Ero cieca, ma ora vedo

2014-04-13

Mi chiamo Cindy e, purtroppo, la mia storia non è unica. Sono una sopravvissuta post aborto. Uso questo termine per aiutare gli altri a capire che l’aborto non uccide solo il bimbo concepito; esso lascia anche un seguito di vittime. L’aborto non è una “procedura” da cui una madre e un padre possano allontanarsi senza cicatrici dolorose e permanenti.
Ero pro-choice dalla prima volta che avevo sentito parlare di aborto, che fu nel 1980. Un’amica con cui andavo al liceo rimase incinta del suo ragazzo, e decise di abortire. Erano passati solo 8 anni dalla sentenza Roe v. Wade [che ha legalizzato l’aborto negli USA], ed ero una donna molto intellettuale. Non era una vita che veniva uccisa, era una vita potenziale. La vita si auto-sosteneva, e il corpo di una donna era semplicemente un sistema di supporto vitale per quella vita potenziale. Non sarebbe stato legale se consistesse nel porre fine alla vita di qualcuno. Acconsentii a portare la mia amica alla clinica per aborti perché non voleva che nessun altro lo sapesse. Il suo ragazzo la implorava di non abortire. Era così sconvolto e sembrava davvero essere devastato. Sentii molto dispiacere per lui perché chiaramente voleva diventare padre, ma non aveva alcun diritto di chiedere alla mia amica di far affrontare a sé stessa e al suo corpo la gravidanza e il parto. Alla fine lei lo disse alla madre che la portò, e la vita sembrò essere felice e normale per lei, dopo la procedura.
Quando rimasi incinta nel 1985, il mio ragazzo mi disse che per noi non era il momento giusto per avere un bambino, e che ci sarebbe stato tanto tempo per noi per avere una famiglia. Acconsentii senza obiezioni a questa decisione perché non era ancora un bambino, o almeno questo è ciò che credevo. Ero a circa sei settimane dall’ultimo ciclo e non avevo motivi fisici per sapere che stava accadendo qualcosa nel mio utero. Abortii e fui colpita da quanto fu doloroso. Mi avevano detto che sarebbe stato veloce e indolore, e che sarei tornata alla normalità in un giorno. Passai i due giorni successivi sul divano piangendo per il dolore e per il senso di depressione. Sentii molta più vergogna e paura che qualcuno scoprisse ciò che avevo fatto di quanto ne avrei sentito se qualcuno avesse scoperto che avevo avuto rapporti sessuali prematrimoniali ed ero rimasta incinta. Non capivo che cosa mi stesse capitando. Mi convinsi che sarebbe passato e finsi che la vita fosse normale e felice. Circa otto mesi dopo feci un sogno in cui vedevo il mio bambino. Lo tenevo tra le mie braccia e ci guardavamo amorevolmente l’un l’altro. Era così bello. Quando mi svegliai capii di aver appena visto mio figlio. Come normalmente accade, il padre ed io non restammo insieme. Questo era solo l’inizio della mia storia post aborto e del lungo viaggio da pro-choice a pro-life.
Continuai ad essere pro-choice e credetti che fosse semplicemente il lutto per la perdita di una “potenziale” maternità. Da quel momento la mia vita si riempì di comportamenti distruttivi. Divenni promiscua e cominciai a bere fortemente. Qualsiasi cosa per aiutarmi a smorzare il dolore e la vergogna che sentivo. Feci anche ciò che potevo per evitare di rimanere incinta, perché mi sentivo indegna di avere un altro bambino. Pregavo Dio che mi facesse morire in un incidente così non avrei continuato a provare così tanto dolore. La vergogna mi impedì di cercare l’aiuto di cui avevo bisogno. Un paio d’anni dopo condivisi la storia del mio aborto con un’amica. Cominciai il processo di perdonarmi. Il perdono venne, ma la vergogna stette con me per 23 anni.
Dopo un matrimonio fallito, ed essere piombata in una completa disperazione, dissi a Dio che l’avrei seguito ovunque mi avesse condotto. Mi condusse alla Chiesa cattolica e nell’autunno del 2007 entrai a far parte di un corso RCIA [Rito di iniziazione cristiana per adulti]. Fu conoscendo le vite di tanti santi che capii che Dio mi aveva perdonata, che ero degna del suo amore, e che non dovevo più provare vergogna. Sentii il desiderio di aiutare altre colpite da un dolore simile, e così decisi di parlare a uno dei nostri preti del mio aborto e mi offrii di condividere la mia esperienza con altre donne post-abortive o che pensassero di abortire. Due giorni dopo ero alla scuola superiore cattolica e stavo per far conoscere il mio più grande peccato a ben più di quattro persone che lo conoscevano, a tanti ragazzi e insegnanti, alcuni dei quali sapevo che mi avrebbero riconosciuta. Dopo aver condiviso la mia storia, ciò che avvenne mi prese completamente di sorpresa. Mi espressero ammirazione per il mio coraggio, solidarietà per il mio dolore, e amore che mi sollevò più in alto di quanto pensavo umanamente possibile. Non so se abbia aiutato qualcuno degli studenti, ma Dio mi guarì proprio in quel giorno. Satana non mi teneva più prigioniera nella vergogna, e sapevo che non sarei più stata zitta! Allora compresi che la vita e la morte dovrebbero essere lasciate a Dio e non agli uomini. Ancora non avevo compreso che avevo dato il consenso affinché il mio figlio fosse ucciso. Ero ancora sotto l’illusione di avere solo acconsentito a non permettere alla vita di crescere nel mio grembo. Dio è tanto misericordioso e sapeva che non potevo gestire la verità tutta in una volta.
Cominciai a leggere, a cercare di informarmi per quanto possibile riguardo all’aborto. Fu durante questa ricerca che appresi che il battito cardiaco può essere rilevato già da 18 a 22 giorni dopo il concepimento (cinque settimane dall’ultimo ciclo). La verità venne allora alla luce e cominciai a piangere e non smisi per un paio d’ore. Non potevo permettere agli altri di essere ciechi rispetto alla verità e di patire tutto il dolore e la sofferenza che avevo sperimentato. Sapevo che Dio mi aveva portata alla verità gradualmente così che fossi capace di condividere la mia testimonianza con altri.
Avrò il lutto per mio figlio e per la mancata occasione di maternità per il resto della mia vita, perché ho sempre desiderato dei figli. So che mio figlio, Francis McKinley, sa che lo amo e che ero cieca riguardo a quando comincia la vita. In memoria del mio adorato figlio, non starò zitta sulla verità che la vita comincia nel momento del concepimento.

Cindy ha pubblicato la sua testimonianza sul sito della CNN. Il titolo della sua testimonianza è tratto da un verso del canto ‘Amazing Grace’.
I Was Blind But Now I See


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