A tutti quelli che comprendono il valore della vita

A tutti quelli che comprendono il valore della vita
sabato 7 marzo 2009

Alberto R. S. Monteiro

La scorsa settimana è stata scoperta una gravidanza di gemelli in una bambina di 9 anni nel nordeste brasiliano. Il fatto è accaduto mercoledì 25 febbraio 2009 nella piccola Alagoinha, città di 14mila abitanti nell’interno dello Stato di de Pernambuco. La bambina era già di 4 mesi. Il padre sarebbe il patrigno, un ragazzo di 23 anni che viveva con la mamma della bambina. Il padre biologico della bambina, che attualmente pure vive in Alagoinha, si era separato dalla madre da circa tre anni. Il patrigno è stato arrestato lo stesso mercoledì sera e la popolazione della città ha perfino tentato di linciarlo.
La madre era contro l’aborto. Il padre radicalmente contro l’aborto. Contro tutta la migliore medicina, i funzionari dell’ospedale hanno fatto credere ai genitori che la bambina sarebbe morta se la gravidanza fosse portata a termine. Questo semplicemente non è vero. In Brasile ogni anno ci sono 30.000 gestazioni di minori di 14 anni e non c’è alcun caso registrato di morte causata dalla gravidanza quando è offerto un accompagnamento pre-natale e si permette il parto per mezzo del cesareo. Il modo in cui si è mentito ai genitori per far sì che acconsentissero all’aborto è motivo di vergogna per qualunque servizio sanitario. Il padre della bambina, al quale fu impedito di parlare con i medici, quando capì che i funzionari dell’ospedale stavano mentendo, chiese l’aiuto di un servizio di appoggio giuridico per impedire l’aborto, appoggio giuridico garantito dalla legge brasiliana poiché è un reato fare un aborto contro la volontà dei genitori, soprattutto quando non c’è alcun rischio di morte. I medici dell’ospedale, però, per garantire che l’aborto fosse realizzato lo stesso contro la volontà del padre, permisero il trasferimento della bambina per una struttura che mantenne il segreto della sua presenza fino alla realizzazione dell’aborto.
            Il governo brasiliano e i mezzi di comunicazione, trattando i responsabili di questi fatti come eroi, si stanno adesso approfittando dell’accaduto per promuovere un’agenda di passi verso la completa legalizzazione dell’aborto. Quello che è successo viene divulgato ampiamente in modo da nascondere i veri fatti che sono avvenuti con un gigantesco spettacolo mediatico nel quale la gente viene indotta a credere che la gravidanza di una minorenne significa la sua morte fisica.
Quello che è stato divulgato è quello che la stampa ha voluto che il pubblico sapesse. Le persone direttamente coinvolte nel caso hanno esposto ai giornalisti che li hanno cercati tutti i dettagli di ciò che viene raccontato nel presente testo, ma nulla è stato pubblicato. Le persone hanno il diritto di sapere la verità, e di comprendere quanto la gente e le stesse vittime stanno venendo manipolate in funzione di interessi internazionali con i quali il governo del presidente Lula è connivente.
[...]
Quello che è successo questa settimana a Recife non è il primo caso del genere. Ci sono gruppi che ricevono finanziamenti miliardari di Fondazioni internazionali perché questi eventi vengano sfruttati al massimo. Tocca a coloro che difendono la dignità umana, diventarne consapevoli e prendere posizione per perché non si ripetano avvenimenti vergognosi come questi, dove le persone semplici sono ingannate, dove i fatti sono nascosti e le informazioni manipolate, e un intero popolo è preso in giro con l’unico scopo di produrre cambiamenti profondi nell’opinione pubblica in funzione dei progetti di organismi internazionali. […]


1. La situazione politica dell’aborto in Brasile

Secondo le indagini dell’istituto di ricerche IBOPE [l’equivalente della nostra Doxa,NdT], più del 90% della popolazione brasiliana è contraria alla legalizzazione dell’aborto, e questo numero continua a crescere. Nel 2003 era esattamente il 90% e nel 2005 era il 97%. Nel 2007 un’organizzazione che lavora per la legalizzazione dell’aborto commissionò all’IBOPE una nuova ricerca sul tema, ma non volle divulgare il risultato perché, dissero, non era interessante per il pubblico, dato che il tema del momento era l’aborto in caso di stupro.

Quando arrivò al governo, nonostante fosse cosciente di questi numeri, confermati anche dalle ricerche del Ministero della Salute, il presidente Lula firmò di proprio pugno, nel dicembre del 2004, il Piano nazionale di politiche per le donne, nel quale collocava tra le priorità del proprio governo la legalizzazione dell’aborto in Brasile. Nel 2005 il governo Lula si impegnò due volte, in documenti ufficiali consegnati all’ONU e disponibili ancora oggi in internet, a legalizzare la pratica dell’aborto in Brasile abolendo tutte le restrizioni legali a qualsiasi tipo di aborto. Il primo documento di questo genere fu consegnato nell’Aprile del 2005 al Comitato per i Diritti Umani dell’ONU. In un secondo documento, consegnato nell’Agosto del 2005 al Comitato del CEDAW dell’ONU, il governo Lula riconobbe esplicitamente la pratica dell’aborto come un diritto umano. Alla fine del 2005 il governo Lula elaborò in progetto di Legge che, consegnato al Congresso attraverso la Segreteria della Politica per la Donna, voleva cancellare dal Codice Penale tutti i reati di aborto, facendo diventare in questo modo totalmente legale la sua pratica durante tutti i nove mesi della gravidanza. Il progetto era talmente assurdo che costò la elezione al Senato alla sua relatrice, la Deputata Jandira Feghali. Il progetto fu in seguito bocciato dalla Commissione di Sicurezza Sociale e Famiglia della Camera con la votazione di 33 a zero, e in seguito nella Commissione di Costituzionalità della Camera con 57 voti contro 4. La maggioranza dei deputati a favore dell’aborto o non comparve alla votazione o semplicemente si ritirò dalla sala per non soffrire la vergogna della schiacciante sconfitta. Il progetto avrebbe dovuto essere archiviato, ma per iniziativa del deputato pernambucano José Genoíno, dovrà di nuovo essere discusso nel Plenario alla Camera.
Nell’Aprile del 2006 la depenalizzazione dell’aborto venne ufficialmente inclusa, dal Partido dos Trabalhadores – partito attualmente al governo – (“Partito dei Lavoratori”, il partito di Lula, NdT) come una direttrice del programma di governo per il secondo mandato del presidente Lula. Più tardi, quattro giorni prima del primo turno delle elezioni per il suo secondo mandato, il 27 settembre del 2006, lo stesso presidente Lula incluse l’aborto nel suo programma personale di governo.
Durante il secondo mandato, il PT ha voluto che, nonostante la quasi totalità della popolazione brasiliana sia contraria alla legalizzazione dell’aborto e consideri tale pratica un omicidio, se un suo militante non lavora per promuovere la legalizzazione dell’aborto in Brasile, potrà essere processato, giudicato ed espulso dal Partito. Difendere la vita innocente non nata, nonostante che l’aborto sia considerato dalla legislazione vigente un reato punito dalla legge, secondo il PT è passato ad essere un’infrazione di Etica talmente grave da costare l’espulsione dal Partito. I deputati federali Luiz Bassuma, del PT della Bahia e Henrique Afonso, del PT dell’Acre, stanno rispondendo a un processo davanti alla Commissione Etica del Partito e possono venir espulsi solo per star difendendo la vita ed essere contro la legalizzazione dell’aborto. Anche altri parlamentari del partito che si sono pronunciati in favore della vita, come il deputato Nazareno Fonteles, sono già stati presa di mira da nuovi processi. Secondo la Segreteria delle Donne del PT, questi deputati apertamente non stanno compiendo una risoluzione del Partito presa nel 2007, che approvava il diritto all’aborto. Il sito web del Partido dos Trabalhadores ha presentato recentemente il processo di espulsione contro i deputati a favore della vita come Una vittoria delle femministe del PT. Secondo la pagina ufficiale del sito, “la partecipazione di questi deputati in atti pubblici contro la legalizzazione” non può restare impunita. “Deve avere conseguenze ed esige l’imposizione di una sanzione”. (cfr. http://www.pt.org.br/portalpt/index.php?option=com_content&task=view&id=15103&Itemid=201)
Lo stabilimento dell’aborto, ideologicamente vincolato con la liberazione della donna, non è un desiderio del popolo brasiliano. Viene promosso e finanziato da una rete di fondazioni internazionali ben note, la cui vera finalità è il controllo delle nascite. Il governo brasiliano è connivente con questa rete e questo è uno dei motivi per il quale è necessario immediatamente convocare la Commissione Parlamentare di Inchiesta sulla promozione dell’aborto in Brasile. I deputati Luis Bassuma e Henrique Afonso sono tra i principali promotori dell’iniziativa. È anche per questo che il Partito sta cercando di espellerli con tutta questa fretta. Ed è anche questo che sta dietro ai tristi avvenimenti che sono accaduti questa settimana nella città di Recife.

