Non c’è niente che causi più vergogna e dolore alle donne dell’aborto

2008-06-21

All’età di 24 anni scoprii di essere incinta. Il mio ragazzo mi chiese immediatamente di non tenere “questa cosa”. Tutti i miei amici dicevano che non avrei dovuto tenere “questa cosa”. Dato che ero già madre di un figlio, sola e senza sostegno da parte di suo padre, credetti sinceramente di non avere opzioni. Mi sentivo molta pressione addosso e non mi sembrava di avere vie d’uscita.
Pensavo che altre avevano abortito in passato, quindi non lo vedevo come un granché. Incinta di otto settimane, la mia amica, che io avevo accompagnato ad abortire anni prima, ora stava accompagnando me.
Firmai ed aspettai insieme ad altre cinque donne. Una alla volta, chiesero ad ognuna di noi se questo era ciò che volevamo. Una donna era lì per il sesto aborto. Ricordo di aver pensato: “Come ha potuto continuare a farlo?”
Poi mi fecero un’ecografia. Quando chiesi di vederla mi dissero che non era una buona idea. Dissi che andava bene, volevo solo vedere. L’assistente girò il monitor verso di me e mi mostrò un piccolo punto sullo schermo. Ricordo di aver pensato che “questa cosa” non era proprio niente, non capendo che non mi stava facendo vedere il mio bambino.
Dopo che mi posizionarono sul tavolo, entrò l’abortista. Quando lo guardai, rimasi senza fiato quando capii di conoscerlo. Era un cliente dell’ufficio legale dove lavoravo. Volevo morire proprio lì. La vergogna che mi venne addosso era insopportabile; tuttavia, non mi guardò mai. Non mi esaminò mai, non guardò mai la mia cartella, e non mi fece mai domande.
L’assistente mi diede una maschera con del medicinale e mi sussurrò che dovevo stare completamente ferma. L’abortista disse che avrei sentito un piccolo disagio mentre mi somministrava l’anestetico. Ci fu un dolore molto più grande di un piccolo disagio.
Poi partì l’aspiratore. Quello fu il momento più lungo della mia vita. Mi sembrava di essere scossa violentemente fuori dal tavolo. L’infermiera mi urlò di stare ferma. Scendevano lacrime dal mio volto. Sapevo che stavo facendo il più grande errore della mia vita, ma era troppo tardi. L’unico gesto compassionevole che ricevetti fu dall’assistente che mi dava delle pacche sulla testa e mi diceva di continuare a piangere, che era una cosa buona piangere. Sembrò un’eternità. Quando si sarebbe fermata la macchina? Pensavo veramente di stare per morire.
Dopo l’aborto, sentii il rumore metallico degli strumenti, lo schiocco dei guanti dell’abortista, mi schiaffeggiò sulla coscia dicendo “Buona fortuna” ed uscì senza mai guardarmi. Fui sollevata perché provavo vergogna, ma comprendo ora quanto fu freddo ed irrispettoso e che non ci fu nessun rapporto medico-paziente.
Fui condotta in una stanza con poltrone reclinabili dove le ragazze si rannicchiavano in posizione fetale, piangendo e soffrendo. Quando fui dimessa mi diedero una ricetta per antibiotici e mi dissero di tornare per una visita di controllo. Ricordo di aver pensato: “Non tornerò mai più qui”.
Il mio ragazzo venne per “assicurarsi che stessi bene”. Ero rannicchiata sul divano e non riuscivo neanche a vederlo. La nostra relazione finì poco dopo.
Quella sera cominciai ad indossare una maschera per nascondere la mia vergogna, maschera che durò anni. La vergogna era così forte che non volli compilare la ricetta per gli antibiotici. Non volevo che nessuno sapesse che cosa avevo fatto. Il dolore che soffrivo fu il peggiore dolore fisico e psicologico che abbia mai provato. Mi sentivo ingannata e violentata. Non avevo idea di cosa mi avrebbe fatto l’aborto. Se qualcuno mi avesse solo messa in guardia, il mio bambino ed io avremmo potuto essere salvarci.
Dopo l’aborto cominciai a bere fortemente. Provai la droga e passavo la maggior parte del mio tempo libero nei night club. Ero una buona madre quando avevo bisogno di esserlo, e poi avevo il “mio” tempo quando potevo essere cattiva quanto pensavo di esserlo. Non avevo autostima. Tutte le cose che dicevo che non avrei mai fatto, ora le facevo. Furono pochi i peccati che non commisi, ma la mia famiglia non era al corrente che ci fosse mai stato un problema.
In seguito all’aborto, ebbi periodi di pianto incontrollabile, dormivo troppo, sentivo dolore al petto e facevo fatica a respirare. Il mio medico mi diagnosticò attacchi di panico e depressione, per i quali dovetti prendere delle medicine. Non avevo mai avuto questi problemi prima. Non ho mai parlato a nessun medico del mio aborto.
Se l’aborto non fosse stato legale, non sarei mai andata in quella clinica per aborti quel giorno. Non avrei avuto anni di dolore ed ansia per aver tolto la vita a mio figlio. Non c’è niente che causi più vergogna e dolore alle donne dell’aborto. Una donna se lo porta nel cuore per il resto della vita. L’aborto porta solo dolore, pena e rimorso. Per via delle prove scientifiche che ora abbiamo, per via delle tante testimonianze di donne su quanto l’aborto le abbia ferite, poiché ora sappiamo che non è una cosa buona per le donne e che non è una scelta in realtà, l’aborto non dovrebbe più essere legale.

Lisa Dudley è la direttrice di Outreach per Operation Outcry ed è assistente legale per The Justice Foundation. Parla della sua storia nelle chiese e davanti ai parlamenti di tutta la nazione. Ha tre figli ed una figlia.

http://64304.netministry.com/images/LisaDudley-May2007.pdf
http://www.operationoutcry.org/pages.asp?pageid=27784


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