Quello che non mi dissero

2009-06-01

Scrivo oggi quanto segue perché rimpiango di avere tolto la vita a mio figlio Ryan John attraverso l’aborto legale nel mese di novembre 1983.
Quando il medico della clinica Minneapolis Public Health mi disse che ero incinta cominciai a piangere. Lei mi disse: “Non è una bella notizia?” – le dissi: “No, non sono sposata”. Il suo unico consiglio fu: “C’è una clinica per aborti proprio in fondo alla strada, perché non telefona loro?”
Andai a casa e dissi al mio ragazzo che ero incinta. Pensammo e ripensammo alla decisione ma prima che lui mi dicesse che non era pronto ad essere padre, sentivo che non mi avrebbe aiutato se avessi tenuto il bambino. Avevo paura di fare la ragazza madre. Presi l’appuntamento e lui venne con me.
Alla clinica ebbi davvero poca assistenza. Mi chiesero perché abortivo. Dissi loro che prendevo dei farmaci, ma in verità mi sembrava di non avere altra scelta per via dei tanti problemi che comporta la gravidanza. Non avevo risorse, sentivo di non poterlo dire ai miei genitori, il mio ragazzo non mi avrebbe sostenuta, non avevo denaro o un’assicurazione per la salute. Lavoravo part-time in un bar. Durante la seduta mi dissero di non fare sesso per quattro settimane. Che avrei avuto un po’ di disagio e qualche sanguinamento. Mi dissero che avrei sentito un po’ di tristezza ma che sarebbe andata via.
Ciò che lo psicologo non mi disse è che avrei sofferto per dodici anni di un grande rimpianto e rimorso. Che avrei avuto profonde sensazioni di perdita e disperazione e che sarei diventata patologicamente insicura e avrei avuto abissi di solitudine. Che non avrei sposato il padre del bambino e che avrei finito con l’odiarlo perché non aveva protetto la sua famiglia. Non mi dissero che il nostro matrimonio sarebbe finito con un amaro divorzio.
Non mi dissero che abortire avrebbe aumentato le probabilità di avere in seguito un aborto spontaneo e l’incapacità di rimanere ancora incinta. Non mi dissero che il mio ciclo mestruale ogni mese sarebbe stato un doloroso promemoria dell’aborto e mi ossessiona dal momento che le mie braccia rimangono vuote del mio bambino. Non mi dissero che, anche se ho avuto un grande risanamento, il mio cuore si sarebbe spezzato al tocco delle mani di un piccino nelle mie e che non avrei finito di piangere neanche ora.
Non mi dissero che ogni giorno avrei pensato al mio bambino e che sarei andata strisciando sotto la doccia, avrei aperto l’acqua e cercato di annegare la mia pena e il mio dolore. Sperando che Dio prendesse la mia vita perché pensavo di non meritare di vivere.
Non mi dissero che la mia salute mentale sarebbe stata un gettone e l’anima il prezzo che avrei pagato. Non mi dissero che sarei stata in psicoterapia per tre anni, incontrando la psicoterapeuta una volta a settimana. Non mi dissero che alla fine dei tre anni lei si sarebbe messa le mani nei capelli e mi avrebbe detto “Dovrai solo imparare a conviverci” – ed io le avrei replicato “Come si convive con l’avere ucciso il proprio figlio?”
Non mi dissero che lei non avrebbe saputo la risposta.
Rendendo pubblico tutto ciò, voglio che le donne che stanno soffrendo sappiano che possono essere risanate. Voglio che sappiano che il disastro di pensieri, sensazioni sconnesse e anni di depressione sono “normali” dopo un aborto. Voglio che sappiano che non sono matte. Voglio che sappiano che possono sperimentare sentimenti di gioia e pace come me, e che è solo grazie alla Divina Misericordia di Gesù Cristo che oggi sono qui.
L’aborto è come un uragano che fa strage tra le sue vittime. Voglio che quelle che soffrano sappiano che possono venire via dalla riva e trovare riparo dalla tempesta ed essere Non Più Zitte [Silent No More].

Testimonianza di Ann Marie Cosgrove – Minneapolis, MN (USA)

http://www.priestsforlife.org/testimonies/testimony.aspx?ID=44


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