2. Come tutto è iniziato

Tutto quello che racconto adesso è stato dichiarato innumerevoli volte davanti alle telecamere e microfoni dei giornali, radio ed emittenti televisive dai vari partecipanti ai fatti avvenuti negli ultimi giorni in Alagoinha e Recife. E, per quello che si sa, queste persone continuano ad essere intervistate e a dire le stesse cose. Non vogliono nascondere nulla e vogliono che il pubblico sappia quello che realmente è accaduto. Dovrebbero essere fatti resi noti a tutti, ma non lo sono. Tocca al lettore di questo mio testo divulgare i fatti che la stampa insiste nel silenziare, perché le autorità possano prendere i dovuti provvedimenti, proteggere i diritti umani, promuovere la vera democrazia e far sì che mai più le persone più semplici siano vergognosamente usate per promuovere una agenda internazionale contraria al pensiero del popolo brasiliano.

Mercoledì 25 febbraio 2009, nella piccola Alagoinha nella campagna del Pernambuco si è scoperto che una bambina di 9 anni era incinta di 4 mesi. Il padre dei piccoli, probabilmente il patrigno che viveva con la madre della bambina, è stato immediatamente arrestato e trasferito nella Penitenciária di Pesqueira. Secondo il Codice Penale Brasiliano, rischia più di 15 anni di carcere duro. In Brasile non esiste la pena di morte per simili mostruosità, ma per il frutto della gestazione, non importa se già perfettamente formato e sicuramente innocente, si impone una morte che la legge non ha il coraggio di imporre al colpevole stesso. Il padre biologico della bambina, che si era separato dalla madre da tre anni, continua a vivere in Alagoinha e seguì i fatti durante i primi due o tre giorni a una certa distanza.


La stampa iniziò subito a parlare di aborto, ma mai disse che sia il padre biologico della bambina come la stessa madre, erano contrari all’aborto. Apparentemente nessuno si prese la briga di domandare alla coppia qualcosa circa la loro posizione questo argomento. Anzi, la stampa dette subito come certo che la bambina era in imminente rischio di vita a causa della gravidanza, ed elencò i motivi per i quali la bambina poteva morire. Il giornale Diário de Pernambuco scrisse che si poteva “avere una ostruzione del parto, causato dalla sproporzione cefalopelvica, che avviene quando l’apertura pelvica della madre è troppo piccola per permettere che la testa del bambino passi durante il parto”. Il Diário però non scrisse questo può accadere soltanto quando il parto è normale, e che in questi casi la medicina non deve mai permettere che la gravidanza arrivi al parto normale. In questi casi si realizza un parto cesareo e il problema, semplicemente, scompare. Il giornale affermò anche che sarebbero potute insorgere altre complicazioni, come “la setticemia (infezione generalizzata), il distacco della placenta a causa della ipertensione arteriosa, ipertensione causata dalla gravidanza, compreso pre-eclampsia ed eclampsia, le quali, se non curate, possono provocare arresto cardiaco o ictus, portando alla morte, sia della madre che del bambino”
Mai il giornale, o qualcun altro delle centinaia di giornalisti che ripeterono la stessa cosa, spiegò però che queste complicazioni non sono repentine. Nessuno va a dormire la sera stando bene e si sveglia con una setticemia mortale. Nessuno va a letto la sera stando bene e si sveglia la mattina con un ictus dovuto a una eclampsia. Prima che questa si sviluppi deve apparire una pre-eclampsia, e prima che questa avvenga devono essere constatate alterazioni del quadro della pressione arteriosa. Prima che un’infezione si trasformi in setticemia deve esserci una grande infezione e almeno una febbre. Anche il distacco della placenta a causa della ipertensione arteriosa non è repentino. La placenta si stacca gradualmente e il medico ne vede i segnali attraverso piccole emorragie. I distacchi totali e repentini di placenta sono rarissimi e anche quando accadono è durante parti normali che risiede il maggior pericolo.
Tutto ciò significa che, sebbene la gravidanza sia considerata a rischio, la probabilità che muoia una bambina incinta con un buon accompagnamento prenatale e un parto cesareo a momento giusto è praticamente nulla. Lo mostra lo stesso buonsenso. Quanti casi si conoscono, da parte di medici e non, di bambine morte di parto? Sono cose che, se fossero comuni, i giornali avidi di sensazionalismo come sono, riporterebbero con abbondanza. In questa stessa settimana, lo stesso Diário de Pernambuco, pubblicò senza grande risalto una nota in cui, il medico legale che ha seguito il caso, la Dr.ssa Carmelita Maia, sebbene avesse dichiarato che c’era “urgenza per il procedimento” e che la bambina “aveva bisogno dell’aborto il più rapidamente possibile”, quando le chiesero se conosceva altri casi simili in Pernambuco, dichiarò: “Sto terminando la mia tesi dottorale sulla violenza sessuale, con la Fondazione Osvaldo Cruz, che studia la gravidanza in minori di 14 anni. Ho potuto verificare che in un anno 50 bambine in Recife, di questa fascia di età, hanno un figlio”.


Il medico dichiara di aver investigato l’argomento e di aver incontrato 50 bambine sotto i 14 anni che hanno avuto un bambino a Recife. Quante ne sono morte? Non ne menziona nemmeno una.
E possiamo essere ancora più espliciti: quante sono state le bambine che sono rimaste incinta, che ebbero un buon accompagnamento prenatale, hanno fatto il cesareo e sono morte, negli ultimi dieci anni? La risposta è solo una: probabilmente nessuna, e sono state molte le bambine incinta in questi anni. Il DataSus informa che 27.610 minori di 14 anni hanno partorito bambini nati vivi in Brasile nel 2006. In dieci anni sono circa 300.000 bambine. Questo numero impressionante mostra che la gravidanza in minori di 14 anni non è un evento raro. Queste 300.000 ragazzine comprendono sia quelle che hanno avuto un accompagnamento sia quelle che non lo hanno avuto. La domanda è: quante di quelle che hanno avuto accompagnamento prenatale e cesareo sono morte a causa della gravidanza? Il Datasus non ne registra alcuna. Probabilmente nessuna ragazzina minore di 14 anni accompagnata nella gravidanza e assistita col cesareo è morta negli ultimi dieci anni. Gravidanza a rischio non significa necessariamente che la madre morirà, solo che c’è bisogno di un accompagnamento speciale. Questo lo sa qualsiasi medico. Perché allora i medici che sanno questo stanno zitti e non lo dicono pubblicamente? Il motivo è semplice. In Brasile, dove il governo Lula firma accordi internazioni per introdurre l’aborto totalmente libero e il Comitato di Etica del PT si prepara a processare ed espellere due deputati per l’unico crimine di essere contro l’aborto, non è politicamente corretto dire queste cose in pubblico. Ancora più difficile, però, è spiegare perché medici, para-medici e funzionari di ONGs, sapendo che stanno mentendo per indurre la gente a credere che una ragazzina morirà a causa di una gravidanza, insistono così tanto nello spargere disinformazione tra il popolo brasiliano. Cercheremo di spiegare perché si mente in tale modo, coscientemente, con la connivenza e il plauso della stampa, nel proseguo di questo nostro testo.
Intanto quello che è certo è che il padre e la madre della ragazzina erano contrari all’aborto. Stando così le cose, essi avrebbero dovuto avere il diritto di essere informati chiaramente sull’argomento. E non lo furono. Come mostreremo furono informati nel modo più vergognosamente fraudolento.
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3. Ricovero nell’Instituto Materno Infantil (IMI) di Recife

Verificata la gravidanza della ragazzina, le autorità misero in moto il Conselho Tutelar. I consiglieri verificarono che la madre era contraria all’aborto e decisero di indirizzare la ragazzina all’Instituto Materno Infantil de Pernambuco di Recife. L’IMIP è un ospedale di riferimento nello stato del Pernambuco per quanto riguarda maternità e pediatria, fondato dal Fernando Figueira, un medico che ha fatto storia in questo Stato. […].
Venerdì 27 febbraio i consiglieri tutelari si diressero a Recife con la madre della ragazzina e la ragazzina stessa, immaginando di essere indirizzati verso l’Istituto di Medicina Legale per realizzare gli esami legali comuni in questi casi di reato, e poi all’IMIP per iniziare l’accompagnamento prenatale.
Invece, dopo essere passati dall’Istituto di Medicina Legale, vennero ricevuti nell’IMIP dal servizio di assistenza sociale dell’Ospedale, che invitò la consigliera a firmare un documento che autorizzasse l’aborto. La consigliera, sorpresa, rispose che non erano venute per l’aborto e che non avrebbe firmato alcun documento. L’assistente sociale risposte che era già stato tutto combinato e che dovevano firmare. Davanti al nuovo rifiuto della consigliera, l’assistente le consegnò una richiesta scritta di proprio pugno nella quale sollecitava “un intervento del Consiglio Tutelare di Alagoinha perché si mostrasse favorevole all’interruzione della gravidanza della ragazzina, secondo le disposizioni dello Statuto del Bambino e dell’Adolescente e davanti alla gravità del fatto”. Il Consiglio avrebbe dovuto pronunciarsi entro il giorno lunedì 2 marzo”.
Però, già nella sera di quel venerdì i giornali iniziarono ad annunciare che l’aborto sarebbe stato realizzato il giorno seguente. Il venerdì il Jornal do Comércio annunicò che “La ragazzina di 9 anni che è incinta di gemelli e sua sorella di 14 anni, che è portatrice di deficienza, sono ricoverate nell’Instituto Materno Infantil Professor Fernando Figueira (IMIP), nell’area centrale di Recife. Ci sono informazioni che l’aborto potrà essere realizzato questo sabato”


