era seduto vicino a me, mi sentivo molto spaventata e sola. Lui mi guardò e mi disse: “Qualunque cosa tu voglia fare”.
Ricordo quel freddo giorno, un venerdì del gennaio 1973. Volai a Washington DC col mio ragazzo. Fummo prelevati all’aeroporto insieme ad altre donne che dovevano abortire quel giorno.
Nell’edificio dove si abortiva mi misero in una stanza con 40 altre donne. Era così impersonale. Ci fecero vedere un modello fetale vuoto. La donna che parlava ci disse che la procedura sarebbe durata 15 minuti. Poi fui portata in una stanza con solo il medico abortista ed un’altra donna. Ricordo un dolore intenso mentre piangevo. Mi sembrava come stessi per sentirmi male. Non ho mai provato un dolore così intenso, mai, nella mia vita. Poi fui portata in un’altra stanza. Mi dissero di sedere ed aspettare. Me ne sarei potuta andare dopo un’ora. Vicino a quella stanza c’erano donne nei lettini che stavano piangendo. Mi dissero che avevano dei problemi.
La forza della suzione fu molto forte, e cominciai a sanguinare abbondantemente. Non ci fu rapporto medico-paziente. Non avevo mai visto il medico abortista prima dell’aborto, e non l’ho mai visto dopo.
Quando lasciai l’edificio mi dissero: “Tutto andrà bene. Puoi continuare la tua vita. Ecco alcune medicine se ti viene la febbre”. Tutto non andava bene. La mia vita non fu più la stessa.
Nel giro di alcune settimane la relazione col mio ragazzo finì. Fu la mia “unica e sola” relazione sessuale prima dell’aborto. Piombai immediatamente in profonda depressione. Cominciai a bere molto, ad usare droghe, cominciai a volare di relazione in relazione, e smisi di frequentare molti corsi universitari. Cercavo di uccidere il dolore che era cominciato coll’aborto. Dov’era il mio bambino? Dov’era l’inalienabile diritto alla vita? Non me ne importava proprio più nulla.
Prima di un anno mi diagnosticarono un disturbo fibrocistico al seno. Il medico non riusciva a capire come avessi sviluppato queste cisti. Ero molto depressa e piena di sensi di colpa. Lasciai l’università dopo il secondo anno e cominciai ad avere uno stile di distruttivo di promiscuità, dolore, e gravidanze abortite. L’aborto non aveva risolto il mio “problema”, si era aggiunto al mio dolore.
Durante un aborto lasciarono dentro di me una parte del mio bambino. Planned Parenthood mi aveva inviata ad un abortista che effettuava estrazioni mestruali. Non mi fecero alcuna anestesia. Dopo aver pianto con profondo dolore, con le mie braccia che afferravano il muro, l’abortista mi guardò con paura. Disse all’infermiera che ero troppo avanti. Mi disse di alzarmi, vestirmi ed uscire. Continuai a sanguinare abbondantemente per giorni. Fui ricoverata all’ospedale per un raschiamento d’urgenza per rimuovere il resto del bambino.
Per anni ho negato che l’aborto fosse la causa del dolore e della profonda rovina nella mia anima. Pensavo: Il governo l’ha resto legale, quindi deve essere OK. Alle cliniche per aborti non mi avevano mai detto che avevo altre opzioni, che l’aborto avrebbe potuto danneggiare il mio corpo, che avrei potuto non avere più bambini, che stavo prendendo un’altra vita umana, che avrei potuto morire. Il mio bambino, il mio primo figlio mi avrebbe potuto salvare, se avessi scelto la vita.
Da bambina ero stata oggetto di abusi sessuali fino all’età di sei anni. Credo che la violenza abbia condotto alla mia perdita di dignità, di autostima, ed al bisogno di essere accettata dagli uomini per le mie prestazioni. Da allora sono venuta a a sapere che molte donne con sindrome post abortiva pure hanno sofferto di qualche forma di abuso da bambine. L'abuso ha causato l’aborto, e l’aborto ha aumentato gli abusi sulle donne.
Un anno dopo il matrimonio abortii spontaneamente nostro figlio Peter. La sua morte nel mio utero fu dovuta alle cicatrici nel mio utero dovute agli aborti.
L’aborto mi ha lasciato con la sterilità e tanti anni di cicatrici che ora sono guarite per mezzo dell’amore di Gesù Cristo. Sono madre di 10 figli. Sette sono in Cielo (sei aborti procurati ed uno spontaneo). I miei tre figli sulla terra sono una straordinaria benedizione ed hanno cambiato la mia vita per sempre. Portano a questa generazione e a questa nazione la verità che “ogni vita ha valore ed è degna e le donne di questa nazione hanno bisogno di guarigione, vero amore e verità, non di abuso continuato tramite l’aborto”.
Quando mio figlio John aveva otto anni mi disse: “Mamma, sento che c’era qualcun altro prima di me…”. L’aborto non finisce sul tavolo dell’abortista. L’aborto influenza le generazioni a venire.
L’aborto fa male alle donne, ai bambini e alle famiglie della Louisiana e di questa nazione. Le donne meritano alternative a favore della vita sia per la madre che per il figlio, non importa come un bambino sia stato concepito.

Cynthia Collins è direttrice esecutiva del Centro di aiuto alle gravidanze difficili. Presta servizio come direttrice della Louisiana e come membro del Consiglio Direttivo Nazionale di Operation Outcry, una rete nazionale che dà voce a donne e uomini che hanno provato il trauma causato dall’aborto.
Il 28 agosto 2005 Cynthia è evacuata da Slidell a causa dell’uragano Katrina ed è tornata in una casa che era stata riempita dall’acqua dell’alluvione. La sua famiglia si è spostata undici volte in otto mesi per rimanere nell’area e prestare aiuto alle donne incinte in situazioni difficili ed ai loro nascituri. Negli ultimi 20 anni il Centro di aiuto alle gravidanze difficili di Slidell ha fornito aiuti a favore della vita ad oltre 23'000 donne e dato la scelta della vita a circa 9'000 bambini della Louisiana.
Cynthia ha aiutato migliaia di donne ferite dall’aborto nel loro viaggio di guarigione e assistenza per riprendersi dall’aborto. Ha anche fondato Passion4Purity [letteralmente: Passione per la Purezza] International e presta servizio come Direttrice di Stazione di WGON-FM (Generation Outreach Radio), una stazione radio comunitaria dell’area di Slidell.

http://www.operationoutcry.org/pages.asp?pageid=26405
http://64304.netministry.com/images/CynthiaCollinsNov2007.pdf
Un grido senza voce


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