Un’amniocentesi ha rovinato la mia vita

2012-01-01

Questo caso avvenuto nel Regno Unito non è sicuramente un caso isolato, e purtroppo anche in Italia sono spesso i medici a prospettare l’aborto come unica ‘terapia’ nei confronti di un bambino con disabilità...


Un’amniocentesi ha rovinato la mia vita.
Spinta ad un aborto che rimpiange amaramente. Il matrimonio distrutto. Come il dilemma di fronte ad una diagnosi di sindrome di Down ha fatto a pezzi una famiglia.


di Alison Smith Squire (27/10/2011)

Ogni mattina, quando si sveglia, il primo pensiero di Marie Ideson va ad una bambina di nome Lillie. Oggi, se fosse viva, Lillie avrebbe sei anni.
E anche se Lillie avrebbe avuto la sindrome di Down, Marie è sicuro di una cosa: «Nonostante qualsiasi disabilità, mia figlia sarebbe stata incredibilmente ben amata. E qualunque fosse il suo futuro, ci sarei sempre stata per lei».
Eppure, quando lei era incinta di Lillie di un po’ più di 16 settimane, ed essendole stato detto dai medici che i test mostravano che la sua tanto desiderata figlia aveva la sindrome di Down, Marie ha fatto qualcosa che la tormenta ancora e a cui attribuisce la causa della rottura del suo matrimonio: si sottopose all’aborto [nell’articolo viene quasi sempre usata la parola ‘termination’ per indicare l’aborto].
Marie Ideson
«Col senno di poi, sono stato forzata ad abortire» – dice Marie, 46 anni, medico e direttrice di una clinica – «vorrei solo poter tornare indietro. Penso ogni giorno alla figlia che non ho mai avuto. La rimpiangerò sempre».
Le statistiche mostrano che Marie è ben lungi dall’essere l’unica donna ad abortire il suo bambino per via della sindrome di Down.
Infatti, il numero di ‘terminazioni’ per questa condizione è più che triplicato negli ultimi 20 anni. In Inghilterra e Galles vengono abortiti ogni anno circa 1.100 feti con questa condizione.
Una ricerca del 2009 del Queen Mary, Università di Londra, ha trovato che su dieci donne che hanno in grembo un bambino con sindrome di Down, nove decidono di abortire.
Ma, mentre nessuno dubita che, per alcune, l’aborto sia l’unica opzione praticabile [mi sia consentito di dubitare, grazie!], quante tra queste centinaia di donne sono state vittime di costrizioni da parte di medici professionisti nel porre fine alla loro gravidanza?
Marie non ha dubbi su ciò che le è successo. «Mio marito Allan ed io eravamo seduti e un’infermiera ci disse, senza mezzi termini, che il nostro bambino aveva la sindrome di Down.»
«Quando ho detto che volevo tenere il bambino, mi è stato detto che poteva nascere avendo necessità di chirurgia d’urgenza al cuore e che hanno problemi intestinali e di tono muscolare, sempre se fosse sopravvissuto.»
«Mai nessuno ci disse che avremmo potuto tenere il nostro bambino. La interruzione [corsivo mio, nell’originale inglese ‘termination’] è stata presentata come l’unica strada possibile.»
Non solo, Marie pensa anche che la facevano sentire in colpa perché voleva portare avanti la gravidanza.«Un’infermiera disse che non abortire il mio bambino l’avrebbe fatto soffrire, e che sarebbe diventato solo un peso per la società se avessi proseguito» – dice Marie – «Mi disse anche: “Il novantanove per cento delle donne nella tua situazione non vorrebbe il bambino”».
Marie, del North Yorkshire, quando rimase incinta di Lillie aveva quarant’anni ed aveva due gemelli ed una figlia avuti in un precedente matrimonio, ed altri due figli e un’altra figlia avuti da Allan, di cinquant’anni.
«Anche se la vita era caotica nel cercare di conciliare il mio lavoro in un frequentato studio medico con i figli, sia Allan che io volevamo una grande famiglia, così fummo contentissimi quando scoprimmo che stavo aspettando un altro figlio», dice.
Anche se aveva quarant’anni, la gravidanza procedeva normalmente, e non vi era nulla che facesse pensare a qualcosa di storto fino a quando Marie ricevette i risultati di un’analisi del sangue che mostrava che aveva una probabilità su 28 di avere un bambino con la sindrome di Down.
Così, a causa della sua età, i medici le suggerirono di effettuare un’amniocentesi, un test in cui viene inserito un ago nell’utero per estrarre del liquido amniotico.
Questo liquido contiene alcune delle cellule del bambino, che vengono poi analizzate. Se un bambino ha la sindrome di Down, il test rivelerà un cromosoma in più.
«Il medico ci spiegò che il test comportava un rischio di aborto spontaneo di meno dell’1%, che però fu minimizzato come molto raro. Allan ed io ne parlammo, così che se avessimo avuto un bambino con disabilità saremmo stati preparati. Decidemmo di andare avanti».
Marie col marito Allan e la figlia Laura