A mezzogiorno del sabato lo stesso Jornal do Comércio annunciava che l’Ospedale aveva confermato l’inizio delle procedure di aborto, che si aveva già il consenso della famiglia e che l’aborto sarebbe stato realizzato in giornata. Tutte queste informazioni erano false, ma già erano diffuse per tutto il Brasile dall’Ufficio stampa dell’IMIP:

“L’Ufficio stampa dell’Instituto Materno Infantil Professor Fernando Figueira (IMIP) ha confermato che sarà realizzato un aborto nella ragazzina di 9 anni che è incinta di gemelli. L’interruzione della gravidanza in questo caso, che ha avuto il consentimento dei genitori, è prevista dalla legge e dispensa della autorizzazione del giudice. I procedimenti necessari per la realizzazione dell’aborto saranno realizzati in questo sabato 28”


La notizia, ripetuta anche da altri giornali, spaventò il Conselho Tutelar de Alagoinha, visto che si era detto che non sarebbe stato fatto nulla prima di lunedì, quando il Consiglio si sarebbe pronunciato e, tra l’altro, i consiglieri sapevano che la madre della ragazzina era contraria all’aborto. Per questa ragione tornarono sabato a Recife, un viaggio di tre ore di macchina per andare e tre per tornare, per capire quello che stava succedendo e verificarono che la ragazzina stava giocando nell’ospedale hospital, nessun procedimento era stato iniziato e domandarono alla madre cosa pensasse della cosa. La madre affermò chiaramente davanti ai consiglieri che ella era contraria all’aborto, “che pensava che l’aborto non era giusto, anche in quel caso, e che nessuno aveva il diritto di togliere la vita a nessuno”. Ma, profondamente e visibilmente scossa, disse che aveva firmato “alcuni fogli” che non sapeva, però, di cosa trattassero. Si deve dire che la madre è analfabeta e non sa scrivere il suo nome. Per firmare quei documenti le fu chiesto di usare le sue impronte digitali.
Ritornando il sabato sera stesso ad Alagoinha, i consiglieri si preoccuparono di cercare il padre della ragazzina perché anche lui si pronunciasse sulla vicenda. Poterono verificare che il sig. Erivaldo, il nonno dei due bambini, aveva una posizione contraria all’aborto e in questo senso molto più netta di quella della madre. Erivaldo concordò nel dirigersi all’IMIP nel lunedì seguente, insieme al Consiglio Tutelare, per chiedere la dimissione della figlia.
Restava ancora da risolvere la questione del documento per il quale era stato richiesto il parere del Conselho Tutelar all’IMIP. Avendo verificato che entrambi i genitori della ragazzina ricoverata nell’IMIP erano contrari all’aborto, i membri del Conselho Tutelar di Alagoinha votarono all’unanimità, domenica, di dirigere all’IMIP una sollecitazione di non realizzare l’aborto, rispettando così la volontà di entrambi i genitori che desideravano proteggere la vita dei due bambini.
Nel frattempo in Recife e in tutto il Brasile, la stampa continuava a dare notizia, falsamente, che la procedura di aborto erano già stati iniziati. Questo comportamento della stampa nel veicolare informazioni che erano oculatamente false, preparò a livello nazionale una aspettativa di sensazionalismo e un ambiente nevrotico nel quale poi si sarebbero svolti gli avvenimenti che stavano per accadere. Nella sua edizione domenicale, il Diário de Pernambuco così affermava:
«Le procedure per l’aborto dei gemelli aspettati dalla ragazzina di 9 anni, vittima di abuso sessuale, sono state iniziate sabato. La ragazzina è ricoverata, da venerdì, nell’infermeria di gestazione ad alto rischio nell’Instituto Materno Infantil (Imip), assistita a un’equipe multidisciplinare. La famiglia della ragazzina ha richiesto l’interruzione della gravidanza e l’IMIP, a fronte del rischio che corre la paziente, ha accolto la richiesta”


4. Erivaldo a Recife

Nel pomeriggio di Lunedì, il sig. Erivaldo, padre della ragazzina ricoverata, si diresse all’IMIP insieme ai membri del Conselho Tutelar di Alagoinha, per chiedere la dimissione della figlia e la sospensione della procedura di aborto. L’ambiente già era stato preparato perché egli fosse ricevuto come avvenne. Ricevuti dalla stessa assistente sociale che aveva chiesto che il Conselho Tutelar si pronunciasse a favore dell’aborto, i consiglieri dissero che tutti coloro che erano coinvolti nella città di Alagoinha erano preoccupati per la vita dei tre bambini. L’assistente rispose immediatamente:
- "Qui non ci sono tre bambini, esiste solo una bambina, il resto sono embrioni”

- "Come possono essere embrioni?” rispose uno dei due consiglieri. “ La gravidanza è quasi di cinque mesi, i bambini sono già formati, già hanno fegato e cuore”.

L’assistente rispose che anche se avessero il cuore non significa nulla. Erano solo embrioni, e la bambina rischiava la vita. I consiglieri risposero che avevano preso informazioni, e in Recife c’erano molti casi di minori incinta ma non avevano trovato nulla di ragazzine che fossero morte per causa di una gravidanza. Cosa faceva pensare che questa sarebbe un’eccezione? L’assistente rispose che, non essendo un medico, non sapeva spiegare queste cose, ma che era già stato deciso che era necessario fare l’aborto per salvare la vita alla ragazzina.
A questo punto il Conselho presentò il sig. Erivaldo come padre della ragazzina, in quanto ancora non si era identificato come tale. I consiglieri dissero che era venuto personalmente da Alagoinha per chiedere, insieme al Conselho Tutelar, la cessazione delle procedure di aborto e la dimissione della figlia dall’ospedale. Per la legge brasiliana chi risponde per i minori sono entrambi i genitori. In tutte le decisioni nelle quali siano coinvolti minorenni è obbligatorio il consenso di entrambi i genitori. Se i genitori sono d’accordo, la questione è chiusa. Se non lo sono, un giudice dovrà ascoltarli entrambi e decidere chi ha ragione. Qualsiasi procedimento che si allontani da ciò è illegale. Nessuna autorità che non sia un giudice può iniziare qualsiasi procedimento per un minorenne contro il consenso di uno qualunque dei due genitori. Nulla ritira questa potestà familiare che sempre appartiene a entrambi i genitori insieme. Se i due genitori si separano, non perdono la potestà familiare per questo motivo. Anche se uno dei due genitori ha la custodia del figlio, ha soltanto il diritto ad abitare con lui, ma ciò non fa decadere la potestà familiare dell’altro. Queste norme elementari del Diritto brasiliano furono apertamente calpestate nel caso di cui stiamo parlando.
Saputo che era presente il padre della ragazzina, l’assistente chiese che tutti uscissero dalla sala e conversarono a porte chiuse per mezz’ora. Quando finalmente il padre uscì dalla sala, era un uomo completamente cambiato. Disse ai consiglieri che la sua posizione contro l’aborto adesso era differente, perché l’assistente gli aveva detto, (e riportiamo le parole che egli disse davanti a coloro che raccontano questo): “che sua figlia sarebbe morta, e se doveva morire allora era meglio abortire i bambini”.
Secondo la testimonianza del parroco di Alagoinha, che accompagnava l’equipe, non fu possibile sul momento avere maggiori informazioni a rispetto: “Dopo che il padre uscì dalla sala, l’assistente fece di tutto perché non potessimo avvicinarci al padre e potessimo parlare con lui”.
Nel frattempo, dopo l’uscita dall’ospedale, quando poterono parlare meglio con il padre, i consiglieri seppero quello che aveva fatto cambiare idea al sig. Erivaldo e lo aveva fatto arrivare alla conclusione che se non realizzasse l’aborto, sua figlia sarebbe morta, era stata solo la conversazione a porte chiuse con l’assistente.

- Ma come? Allora lei non ha parlato con alcun medico? Non ha parlato con nessun altro? Ma non ricorda che abbiamo chiesto tutti insieme all’assistente sociale su cosa si basava per essere così certa che la ragazzina sarebbe morta ed ella ripose che non lo sapeva perché non era un medico?

- È vero, rispose il sig. Erivaldo. Ma adesso chi mi garantisce che non morirà?

Si noti la grande differenza tra quello che era accaduto e quello che i giornali riportavano. La stampa informò il pubblico, per tutto il tempo, per dare credibilità al servizio di aborto legale dell’IMIP, che la famiglia stava “ricevendo assistenza medica ed è accompagnata da un’equipe multidisciplinare, che comprende ginecologi, psicologi e assistenti sociali”.


Invece, al padre della ragazzina, che molto più della madre era radicalmente contro l’aborto, venne negata qualsiasi informazione che potesse venirgli da una equipe multidisciplinare. Fu soltanto un’assistente sociale, la quale alcuni minuti prima aveva riconosciuto davanti a tutti che non sapeva rispondere a questioni di tipo medico e che disprezzò due vite che stavano nel ventre materno, che convinse a porte chiuse un uomo che la figlia sarebbe morta certamente se non fosse praticato l’aborto. Nessun medico fu chiamato, nessuna psicologa, nessuna equipe multidisciplinare. Solo una conversazione a porte chiuse con un’assistente, interessata solo che l’aborto fosse praticato a tutti i costi, e che dispensò semplicemente il padre dopo averlo convinto su quello che lei stessa aveva riconosciuto che non aveva competenza professionale per spiegare. Purtroppo, si deve dire che questo non è un caso isolato. I gruppi che lavorano a favore della vita vengono costantemente in contatto con casi come questo. I servizi di aborto legale in Brasile sono stati occupati da attivisti che sono interessati più a promuovere l’aborto che il bene stesso dei pazienti o rispettare quello che questi pensano. Storie come questa sono comuni, A meno che qualcuno non abbia una cultura superiore e abbia convinzioni ben elaborate contro l’aborto, quello che si sente sono innumerevoli e innumerevoli storie simili a questa. È assai comune che questi servizi facciano di tutto perché coloro che entrano da loro realizzino un aborto. Tali servizi furono montati con l’appoggio economico internazionale per servire da base politica per la promozione della completa legalizzazione dell’aborto. La storia del sig. Erivaldo è solo uno degli innumerevoli esempi.
Il Conselho Tutelar cercò, poi, di consegnare all’assistente il documento firmato da tutti nel quale si chiedeva la sospensione della procedura di aborto. L’assistente disse che il documento non aveva più importanza, dal momento che la madre della ragazzina aveva già firmato la richiesta di aborto. Ma la consigliera insistette che l’ospedale avrebbe dovuto ricevere il documento, visto che la stessa assistente sociale lo aveva richiesto il venerdì precedente. Con sorpresa dei consiglieri, l’assistente negò più volte di aver formulato una tale richiesta.

- “Io non ho chiesto nulla”.

- “Come non ha chiesto nulla? Lei stessa ha scritto di proprio pugno una richiesta e l’ha consegnata nelle mie mani!” rispose la consigliera

- “Io non ho scritto nulla” – replicò l’assistente.

- “Lo ha scritto, invece, e glielo mostro.”

La consigliera allora tirò fuori dalla borsa il documento.

- “Visto la calligrafia? Non è la sua? Come può dire che non ha fatto la richiesta?”

L’assistente prese il documento in mano, lo esaminò e, invece di ripondere qualcosa, lo strappò davanti alla consigliera, in piccoli pezzi dicendo: “Questo non vale nulla”.

- “Perché ha strappato il documento? Non ho altra copia, ma tutti in Alagoinha lo hanno visto. Tutti i consiglieri, compreso il parroco, hanno visto il documento che lei ha strappato”

- “Lei ha mostrato il documento al prete?”

- “Sì”.

- “Lei non doveva averlo fatto”, rispose l’assistente nervosa, “Io lo avevo dato solo per lei. Non doveva mostrarlo a nessun altro”.
L’assistente allora concordò nel ricevere e protocollare la richiesta della sospensione di aborto da parte del Conselho Tutelar di Alagoinha e permise che i consiglieri parlassero con la madre della ragazzina, ma che “facessero attenzione con chi parlassero”.
I consiglieri poterono salire e incontrarono la madre della ragazzina. Poterono verificare che le procedure di aborto non erano ancora cominciate, ma l’assistente restò molto vicino alla madre della ragazzina e dei consiglieri e non permetteva alcuna opportunità di fare una qualsiasi domanda.
I consiglieri erano stati informati del fatto che la madre aveva firmato il permesso di realizzare l’aborto e sapevano che il sabato precedente la madre aveva loro dichiarato, già nell’ospedale, che era contro l’aborto e che “pensava che l’aborto non era giusto, neanche in quel caso, e che nessuno aveva il diritto di togliere la vita a nessuno”.
Però il lunedì non poterono chiederle nulla per confermare se davvero aveva cambiato idea e perché. L’assistente sociale restò tutto il tempo al suo lato agendo manifestamente in modo da inibire qualsiasi domanda più delicata che potesse essere fatta.


5. Il sig. Erivaldo torna a Recife

Scioccati da quello che stava accadendo e dal modo in cui erano stati ricevuti nell’IMIP, i consiglieri, ritornando a sera ad Alagoinha, cercarono aiuto. Contattarono allora il vescovo di Pesqueira, alla cui Diocesi appartiene la città, e per mezzo del quale entrarono in contatto con il servizio di consulenza giuridica della Arcidiocesi di Recife. Diversamente da tutto quello che avevano vissuto fino a quel momento, i consiglieri trovarono persone molto comprensive, le quali nel comprendere la gravità di quello che stava accadendo, annullarono tutti i loro impegni personali per potersi dedicare integralmente per aiutare questa famiglia. Nonostante fosse già notte, entrarono in contatto con altri medici e professionisti del campo psicologico per capire bene quello che succedeva.
Di mattina ben presto, l’Arcivescovo di Recife già era al corrente di tutti i dettagli. Telefonò al dott. Antônio Figueira, il rettore dell’IMIP, chiedendogli un incontro. Gli spiegò cosa stava succedendo, che i genitori della ragazzina erano contrari all’aborto, di come erano stati trattati dall’ospedale, come la stampa stava divulgando informazioni scorrette, e voleva sapere quale fosse il vero stato di salute della ragazzina. Il Dott. Antonio Figueira rispose all’arcivescovo che avrebbe chiesto al servizio medico dell’ospedale che sospendesse qualsiasi procedura di aborto fintanto che tutta la situazione non fosse stata chiarita e si diresse al Palácio de Manguinhos [residenza dell’Arcivescovo, NdT].
Nella riunione nel Palácio de Manguinhos il direttore dell’ospedale IMIP affermò davanti a tutti i presenti che la ragazzina in realtà non correva alcun rischio imminente di vita e che, se i genitori non avessero voluto realizzare l’aborto, poteva tranquillamente portare a termine la gravidanza a termine, se le fossero stati offerte le provvidenze necessarie che il suo quadro necessitava.
All’inizio del pomeriggio, il sig. Erivaldo tornò a Recife per incontrarsi con il servizio di consulenza giuridica dell’Arcidiocesi. Firmò un documento di proprio pugno nel quale chiedeva la cessazione definitiva delle procedure di aborto e la dimissione della figlia. Firmò anche una procura per l’avvocato. La diocesi, d’altro canto, era entrata in contatto con un medico e una psicologa che si sarebbero rivolti in seguito, insieme al sig. Erivaldo, all’IMIP. Il medico sarebbe andato a incontrare l’equipe medica dell’ospedale per capire il vero quadro clinico della figlia del sig. Erivaldo. La psicologa avrebbe incontrato la madre della ragazzina.
Quando queste persone arrivarono all’ospedale, alla fine del pomeriggio di martedì, furono informate che la madre non era più dentro l’ospedale. Secondo l’IMIP, aveva chiesto la dimissione della figlia e, poiché non c’era rischio imminente di vita, l’ospedale non aveva potuto negarla. Ma nessuno sapeva dove fossero andate. Subito dopo furono informati che il gruppo Curumim, una ONG che lavora per la legalizzazione dell’aborto, era stato là, aveva parlato con la madre della ragazzina e l’aveva convinta a chiedere la dimissione della figlia. Seppero anche che la ginecologa Vilma Guimarães, coordinatrice del Centro di Attenzione alla Donna dell’IMIP e anche presidente della Società Pernambucana di Ginecologia e Ostetricia, era uscita insieme alla madre e alla bambina. L’Ospedale non seppe dare il telefono della Dott.ssa Vilma. Secondo l’edizione del Diário de Pernambuco di venerdì 27 febbraio, la dott.veva già dichiarato alla stampa, prima perfino di esaminare la ragazzina, che in situazioni a rischio (come quella): “la cosa migliore sarebbe stato interrompere la gestazione”.


Ciò che più impressiona in questa storia è la contraddizione insita nel fatto che, fino al giorno prima, l’ospedale rifiutò al sig. Erivaldo qualsiasi possibilità di pensare nella dimissione o nella sospensione delle procedure di aborto a causa proprio del supposto pericolo imminente di vita che sua figlia stava correndo. Ma adesso aveva permesso la dimissione proprio sul fatto che non c’era rischio di vita per la ragazzina.
Sebbene l’ospedale affermasse che non sapeva nulla sulla destinazione della ragazzina, il fatto è che lo stesso medico coordinatrice del Centro di Attenzione alla Donna dell’IMIP era andata con loro e, quindi, la coordinazione dell’ospedale sapeva bene dove fossero andate. La coordinazione dell’IMIP sapeva che era imminente l’arrivo del padre con il suo avvocato, un medico e una psicologa, che non avrebbero potuto ingannare come avevano fatto due giorni prima con la madre di sua figlia. Decisero che l’unico mezzo per il quale quell’aborto poteva essere realizzato sarebbe stato quello di spostare la madre e la ragazzina per una struttura sconosciuta fino a che non fosse consumato l’aborto. Sapevano che il padre della ragazzina era contrario all’aborto e sapevano anche che in questi casi non si sarebbe potuto realizzare legalmente l’aborto contro la volontà anche di uno solo dei due genitori.
Martedì pomeriggio tutti i funzionari dell’ospedale già sapevano che il padre della ragazzina era contrario all’aborto. Secondo il Jornal do Comércio, l’Ufficio stampa dell’Ospedale aveve comunicato quel pomeriggio che: “L’istituto Materno Infantil di Pernambuco (IMIP) ha scelto di attendere un accordo tra i genitori quanto all’aborto della ragazzina di 9 anni che è restata incinta di due gemelli dopo essere stata stuprata dal patrigno di 23 anni. Secondo l’ufficio stampa dell’Ospedale, la decisione è stata presa dopo che il padre della ragazzina ha preso posizione contro la procedura”.


