
Sono grata di non avere ricordi dell’aborto, ma nell’istante in cui udii il corpo indifeso del mio bambino colpire la scatola della spazzatura, SEPPI! Avevo appena ucciso la mia carne ed il mio sangue, una vita innocente. Fui presa dal panico, l’infermiera mi disse in modo insensibile di “calmarmi, tra pochi giorni tutto tornerà alla normalità”.
Fortunata? Normale? Nessuno mi aveva preavvertita delle ripercussioni di un aborto. Era stata una semplice procedura di rimozione di “tessuto”, e allora perché il dolore, l’improvviso senso di vuoto? Mi svegliavo, notte dopo notte, al suono di grida, erano le mie! Ora so che le mie figlie le sentivano dalle loro stanze solo per tirarsi su le coperte sulla testa. Volevo parlare col mio pastore, ma che cosa avrebbe pensato di me? Sedevo settimanalmente nel coro, e tuttavia avevo ucciso il mio bambino. Pensai alla mia migliore amica, ma era cristiana. Avrebbe sentito ripugnanza e sarebbe andata via? E a quelli che sapevo non essere cristiani, ma molto probabilmente mi avrebbero detto di riprendermi! Cercavo di farlo. Sembrava che non ci fosse un’anima con qui parlarne. Tenevo tutto dentro.
Gli incubi continuavano, la depressione si faceva più profonda, e mi trovai distaccata da tutti e da tutto. Pregavo per un’altra possibilità, un altro bambino, ed entro l’anno seguente Dio ci diede un bambino bello e sano. Ero sicura che il senso di colpa fosse dietro di me; Dio mi aveva dato una seconda possibilità. Le grida cessarono, ma l’incubo della mia “scelta” era lontano dall’essere finito. Uscivo dalla stanza quando si parlava di aborto, la gente terrorizzata lo vedeva sul mio volto. Trovavo che la comunità della chiesa era troppo di “santarellini” per me, così smisi. La Chiesa era per gente buona.
L’aborto mi seguì per i seguenti 16 anni, portando isolamento, cattive scelte, divorzio orribilmente brutto, vergogna indicibile, solitudine terribile, e una depressione profonda, così ne negai l’esistenza.
Alla fine, quando il mio bambino di rimpiazzo ebbe 16 anni, Dio, nella sua misericordia, mi fece inginocchiare. Quando la mia colpa cominciò a venire alla superficie, mentre ero al lavoro un giorno, dissi che stavo male ed andai a casa. Non ci sono parole per esprimere il profondo buco nero in cui mi trovavo, nessuna frase per descrivere la profondità della mia disperazione. Dio la mise nel mio cuore per guidarmi direttamente dal mio medico, che mi fece andare di corsa in una stanza privata per esami. Allora feci il primo passo per la guarigione “parlando”. Mi prescrisse un alto dosaggio di Prozac ed un terapeuta cristiano che cominciò a vedermi immediatamente e quasi giornalmente per i successivi tre mesi e mezzo.
Mi ci volle ogni grammo di energia che potevo tirar fuori per dire il mio brutto segreto al nuovo pastore. Giornalmente, rivisitavo il dolore della mia “scelta fortunata” e del “rimedio rapido” che avevo scelto anni prima. Fu allora che riscoprii la sovrabbondante Grazia e Misericordia di Dio persino per me, una che aveva ucciso la sua propria carne!

Kay Painter è nata da un fattore e da sua moglie, in una piccola comunità rurale nei pressi di Portland, nell’Oregon. Ha due figlie ed un figlio. Kay ha lavorato per anni nell’industria floreale, fino a circa tre anni fa, quando ha promesso a Dio che avrebbe parlato della sua esperienza di aborto per aiutare altre donne. Da allora ha sempre parlato pubblicamente. È assistente al locale Centro di Aiuto alla Gravidanza e lavora localmente con i gruppi Generation Life e Idaho Chooses Life.
http://www.operationoutcry.org/pages.asp?pageid=29194
0 commenti:
Posta un commento