Porterò sempre la cicatrice

2008-10-26

Avevo un figlio di 20 mesi e mezzo e un altro di 6 mesi quando rimasi incinta per la terza volta. Tra il primo ed il secondo bambino avevo avuto problemi con l’occhio sinistro, istoplasmosi. In seguito fu curato con un laser e in pratica persi la visione centrale nell’occhio sinistro. In più avevo avuto la polmonite durante il primo trimestre della seconda gravidanza, mi diedero la tetraciclina, e quando scoprii di essere incinta ebbi timore riguardo alla salute del bambino che doveva nascere. Sono anche figlia di un alcolizzato. Aggiungendo questo ad altre pressioni, ero un caso disperato, la mia vita sembrava completamente fuori controllo, così decisi di abortire il mio terzo figlio. Mio marito lasciò fare a me, ma penso che fu sollevato. Il dottore che consultai a questo proposito era completamente d’accordo e acconsentì immediatamente ad eseguire l’aborto. Allora fu un sollievo prendere la decisione e metterla in atto.
Non ci fu nessun pensiero di alcun tipo riguardo all’umanità del nascituro. Per quanto mi riguardava, io, e chiunque conoscessi che sapesse, approvammo la decisione. Mi sembrava che nessuno avesse mai accennato che un feto è qualcosa di diverso da un ammasso di tessuto che aspettava un tempo indefinito che gli desse umanità. L’aborto per me allora era semplicemente una procedura chirurgica per darmi sollievo. Fui sedata, blandamente anestetizzata, ma percepivo il rumore dell’aspiratore. Questo fu fatto nell’ambulatorio di un ospedale e finì nel giro di due ore. Ero contenta che tutto fosse finito.
Dopo, però, mi sembrava di essere diventata una persona molto intollerante, scontenta del mio ruolo di casalinga, e molto critica nei confronti di mio marito perché non mi aiutava con i miei due figli. Il mio scontento fu alimentato dalle battaglie femministe dell’epoca (erano i primi anni ’70). I miei due figli erano troppo giovani per sapere dell’aborto e mio marito, normalmente una persona tollerante, si stava stancando delle mie arringhe!
Alla fine, per fortuna, circa 3 mesi dopo l’aborto, andai da una vicina per un incontro di preghiera. Quella sera ebbi un’incredibile esperienza di conversione, seguita dalla mia immersione nella Parola di Dio. Divenne una parola viva nel mio cuore e alla fine mi convinse del fatto che un bambino non ancora nato è proprio questo, un bambino non ancora nato, non un ammasso di tessuto. Questa convinzione mi portò naturalmente ad un grande lutto e dolore. L’amore ed il perdono di Dio hanno guarito la ferita, ma porterò sempre la cicatrice.
Sono diventata una paladina convinta dei nascituri, nelle parole e nelle azioni.

http://www.priestsforlife.org/postabortion/casestudyproject/casestudy994.htm


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