Questo aborto, quindi, secondo le leggi brasiliane, sarebbe illegale. E se hanno dovuto fare le cose di nascosto al padre, come hanno fatto, per realizzare un aborto illegale, questo aborto fu anche clandestino. Non c’è stata la minima legalità in quello che è stato fatto. La madre della ragazzina, che neppure sapeva scrivere il proprio nome, mai avrebbe avuto l’iniziativa di chiamare il gruppo Curumim per convincere l’Ospedale a concedere la dimissione e a portarla in un luogo già preparato in anticipo e che non sarebbe stato rivelato né al pubblico, né allo stesso padre.
Impressiona anche la chiara discriminazione nel modo in cui al Consiglio Tutelare era stato impedito in modo così umiliante di parlare con la madre della ragazzina soltanto perché rappresentavano un padre contrario all’aborto, mentre nel giorno seguente una entità come il gruppo Curumim, solo perché auto-proclamatasi femminista e lavora per la promozione dell’aborto, ebbe la libertà di entrare e convincere la madre della ragazzina non solo a chiedere la dimissione ma anche di potere essere portata via dal gruppo stesso, insieme alla coordinazione dell’IMIP, verso una struttura che si sapeva che non sarebbe stata rivelata al padre.
Poco dopo si venne a sapere che la ONG a favore dell’aborto era stata chiamata dal SOS Corpo di Recife che anche aveva partecipato alla operazione di “recupero” nell’IMIP. Inoltre, si venne a sapere anche che il giornale Diário de Pernambuco, dicendo in modo incredibile che chi stava facendo pressione era la Chiesa e non il servizio di aborto legale dell’IMIP, dichiarava di sapere dove si trovava la struttura ma che non lo avrebbe rivelato. Sembra che tutti in questa storia avessero il diritto di sapere come e dove le cose stavano, tranne il padre della ragazzina, senza importarsi di quello che diceva la legge. Così scriveva il giornale:
Nonostante la pressione della Chiesa, la ragazzina è stata portata dalla madre, ieri sera, in un’altra struttura sanitaria. Il Diário ha localizzato le due e ha tentato di parlare con la madre nel nuovo locale di ricovero, ma la donna ha preferito non dire nulla. La ragazza ha ricevuto la dimissione dall’unità ieri verso l’inizio di serata. Secondo le informazioni dell’Ufficio stampa dell’IMIP, la dimissione è stata concessa a richiesta della madre, che risponde della custodia della ragazzina. Ella ha firmato una dichiarazione di responsabilità ed è uscita senza comunicare alla direzione dell’Ospedale né ai consiglieri tutelari dove avrebbe condotto la figlia, se sarebbe tornata a casa o se sarebbe andata in un altro ospedale”.


Il gruppo Curumim dichiara di essere un’organizzazione il cui lavoro è finanziato dalla IWHC, International Women Health Coalition, La IWHC è una entità femminista e una delle più grandi promotrici internazionali di aborto clandestino. L’entità è stata in pratica fondata da Adrianne Germain, una sociologa che prima di fondare la IWHC aveva lavorato nel Consiglio per la Popolazione di New York, una delle Organizzazioni Rockefeller che scatenò, negli anni ’50, tutto il lavoro di controllo della natalità e promozione dell’aborto al quale assistiamo oggi a livello internazionale, senza sapere da dove vengano queste cose. Dopo qualche tempo nel Consiglio, Germain venne assunta dalla Fondazione Ford, attraverso la quale organizzò tutta la rete di servizi di aborto nel Pakistan Orientale, paese in cui ancora oggi l’aborto è totalmente illegale. Rapporti disponibili in internet, scritti dalla stessa IWHC, affermano che l’entità ha già finanziato la diffusione dell’aborto clandestino nelle Filippine, in Indonesia, in Africa e nella maggior parte dell’America Latina. La stessa presidente, Adrianne Germain, è già stata personalmente varie volte in Brasile dove, con l’appoggio della Fondazione Ford, distribuiva equipaggiamento per la pratica di aborti in cliniche clandestine. L’entità percorre tutto il mondo cercando di incontrare e finanziare leaderships femministe coinvolte con la promozione dell’aborto, clandestino o no.


La IWHC è molto conosciuta negli ambienti che lavorano a livello internazionale a favore dell’aborto per aver pubblicato un manuale di strategie di azione internazionale per rendere più ampio l’accesso all’aborto da parte delle donne, legalmente o no.


In Brasile la IWHC è particolarmente conosciuta tra quelli che si impegnano a trasformare l’aborto da omicidio a diritto umano per aver indicato, verso la fine degli anni ’80, la brasiliana Carmen Barroso per la direzione di un mega progetto di 36 milioni di dollari della Fondazione MacArthur di Chicago per promuovere la legalizzazione dell’aborto in Brasile a partire dal 1990. Oggi Carmen Barroso è una delle direttrici della IPPF, International Planned Parenthood Federation, una organizzazione internazionale che è la proprietaria della più grande rete di cliniche di aborto negli USA e che attualmente si sta dedicando a promuovere l’aborto per mezzo di medicamenti fatti in casa in tutta l’America latina, con l’appoggio finanziario dei governi dei paesi della UE. L’opera iniziata dalla Fondazione MacArthur in Brasile è attualmente continuata dal CEBRAP [Centro Brasiliano di Analisi e Pianificazione, NdT].
Il SOS Corpo è stato uno dei maggiori beneficiati del suddetto progetto MacArthur in Brasile. Ha ricevuto varie donazioni di centinaia di migliaia di dollari che rivitalizzarono completamente l’organizzazione. Secondo il rapporto pubblicato dalla stessa Fondazione MacArthur, essa stava cercando “ONG strategiche che potessero usare finanziamenti esterni per sviluppare la propria capacità di produrre cambiamenti, con l’obiettivo, tra l’altro, di creare un sistema legislativo che permettesse alle donne l’accesso all’aborto e ad altri servizi necessari. In particolare, la SOS Corpo fu oggetto di un finanziamento a lunga scadenza con un eccellente risultato, essendo diventato un centro di riferimento nazionale per questioni di genere e di diritti sessuali e riproduttivi, esigendo la responsabilità delle agenzie governative quando esse tralasciano di implementare le politiche”.



6. L’aborto è realizzato

Nella prima mattina di mercoledì 4 marzo il Conselho Tutelar di Alagoinha e l’ufficio della consulenza giuridica della Arcidiocesi localizzarono il luogo dove si trovava la ragazzina e la madre. Stavano nel CISAM, conosciuto anche come Maternidade da Encruzilhada, altro centro di riferimento per l’aborto legale in Recife. Ma quando fu contattato dal Conselho Tutelar e dai rappresentanti legali del padre della ragazzina, l’Ospedale negò che la madre e la ragazza fossero nella struttura. Solo intorno a mezzogiorno, quando gli aborti già erano avvenuti, la notizia fu pubblicamente annunciata. L’induzione di aborto era iniziata alcune ore dopo la dimissione fatta dall’IMIP. La rapidità con la quale l’aborto fu iniziato, diversamente dal procedimento che gli ospedali di aborto legale adottano di solito nei casi di gestazione di minori, quando sono realizzati preliminarmente diversi esami, fa supporre che l’IMIP non si fosse limitato, come afferma pubblicamente, solo a compiere il dovere di fornire la dimissione a richiesta, ma anche che fornì i dati clinici della ragazzina in modo che l’aborto potesse consumarsi il più rapidamente possibile, prima che la struttura dove si trovava la vittima fosse scoperta, cosa che di fatto avvenne. La clandestinità con la quale fu fatto questo aborto mostra che coloro che lo realizzarono sapevano di fare una cosa illegale. Al contrario di quello che la stampa vuol dare a intendere per impedire che il pubblico percepisce quello che davvero è successo, essi non temevano né l’Arcivescovo né l’assedio della stampa, bensì la presenza del padre della ragazzina e del suo rappresentante legale, con i quali, se fossero stati presenti, non avrebbero potuto più fare apparire al pubblico come legale quello che in realtà legale non era affatto. Nella mattina di quel mercoledì, intorno alle 9, fu espulso il primo feto. Due ore e mezzo dopo, l’aborto si compì del tutto, espellendo il secondo.
Secondo quanto riportato dal Diário de Pernambuco, l’interruzione della gravidanza era stata realizzata con l’appoggio delle ONGs di difesa della donna, come i gruppi SOS Corpo e Curumim. Dopo che tutto si consumò, il coinvolgimento di questi gruppi fu ammesso pubblicamente davanti alla stampa dagli stessi responsabili. Quello che richiama l’attenzione nelle dichiarazioni prestate da questi rappresentanti è il sentimento di urgenza assolutamente improcrastinabile del procedimento, che in verità non esisteva. «“La madre e la ragazzina erano disperate. E questo è un procedimento medico che non si deve mettere in questione. È previsto dalla legge. Poiché l’IMIP stava ritardando l’azione, siamo giunti alla conclusione di orientare la madre a ritirare la ragazzina di là” – dice Paula Viana, membro della rete femminista di salute e della ONG Curumim».


