Sedicenne costretta ad abortire

2018-06-13

Ricevo questa terribile e ignobile storia dall’amico Giorgio Celsi.


Vicenza, 12 giugno 2018 

Questa vicenda merita di essere conosciuta perché dimostra il tragico inganno che si nasconde dietro la legalizzazione dell’aborto, inteso come diritto della donna e la superficialità con cui spesso viene praticato, soprattutto nel caso di giovanissime mamme.

Nella mattinata del 12 giugno, all’ospedale Santorso era programmato un intervento di aborto su una ragazzina di sedici anni, Letizia (nome di fantasia, n.d.r.).

La giovane nel disperato tentativo di salvare il proprio bambino, contro le pressioni dei genitori, riesce ad inviare una richiesta di aiuto, tramite whatsapp, all’amica Loreta Sartoretto, che la raggiunge alle 13:30.

In quel momento, Letizia si trova in una stanza con la psicologa, che cerca di tranquillizzarla e le promette di parlare con i genitori, per convincerli ad accettare la gravidanza della figlia.

Loreta riesce ad entrare nella camera e abbraccia Letizia, che tremando, le ripete tra le lacrime: “Ho paura, tanta paura perché vogliono uccidere il mio bambino!”.

Loreta cerca di rassicurarla, ma presto viene allontanata dalla stanza, ottenendo però il permesso di sostare nel corridoio.

Qui viene raggiunta dalle amiche Sonia e Maria Pellegrini, ostetrica.

Insieme iniziano a pregare per il bambino e per la sua mamma.

Presto un’operatrice sanitaria costringe le donne ad allontanarsi, accusandole di recare disturbo al reparto e minacciandole che se il padre di Letizia le avesse viste, le avrebbe denunciate ai Carabinieri.

Dopo qualche tempo la psicologa esce dalla stanza, sostenendo che ogni cosa è sistemata: il padre ha accettato la scelta della figlia e che quindi Loreta e le sue amiche possono tornare a casa tranquille.

Mentre Loreta, Maria e Sonia stanno completando il rosario vicino all’ascensore, vengono affrontate dal padre di Letizia, che inveisce contro di loro, dicendo di sapere con certezza che l’unica cosa giusta per sua figlia è abortire. L’hanno già fatto la sua compagna, sua madre e sua zia. L’aborto non è un problema e quindi sua figlia non deve far altro che abortire.

Poi minaccia di chiamare i carabinieri se Maria e le sue amiche non se ne fossero andate, smettendo di immischiarsi nelle sue faccende.

A questo punto, dopo essersi consultate con degli amici di associazioni pro-life (MpV, Movimento con Cristo per la Vita, Ora et Labora in difesa della Vita e i Giuristi per la Vita) e con alcuni avvocati, alle ore 16:43 Loreta con l’amica Lorella sopraggiunta chiama la polizia di Piovene Rocchette per denunciare l’accaduto.

La polizia risponde che i carabinieri di Schio e tutte le pattuglie sono impegnate e che sarebbero arrivati in ritardo, ma che non è possibile far abortire la ragazzina senza il suo consenso firmato.

Intanto Letizia comunica via whatsapp con Loreta fino alle 15:05.

Poi più nulla. Il suo telefono è irraggiungibile.

Quando alle 17:50 i Carabinieri di Schio arrivano sul posto, Letizia, in preda ad un pianto disperato, scrive alla cugina un messaggio in cui le dice di essere appena uscita dalla sala operatoria.

Il suo bambino non c’è più: le è stato praticato l’aborto.

Meno di tre ore sono state sufficienti per distruggere due vite.

Varie associazioni pro-life si attiveranno per far emergere la verità dei fatti e le responsabilità di quanti vi hanno preso parte.



0 commenti: