In quello studio morì una parte di me

2008-07-30

Alla giovane età di 15 anni mi ritrovai incinta e spaventata. Ero completamente sola, almeno nei miei pensieri: il mio ragazzo ed io avevamo rotto e non potevo dirlo ai miei genitori. Mia madre mi portò all’ospedale perché ero stata male per un po’ di tempo. Quel giorno presero la decisione di “aiutarmi” e fare ciò era “meglio” per tutti. La decisione avrebbe cambiato le nostre vite per sempre, ma non per il meglio.
Mio padre chiese in prestito il denaro e mia madre mi portò alla clinica per aborti. L’edificio non aveva insegne per far capire alla gente che tipo di attività ospitasse. Quando vi entrai, sembrava lo studio di un medico, ma l’atmosfera era molto più fredda. Chiesero il denaro a mia madre. La cifra di soli 250 dollari era tutto ciò che valeva per loro la vita di mio figlio.
Mentre venivo presa per la procedura, non ero ancora del tutto sicura su ciò che fosse davvero l’aborto. Nessuno si preoccupava, nessuno mi chiese mai se questo era ciò che volevo o se avevo delle domande. Ero sdraiata sul tavolo quando il medico abortista entrò. Accese la macchina per succhiare letteralmente la vita dal mio corpo. Dopo un attimo il medico cominciò ad imprecare e a chiedere perché avessi mentito. Non poteva effettuare la procedura perché ero troppo avanti. Non avevo mentito, nessuno mi aveva chiesto niente. Disse a mia madre che ero almeno di sei mesi. La clinica per aborti ci indirizzò ad un’altra clinica che effettuava aborti tardivi. Non ci fu alcun rimborso perché dissero che non erano stati ben informati – ironia della sorte – così bisognava pagare l’aborto una seconda volta.
Due giorni dopo arrivammo ad ancora un’altra clinica per aborti in un’altra città. Questa volta era lo studio di un medico. Andammo il primo giorno per la medicazione. Poi il secondo giorno quando entrai mi mandarono nel retro e mi misero in un altro tavolo. Udii accendersi la macchina aspiratrice e gridavo perché il dolore era molto intenso. Mentre l’infermiera mi spingeva il cuscino sulla faccia mi disse: “Stai tranquilla, la gente potrebbe pensare che qui stiamo uccidendo qualcuno”. Che cosa diceva? Lui stava uccidendo qualcuno, il mio figlio non ancora nato.
Nessuno mi aveva detto che sarebbe morta una parte di me in quello studio, non solamente il mio bambino. Cominciai a bere ed a far uso di droga. Tutto quello che potevo fare per attenuare il dolore nel mio cuore. Tentai il suicidio e ho lottato con la depressione.
A 21 anni, divorziata e madre di due bambini piccoli, mi trovai sola ed ancora incinta. Non avevo nessun aiuto dal loro padre e a malapena sopravvivevo economicamente. Entro un’ora da quando avevo scoperto di essere incinta, ero tornata nella stessa clinica per aborti in cui ero stata sei anni prima. Non era cambiato niente. Dava ancora le stesse fredde sensazioni mentre entravi. Diedi il mio denaro, compilai la scheda, e fui accompagnata nel retro. Mentre ero sdraiata sul tavolo il medico abortista entrò e non disse mai una parola. Né mi guardò mai. Solo si sedette, accese la macchina aspiratrice e cominciò il suo compito raccapricciante. Mentre piangevo senza controllo, l’infermiera mi accompagnò ad un stanza piena di ragazze, sedute su poltrone reclinabili, che si stavano “riprendendo”. In quel preciso istante giurai a me stessa che non sarei MAI più entrata in quell’edificio.
Andai a casa e chiamai il mio capo per dirgli che avrei tardato un po’ al lavoro. Feci la doccia poi andai al lavoro. Quel giorno cominciai a mentire a tutti; a dir loro che stavo “bene” mentre morivo dentro. Non avrei parlato della mia decisione a nessuno per anni. Nascondevo la mia vergogna ed il mio senso di colpa a tutti. Tante volte avrei voluto che qualcuno mi avesse detto che la peggior decisione che avrei mai preso nella vita avrebbe avuto conseguenze così a lungo termine sulla mia vita. Nessuno alla clinica per aborti mi parlò del dolore emotivo e psicologico che avrei sofferto da sola per anni.
Rimpiangerò per sempre di aver posto fine alle vite dei miei figli. Il loro ricordo sarà sempre nel mio cuore. Non posso cambiare questo fatto, ma posso informare altre donne degli orribili postumi dell’aborto.
Gesù è l’unica sorgente di pace che ho per le decisioni che ho preso. Egli mi ha perdonata e guarita dall’autodistruzione. Mi ha di nuovo resa integra. Ora voglio che tutti sappiano che l’aborto ferisce le donne ed ha ferito me. Non si ferma alle sole donne che abortiscono, ma colpisce tutta la gente di cui si prende cura e quelli che si prendono cura di lei.

Yolanda Austin è la direttrice di Operation Outcry per l’Alabama. Yolanda è assistente e dirige il servizio post-abortivo in un centro di aiuto alla gravidanza. Parla nelle chiese ed ai gruppi giovanili per far conoscere gli effetti che ha l’aborto sulle vite della gente. È felicemente sposata con tre figli viventi ed un meraviglioso nipotino.

http://64304.netministry.com/images/YolandaAustin-Sep2007.pdf


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