«La coordenatrice del Curumim, Paula Viana, dichiarò che non c’era più tempo per aspettare: “Ogni giorno che passava, il rischio era maggiore, la ragazzina si sentiva male e aveva perfono difficoltà a respirare”»


Ma la madre e la ragazzina non erano disperate. Tutti quelli che le hanno viste prima, il lunedì, testimoniano che la ragazzina stava bene e giocava allegramente. IL direttore dell’IMIP e poi lo stesso ospedale affermarono che non c’era rischio di vita imminente. […]
È legittima la domanda: perché si mente in questo modo, di proposito, per portare coloro che sono contro l’aborto, e nel caso di questa ragazzina, un padre che è radicalmente contro l’aborto, a alla disperazione e farli essere d’accordo perché i medici realizzino aborti? Perché è questo che hanno fatto con il sig. Erivaldo e, dopo che aveva capito la verità, gli hanno negato l’accesso alla propria figlia perché non potesse più evitare l’aborto. Tutto indica che fecero la stessa cosa con la madre della ragazzina, la quale dal lunedì restò praticamente isolata dal resto del mondo esterno. Ma è chiaro, non isolata dalle ONGs che promuovevano l’aborto. Per qualche motivo, queste ONG sono state trattate come eccezioni. Le dichiarazioni dei rappresentanti di queste ONGs mostrano che quello che è accaduto non è stato che la madre, avendo capito chiaramente che la figlia NON sarebbe morta e, sapendo bene che NON sarebbe morta, potendo decidere liberamente se voleva o no praticare l’aborto, opto liberamente per l’aborto come sua opzione personale. È vero tutto il contrario. Paula Viana del gruppo Curumim lo dice chiaramente: “la madre e la ragazzina erano disperate”, e fu per questo che scelse per l’aborto. Ci sono indizi più che sufficienti, nella storia che abbiamo narrato fino a qui, che come fecero con il sig. Erivaldo, lo stesso fecero con la madre della ragazzina.

7. Perché si mente?

Perché si mente in questo modo? Nonostante che esista un mondo di cose dietro tutto questo, il motivo in sé è molto semplice da comprendere. Quello che queste ONGs vogliono, cercano e ricevono per questo sovvenzioni milionarie da Fondazioni internazionali è la promozione e la legalizzazione dell’aborto. Non sono interessate al bene del sig. Erivaldo, né della sua compagna né della loro figlia.
Tutto il Brasile ha accompagnato, in questa settimana, per mezzo di un grande spettacolo mediatico, l’aborto di due gestazioni di cinque mesi. Tutti sono stati portati a credere che questo era la cosa giusta da fare, che le persone che lo hanno promosso sono eroi e che coloro che hanno preso una posizione differente altro non erano che persone fuori dal tempo. La prossima volta che questi milioni di persone si troveranno davanti con una comune gravidanza di uno o due mesi, saranno più inclinati a giudicare che un aborto di 2 mesi è un diritto umano e non un crimine, visto che nel febbraio del 2009 in tutto il Brasile fu sparso il messaggio che uccidere due bambini di cinque mesi era un diritto umano. E se non è un crimine uccidere due bambini di cinque mesi, allora il diritto alla vita forse non è così assoluto come si afferma, e in questo modo sarà anche più facile ottenere il consenso pubblico per approvare una legge a favore dell’aborto. Di più: la legge brasiliana, non punisce l’aborto quando è fatto per salvare la vita della madre. Nonostante il fatto che nessuna minore di 14 anni che sia passata per un accompagnamento neo-natale fatto bene e abbia potuto ricevere un cesareo, abbia avuto problemi, dopo questo spettacolo tutto il paese è stato portato a credere erroneamente, di proposito, che la gravidanza di una minorenne suppone un rischio così grande che debba essere paragonato alla morte. Con questo si sta allargando, molto oltre quello che era la intenzione della legge, il concetto di cosa sia un aborto terapeutico. Per un popolo che è nella spaventosa maggioranza contro la legalizzazione dell’aborto, questi sono fatti che ben maipolati, possono permettere di creare, più avanti, la base politica necessaria per giustificare l’allargamento delle leggi sull’aborto.
Alcune persone che non conoscono l’argomento potranno avere qualche difficoltà a credere che due organizzazioni femministe e un certo numero di funzionari dei servizi di aborto legale abbiano pensato in obiettivi così ampi nell’organizzare delle azioni come quelle che sono state riportate questa settimana in Recife. Ma ci sono molti elementi che mostrano che, al contrario, tali azioni sono state organizzare esattamente con questo proposito.
Il rapimento di minori con occultamento ai genitori per realizzare un aborto suppostamente legale, è già stato praticato da organizzazioni femministe varie altre volte in America. È già successo almeno tre volte in Bolivia e una volta in Nicaragua, ma è la prima volta che accade in Brasile. Lo sfruttamento mediatico di un aborto in avanzata gestazione per promuovere alterazioni nella legge è invece già accaduto in Brasile.
Alla fine del 1998 il Dr. Jorge Andalaft, direttore del primo servizio di aborto legale del Brasile presso l’Hospital do Jabaquara in São Paulo, era in procinto di terminare di redigere una Norma Tecnica sull’Aborto Legale in casi di stupro per essere approvata dal Ministero della Salute. In quella epoca c’erano 13 ospedali in cui si praticavano aborti legali in Brasile e tutti si rifiutavano di praticarli in casi di stupro che superassero i tre mesi di gravidanza. Jorge Andalaft voleva approfittare dell’opportunità perché la nuova Norma Tecnica estendesse la pratica di aborto legale fino a cinque mesi di gestazione, ma non c’era un consenso tra i medici riguardo a questo punto. Improvvisamente arrivò la notizia che una ragazzina di 10 anni, che fu conosciuta come C.B.S., alta 1,40 m e di peso 30 kg, era restata incinta a causa di uno stupro in Israelândia, nell’interno dello Stato di Goiás ed era incinta di 18 settimane. Notiamo che la ragazzina di questa settimana aveva praticamente le stesse caratteristiche: 9 anni, alta 1,33 m peso 33 kg e 15 settimane di gestazione. I genitori della ragazzina di Recife, come abbiamo visto, erano contrari all’aborto, ma nel caso del 1998 i genitori della ragazzina di Israelândia erano chiaramente a favore. Dichiararono alla stampa: “La nostra decisione è già stata presa. Nessuno ci farà cambiare idea. Il giudice ha permesso l’aborto e siamo dentro la legge”.
Il problema nel realizzare questo aborto del 1998 non erano i genitori ma i medici. Nessun medico voleva farlo, nemmeno quelli degli ospedali di aborto legale. Il primo ginecologo che visitò la ragazzina, ancora in Goiás, il Dr. Almeida e Silva, affermò ai giornali: “La ragazzina sta nella 18a settimana di gravidanza, ossia, più o meno quattro mesi e mezzo. La sua gravidanza può trascorrere normalmente fino alla fine. La difficoltà concreta che deve affrontare è il parto, perché la sua muscolatura non è sufficientemente sviluppata. Per questo dovrebbe passare per il cesareo. Sono di questa opinione anche in base alla mia esperienza come medico nell’interno di Goiás. La gravidanza in ragazzine qui è comune” [Folha de São Paulo, 30 de setembro de 1998]
Gli ospedali di aborto legale di Goiânia, Brasília, Belo Horizonte e Rio de Janeiro, uno dopo l’altro, si rifiutarono di realizzare l’aborto, argomentando che, nonostante che le tecniche del tempo fossero già quelle che si usano oggi, il rischio che la ragazzina avrebbe corso realizzando un aborto, oltre ad essere elevati, sarebbero stati comunque più grandi di quelli che avrebbe corso portando la gravidanza a termine.
Fu allora che Carlos Massa, il presentatore di Programa do Ratinho sul canale SBT, di grande successo all’epoca, decise di trasformare il caso della ragazzina, che già cominciava a guadagnare spazio sulla stampa, in un grande spettacolo mediatico. Il Dott. Jorge Andalaft, per mezzo della stampa, mandò un messaggio ai genitori dicendo che, se avessero potuto portare la ragazzina fino a São Paulo no Hospital do Jabaquara, egli avrebbe realizzato l’aborto. Il Programa do Ratinho patrocinò il viaggio in aereo e anche l’ospitalità di tutta la famiglia nell’Hotel di cinque stelle Hilton Brasilton di São Paulo. Il risultato fu che, anche contro il parere degli stessi dirigenti del Hospital do Jabaquara, sotto i riflettori di uno spettacolo mediatico generale paragonabile se non maggiore di quello che è accaduto questa settimana, con una copertura completa e dal vivo di tutti i principali giornali, radio e reti televisive del Paese, Jorge Andalaft realizzò, nella mattina di sabato 3 ottobre 1998, il primo aborto in caso di stupro in una minorenne incinta di quasi cinque mesi. E alcune settimane dopo il Ministero della Salute pubblicava, senza proteste significative dei medici, la prima Norma Tecnica per i Servizi di Aborto Legale che prevedeva, al contrario dei protocolli di tutti i servizi esistenti fino ad allora, che il procedimento avrebbe potuto essere praticato fino ai cinque mesi.
Dieci anni dopo il risultato è evidente. Mentre nel 1998 i genitori volevano far abortire ma i medici giudicavano che la condotta più sicura sarebbe stata il parto, e nessuno osò affermare che la ragazzina sarebbe morta se avesse portato a compimento la gravidanza, adesso che suppostamene la medicina dovrebbe essere ancora più avanzata, i genitori che non vogliono più abortire sono invece pressionati a farlo dai servizi di aborto legale, sotto la falsa idea che sarebbe virtualmente impossibile portare la gestazione fino al termine. Questi cambiamenti nella condotta medica non si devono ad alcun progresso degli studi medici, ma a tecniche di manipolazione sociale elaborate e di proposito condotte avanti per promuovere la pratica dell’aborto, tecniche progettate all’estero e finanziate in Brasile con le sovvenzioni miliardarie che le ONGs abortiste ricevono nella loro maggioranza da Fondazioni nordamericane.
Il caso della ragazzina C.B.S, che venne così ben approfittato dal Dr. Jorge Andalaft per altri propositi, non è una coincidenza. Azioni di questo tipo fanno parte di un insieme di tecniche ben descritte nei manuali e nei rapporti delle Fondazioni come quelle che finanziano il lavoro del Gruppo Curumim e di SOS Corpo.
La Fondazione MacArthur, che negli anni ’90 rivitalizzò, come abbiamo detto, il gruppo SOS Corpo, investì all’epoca 36 milioni di dollari in Brasile per promuovere l’aborto nel nostro paese. Il denaro fu in gran parte impiegato per promuovere la rete di aborto legale in caso di stupro. La rete dei servizi di aborto legale non venne costituita a causa di una preoccupazione per le donne violentate, ma perché, secondo quello che afferma lo stesso loro rapporto, questo era visto come una strada per arrivare alla totale liberazione dell’aborto in Brasile. Il rapporto finale su come furono spesi quei dollari afferma chiaramente che durante la lotta per l’introduzione del sistema legale in Brasile ci furono momenti decisivi, come quello che adesso è accaduto in Recife, che però furono correttamente approfittati dai movimenti femministi per dirigere il dibattito pubblico, chiarire gli argomenti a favore di una totale depenalizzazione dell’aborto e facilitare che la stampa pubblicasse articoli ed editoriali favorevoli. Secondo le parole della Fondazione MacArthur,

