
Alla clinica per aborti, piangevo lacrime che venivano dal profondo di me e che non avrebbero cessato di scorrere. Mi chiesero: “Perché piangi?”. I miei singhiozzi mi impedivano di rispondere, ma mi chiedevo perché non lo sapessero. “È per la gente che protesta? Per la polizia? Per l’ago?” Ogni volta facevo cenno di no. Alla fine mi chiesero: “È per l’interruzione di gravidanza?” Non usarono mai la parola “aborto”. Annuii. Risposero: “Siamo qui per aiutarti”, ma non mi chiesero mai: “Sei sicura di voler procedere?”
In seguito compresi che l’aborto non aveva risolto niente; aveva semmai creato problemi nuovi e duraturi che saranno sempre con me. Il dolore dell’aborto mi fece odiare me stessa. Mi sentivo sola, piangevo dentro di me, volevo cercare aiuto ma non sapevo dove trovarlo. Ero arrabbiata con me stessa, con i mass-media, col governo, con la chiesa e coi parenti che mi avevano riempito di bugie su come l’aborto fosse una risposta sicura e facile ad una gravidanza inattesa. Il peggio fu che avevo creduto ad una bugia ed avevo permesso l’impensabile, la cosa più innaturale da fare per una madre. Acconsentii a che mio figlio fosse strappato dalla protezione del mio grembo. Quando vidi portar via i resti del mio bambino in un freddo contenitore metallico, compresi con orrore che era troppo tardi. Non avrei mai potuto fare tornare indietro da questa “scelta”.
L’aborto sarà con me per sempre. Sto ancora subendo le conseguenze di questa decisione. Anche i miei figli ne hanno sofferto. La mia figlia adolescente ha avuto degli incubi dopo che gliel’ho detto. Anche io ho avuto degli incubi. La mia seconda figlia lo scoprì diversi anni dopo, senza che io lo sapessi, quando era al college. Si arrabbiò e mi chiese con le lacrime che le inondavano le guance: “Perché hai ucciso mio fratello?” Noi, naturalmente, non conoscevamo il sesso del bambino, ma penso che fosse un maschio e l’ho chiamato Adam James. Il dolore di spiegare un aborto ad una figlia è indescrivibile.
Ho una terza figlia che ora ha 13 anni, nata quattro anni dopo l’aborto per riempire le mie “braccia vuote”. Alcuni la chiamano “figlia di espiazione”. Io la chiamo dono di Dio. L’aborto non uccide solo un figlio: ferisce la madre, la famiglia, e in successione ferisce la società.

Karen Hartman è volontaria al Centro di aiuto alla gravidanza di Wickenburg (Arizona) e presidente di Right to Life di Wickenburg. È madre di tre figlie ed ha tre nipotini. Ama cavalcare nel deserto che circonda la sua casa con il suo border collie che l’avverte dei serpenti a sonagli. Fa parte della Chiesa Battista del Calvario.
http://64304.netministry.com/images/KarenHartman01-08.pdf
4 commenti:
Che cosa strana e significativa: la domanda "perchè piangi?". Le stesse parole 2000 anni fa dette a una donna al culmine dello sconforto l'hanno portata a fare esperienza della risurrezione di Gesù.
Speriamo che questo sia il futuro di tante donne... che hanno bisogno di uscire dal sepolcro e dal tunnel dell'aborto.
L'esperienza di tante donne, come quelle di Operation Outcry, è una manifestazione in più del potere di guarigione di Gesù Cristo, che ancora oggi consola chi è nel dolore.
A Lui la lode e l'onore nei secoli
L'aborto è un diritto imprescindibile, anzichè trasmettere messaggi volti alla denigrazione di questa pratica, bisognerebbe sensibilizzare le donne alla moderazione e soprattutto educare alla sessualità. L'aborto non deve essere la conseguenza dell'ignoranza, al contrario, di una scelta che per quanto sofferta, debba essere assolutamente ponderata, e soprattutto bisognerebbe anteporre i doveri morali verso sè stessi a qualsiasi entità divina, ciò che viene dato a Dio, viene tolto all'uomo.
Gentile Margiù, a me pare che l'aborto si denigri da sé, consistendo nella soppressione di un essere umano.
Le donne che si trovano con una gravidanza inattesa e talvolta in situazioni molto difficili andrebbero aiutate e non spinte verso una "scelta" che le ferirà profondamente.
Cordialmente
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