 “La Fondazione McArthur decise nel 1988 di lavorare in Brasile con questioni di popolazione e salute riproduttiva. Il Brasile fu scelto perché il suo ambiente politico avrebbe permesso che ONGs influenzassero la politica e la pratica. L’abbordaggio strategico della Fondazione McArthur è quello di lavorare con organizzazioni e individui della società civile che sono o possono diventare agenti di trasformazione dentro il paese. La McArthur identificò le ONGs che avrebbero potuto usare il finanziamento esterno per sviluppare la loro capacità di produrre cambiamenti. Queste attività si concentrarono in alcuni punti, tra i quali la creazione di un insieme di leggi che permettesse alle donne di ottenere aborti e altri servizi necessari. In Brasile, la battaglia sull’aborto aveva raggiunto un impasse legale. In teoria l’aborto era legale nei casi in cui una donna fosse stata stuprata o che la sua vita fosse in pericolo. In pratica, però, l’aborto era quasi inesistente. La maggioranza degli studiosi ritengono che uno dei maggiori successi in questa direzione sia stata l’espansione dei servizi per le vittime di violenza di genere. Il primo grande salto fu dato nel 1989, con lo stabilire in São Paulo del primo servizio pubblico che offriva l’aborto nei due casi previsti dalla legge. Dopo questo, un altro grande salto avvenne nel 1998, quando il Ministero della Salute, nonostante una grande opposizione, approvò le Norme Tecniche dell’aborto legale in caso di stupro o rischio di vita per la madre. Sebbene la legge dell’aborto non sia stata alterata, la pratica è evoluta. Ci sono stati grandi progressi sul dibattito intorno all’aborto. Le Norme Tecniche che regolamentano l’assistenza del SUS [servizio sanitario nazionale gratuito, NdT] furono sistematicamente attaccate. Questi momenti decisivi furono ben usati dal movimento femminista come un’opportunità per promuovere il dibattito pubblico, chiarificare gli argomenti a favore della depenalizzazione dell’aborto e permettere alla stampa di pubblicare articoli ed editoriali favorevoli. Si è creato un ambiente per l’accettazione progressiva di una legislazione più liberale che includa altre circostanze nelle quali permettere l’aborto. La Norma Tecnica per l’aborto in caso di stupro e rischio di vita per la madre è considerata da molti come il principale passo in avanti del decennio in termini di salute e diritti riproduttivi. La legge sull’aborto è cambiata poco, ma i servizi di aborto in caso di stupro e rischio di vita per la donna si sono espansi rapidamente. La maggioranza degli studiosi considera che adesso esiste solo una unica riforma principale che deve essere tentata: la completa legalizzazione dell’aborto


La IWHC, ricordiamo una delle organizzazioni che finanziano il lavoro del gruppo Curumim, ha distribuito un manuale di strategie per le organizzazioni femministe dove si spiega come sia possibile, a partire dai pochi casi esistenti, in quasi tutti i paesi dove la pratica dell’aborto è permessa, promuovere un accesso maggiore ai servizi abortivi, “tanto aborti legali come quelli illegali”. Il manuale menzione, tra le altre possibilità, quella di “assicurare la prestazione di servizi al massimo permesso dalle leggi esistenti” e “ampliare la definizione di ciò che costituisce un pericolo di vita per la donna”, cosa che è esattamente l’opposto di ciò che viene fatto attraverso casi abilmente sfruttati come quello di Recife.
Questo è il motivo di perché si mente tanto e di proposito. I medici che restano zitti nonostante sappiamo la verità lo fanno perché non trovano un ambiente politicamente corretto per dire quello che sanno. I medici, funzionari delle ONGs e giornalisti che sanno di mentire lo fanno di proposito, attraverso una strategia disegnata fuori dal Brasile, ampliando scientemente il significato del concetto di rischio di vita in casi di aborto.
Vediamo cosa dice a questo rispetto il Manuale di Strategie della IWHC:

"In quasi tutti i paesi l’aborto provocato è legale in almeno alcune condizioni. Questo fatto, insieme alla lettera e allo spirito degli accordi internazionali, offre solide basi per le azioni che cerchino di aumentare l’accesso ai servizi, liberalizzare le leggi e i regolamenti. Gli sforzi dei gruppi di donne, di professionisti nell’area della salute e di leaders politici che hanno raggiunto un notevole progresso in molti paesi nella sfida alle leggi restrittive e nell’offerta di servizi di aborto sicuro per le donne, portano a una serie di conclusioni che possono essere utili. La prima è che assicurare la prestazione di servizi fino al massimo permesso dalle leggi esistenti è un aiuto per aprire il cammino a un accesso più ampio. I fornitori di servizio di aborto possono fare uso di una definizione più ampia di ciò che costituisce un pericolo per la vita della donna. Possono, ad esempio, prendere in considerazione il rischio di morte che ella già corre quando cerca un aborto clandestino o quando tenta di abortire da sola. Possono anche considerare lo stupro coniugale come una ragione giustificabile per interrompere la gravidanza in termini di una clausola all’aborto in caso di stupro. Professioniste femministe nell’area della salute e attiviste in varie città del Brasile hanno lavorato fin dall’inizio degli anni ’90 con facoltà di medicina e con i sistemi municipali di salute per aumentare la conoscenza della legge e cambiare i curricula dei corsi di abilitazione”


[Al §8. segue la descrizione di un caso di rapimento e aborto in Nicaragua simile a quello di Recife, che riporterò un’altra volta per motivi di tempo. Se qualcuno è interessato all’originale in portoghese me lo può chiedere]

9. Conclusione


La stessa cosa accaduta in Nacarauga succede adesso in Brasile, con il fatto grave che in ambo i casi i genitori erano contro l’aborto. Tutto indica che è stato commesso un crimine. Due bambini di cinque mesi di gestazione sono stati abortiti contro il consenso dei genitori, caso che è previsto dal Codice Penale. Approfittando del basso livello culturale della madre della vittima e del suo stato di impossibilità di comunicare con l’esterno, questa donna è stata convinta del fatto che su figlia sarebbe morta se non si sottomettesse immediatamente all’aborto. Quando una equipe esterna di medici e psicologi si preparava a venire in aiuto, è stata trasferita da gruppi di militanti abortisti con la collaborazione dei medici della direzione dello stesso IMIP in una struttura la cui localizzazione è stata tenuta nascosta, solo perché un aborto che non era necessario a salvare la vita della ragazzina fosse realizzato il più rapidamente possibile. La triste situazione della ragazzina e dei suoi genitori viene tutt’ora sfruttata in modo vergognoso dalle autorità pubbliche per promuovere l’aborto. La stampa, spostando l’attenzione dalle evidenze del crimine per concentrare tutta l’attenzione del pubblico sulla persona di un arcivescovo, sta in piena coscienza anestetizzando la gente per impedire che i veri obiettivi di ciò che viene fatto siano compresi.
L’ospedale, che afferma di possedere equipes multidisciplinari di ginecologi, psicologi e assistenti sociali per accompagnare questi casi, negò l’accesso al sig. Erivaldo, il padre della ragazzina totalmente contrario all’aborto, a qualsiasi informazione qualificata. Ricevuto a porte chiuse da un’assistente sociale che aveva appena dichiarato davanti ai consiglieri tutelari che non aveva alcuna qualifica per rispondere a questioni mediche sullo stato di salute della minorenne, il sig. Erivaldo è stato convinto da questa stessa persona che sua figlia sarebbe morta se non avesse immediatamente abortito e, in seguito, è stato semplicemente congedato senza poter parlare con nessuno. Il direttore dell’ospedale ha testimoniato nel giorno seguente davanti a una equipe riunita nel Palácio Manguinhos che la ragazzina non correva alcun rischio di vita e che poteva portare la gravidanza a termine, se le fosse data tutta l’assistenza necessaria. In Brasile ci sono 30.000 gravidanze di minori di 14 tutti gli anni, e nessuna che sia passata per un accompagnamento prenatale adeguato e abbia avuto un cesareo è mai morta per questo fino a oggi. Nonostante tutto questo, i media stanno facendo credere a tutti che qualsiasi minore che sia incinta deve sottomettersi a un aborto perché la sua vita è in pericolo e che i medici che abortiscono un bambino di cinque mesi di gestazione sono degli eroi. Questo è servirsi, di proposito, della menzogna e della disgrazia di persone semplici per ingannare la gente e promuovere una pratica che è considerata da tutti un assassinio.
I consiglieri tutelari, a partire dal momento in cui compresero la posizione di entrambi i genitori e presero posizione per appoggiarli, furono ugualmente umiliati e fu impedito loro di parlare con i familiari ricoverati. Più significativo ancora è il fatto che è stato lo stesso Ufficio Stampa dell’Ospedale, secondo quanto affermato dai giornali, pernambucani, a scatenare il grande spettacolo mediatico che è sorto sulla vicenda, dando alla stampa informazioni false dal primo giorno di ricovero della ragazzina, secondo le quali fin dal primo giorno di ricovero la famiglia avrebbe concordato con l’aborto e le procedure erano state iniziate.
Il martedì pomeriggio tutti i funzionari dell’ospedale già sapevano che il padre della ragazzina era contrario all’aborto. Secondo il Jornal do Comércio, l’ufficio stampa dell’ospedale aveva comunicato in quel pomeriggio che: “L’Instituto Materno Infantil de Pernambuco (IMIP) ha deciso di attendere un consenso tra i genitori quanto all’aborto della ragazzina di 9 anni che è incinta di due gemelli dopo essere stata stuprata dal patrigno di 23 anni. Secondo l’ufficio stampa dell’ospedale, la decisione è stata presa dopo che il padre della ragazzina ha preso posizione contro il procedimento”.


Anche essendo disponibile questa informazione, non c’è stato alcun psicologo della equipe multidisciplinare che avesse raccomandato che, poiché non c’era alcun rischio imminente, vista la stessa dimissione dall’ospedale riconosceva, sarebbe stato consigliabile, per la salute psicologica di quella famiglia, prestare ascolto al sig. Erivaldo al quale fino a quel momento era stato impedito di parlare con qualsiasi altro professionista. Invece, dettero il permesso perché la ragazzina fosse portata dagli stessi medici dell’ospedale a un’altra struttura di aborti legali dove già stava tutto preparato affinché il procedimento fosse fatto di nascosto al sig. Erivaldo. Di fatto, quando i rappresentanti legali del sig. Erivaldo riuscirono a localizzare il nuovo ospedale e l’aborto ancora non era stato fatto, l’Hospital da Encruzilhada negò che la ragazzina fosse internata da loro.
Dopo l’aborto, quando la ragazzina fu dimessa dal secondo ospedale, il gruppo Curumim e il SOS Corpo dichiararono alla stampa che, per evitare situazioni imbarazzanti alla famiglia, la madre e la ragazzina non sarebbero tornate ad abitare in Alagoinha. Sarebbero state portate in un posto che sarebbe restato sconosciuto al pubblico.
Oltre ai casi del Nicaragua e quello di Recife, almeno altri tre casi di questo nuovo genere di rapimento seguito da aborto sono già stati favoriti da gruppi abortisti in Bolivia. In tutti i casi avvenuti il procedimento è stato lo stesso. Approfittandosi del basso livello di scolarizzazione delle vittime, la famiglia della minorenne viene isolata, il tema raggiunge record di audience sulla stampa nazionale e internazionale, nessuno sa quello che viene realmente detto ai familiari, dopo qualche tempo l’aborto è realizzato, generalmente da professionisti e in strutture che non saranno mai svelati né al pubblico né alle autorità. Dopo, con il pretesto che il ritorno alla terra natale causerebbe imbarazzo alla famiglia, i genitori sono rimossi per qualche tempo, o anche definitivamente, non solo in qualche luogo distante, ma anche sconosciuto, sia al pubblico che alle autorità.
Il caso di Recife è, però, molto più grave, perché tutti gli indizi indicano che qui c’è stato un crimine di aborto senza il consentimento dei genitori. I gruppi a favore della vita sono preoccupati per la sicurezza sia della madre come della ragazzina, perché quando queste dovessero riapparire nuovamente al pubblico e potessero spiegare come e da chi furono portate a cambiare idea sulla realizzazione dell’aborto, resterebbe chiaramente visibile che fu una frode e un crimine.
Il vero interesse di questi gruppi non era il benessere della ragazzina e della sua famiglia, bensì realizzare questo aborto a qualsiasi costo, usando una tragedia familiare per promuovere il loro piano di attuazione di legalizzazione dell’aborto, qualcosa che per la spaventosa maggioranza dei brasiliani, come si è detto, equivale a un omicidio. L’aborto terapeutico, l’aborto in caso di stupro, l’aborto in caso di anacefalia, con tutti i milioni di dollari che vengono spesi con la loro promozione, non sono altro che una grande farsa politica e mediatica montata intenzionalmente perché, a tappe, ottenere la completa legalizzazione dell’aborto, dal concepimento fino al momento del parto, come voleva il disegno di legge PL 1135 proposto dal governo Lula che sta usando questo caso per promuovere il suo scopo.
La Commissione di Cittadinanza e Riproduzione, una entità installata nel CEBRAP, che continua in Brasile il progetto di  36 milioni di dollari iniziato negli anni ’90 dalla Fondazione McArthur di Chicago per la promozione dell’aborto e che ha contribuito in modo decisivo alla installazione dei servizi di aborto legale nel paese come una tappa per la totale legalizzazione dell’aborto ha divulgato una nota esortando a usare il caso di Alagoinha per questo stesso scopo:  

“L’episodio della ragazzina di 9 anni di Alagoinha (PE), incinta di gemelli è accompagnato da tutta la stampa. Il caso dovrebbe essere trattato non come una ulteriore polemica sull’aborto, con spazio per manifestazioni di posizioni moraliste, religiose o di interesse politico, di una perversità dispensabile. Quello che dovrebbe essere pubblicato, dato l’assurdo della vicenda, è l’urgenza di un cambiamento nel Codice Penale per la depenalizzazione dell’aborto in Brasile, è il fatto che la legge è del 1940 ed è obsoleta e inefficiente, al di là del fatto di non essere rispettata nelle uniche due eccezioni per l’interruzione legale della gravidanza. La pubblicità del caso è un’opportunità, questa sì, di parlare delle conseguenze positive che la legalizzazione dell’aborto può portare al sistema di salute pubblica del paese”.


Queste parole, scritte dal CCR, non rappresentano altro che l’esatto compimento dell’agenda annunciata nello stesso rapporto della Fondazione MacArthur sul progetto che iniziarono in Brasile, come abbiamo riportato sopra.


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Tutti i fatti che abbiamo riportati in questo testo sono state abbondantemente esposti ai più importanti mezzi di comunicazione, giornali, radio e canali televisivi, direttamente dalle stesse persone coinvolte nella vicenda. I giornalisti sono stati attenti. Hanno ascoltato tutto e, oltre ad ascoltare hanno registrato e filmato tutto. Ma nulla è stato pubblicato. Invece, tutta l’attenzione della stampa si concentrò sulla persona dell’Arcivescovo di Recife, cosa che è servita solo per coprire il fatto che due bambini sono stati assassinati contro la volontà dei genitori per promuovere un’agenda internazionale che vuole imporre la totale legalizzazione del crimine di aborto a popoli che sono radicalmente contrari.