Comunque, avendo già dato alla luce sei figli sani, Marie rimase sconvolta quando, quattro giorni dopo il test, ricevette una chiamata dall’ospedale.
«Una donna disse: “Mi dispiace comunicarvi che il vostro bambino ha la sindrome di Down”. È stato devastante.»
«Allan era al lavoro ed io scoppiai in lacrime. Il mio primo pensiero fu: “Come lo affronteremo?”. Non fu: “Non posso avere questo bambino”».
«Quando Allan tornò a casa, gli diedi la notizia e gli dissi che volevo tenere il bambino, e, anche se sconvolto, è stato d’accordo e anche lui voleva tenerlo».
La mattina seguente, la coppia si recò all’ospedale per parlare delle diverse possibilità con i medici. Non pensavano minimamente che li avrebbero convinti ad abortire il bambino.
«Naturalmente, eravamo disperatamente sconvolti – col senno di poi ero sotto shock – ma credevamo che l’ospedale fosse in grado di offrirci sostegno e rassicurarci che, nonostante la diagnosi, con le ultime terapie mediche il nostro bambino sarebbe stato bene» – dice Marie.
Tuttavia, Marie dice che invece di discutere le questioni, il medico e un’infermiera le proposero immediatamente di interrompere la gravidanza.
«Questo ci ha distrutto. Prima dell’aborto eravamo una coppia davvero felice, ma ora, riusciamo a mala pena a comunicare».
Marie aggiunge: «Allan ed io eravamo entrambi shockati. Allan era preoccupato che ci potesse essere un errore, ma lo specialista disse che il test era accurato al 100% e che aspettare mi avrebbe solo fatto andare avanti un’altra settimana e abortire sarebbe stato più difficile. L’infermiera disse: “Perché avete fatto il test se non volete abortire?”»
«Ma io le dissi che volevamo solo essere preparati alla possibilità di avere un figlio disabile. Quando dissi che volevo tenere il mio bambino, mi hanno fatto sentire come se stessi facendo soffrire tutti. Tenerlo sarebbe stato un peso per gli altri nostri figli, disse, soprattutto se, come sosteneva lei, il bambino avrebbe avuto probabilmente bisogno di molte operazioni per tutta la vita.»
«Avevamo portato i bambini con noi e venivano accuditi in un’altra stanza, ma nel momento in cui un’altra infermiera tornò con loro, fui convinta da un medico e da un’infermiera del fatto che tenere questo bambino sarebbe stato anche come mettere un peso sulle spalle dei miei figli esistenti».
«Li ho guardati e ho pensato che il personale medico doveva aver ragione. In quel momento, ho deciso di andare avanti e di interrompere la gravidanza.»
 Come le suggerì il suo medico, Marie prese una pillola per cominciare il suo aborto quel giorno.
«Appena ingoiata la compressa mi sentii intorpidita. Non era come avevo immaginato questa interruzione di gravidanza ma, guardando indietro, ero sotto shock, avevo messo il pilota automatico».
«Ricordo di aver detto ad Allan: “Voglio solo tenere il mio bambino”. Ma anche lui aveva subito il lavaggio del cervello. Continuava a dire: “Ma loro devono pensare che il bambino sia davvero messo male, Marie, questa è la decisione migliore”».
Tre giorni dopo tornò per completare l’interruzione, e dopo aver partorito la piccola Lillie, Marie capì di aver fatto la cosa sbagliata.
«Era così piccola, ma per il resto perfetta. Sono scoppiata in singhiozzi profondi e incontrollabili. Che avevo fatto? Ho capito in quel momento che ero stato vittima di forti pressioni e spinta a prendere quella prima pillola. Mi sono sentito sopraffatto dalla rabbia».
«Avrebbero dovuto mandarmi a casa per pensare a tutte le possibilità, e avrebbero dovuto darmi consigli più neutrali sull’avere un bambino Down».
«Avrebbero dovuto far presente il fatto che avrei potuto proseguire la gravidanza, che potevo anche scegliere di tenere il mio bambino e che con i progressi della medicina la maggior parte dei bambini Down possono avere una vita felice».
«Invece, nel momento in cui tornai a casa avevo già preso una pillola, il primo passo per abortire, e non si poteva più tornare indietro.»
Nel giro di due settimane Marie era sotto antidepressivi.
«Mi sentivo così colpevole e così sconvolta. Anche quando l’autopsia aveva confermato che Lillie era Down, sentii che avrei dovuto tenerla. E se lei non fosse sopravvissuta, sarei stata più felice a lasciare che la natura facesse il suo corso».
L’aborto è diventato un problema enorme tra Marie e Allan.
«Non riuscivo a smettere di piangere» – dice – «ma, peggio ancora, ho cominciato ad avercela con Allan perché l’avevo fatto. Sapevo che anche lui era sconvolto e voleva tenere il bambino, ma ero arrabbiata perché aveva permesso al personale di mettermi fretta a sbarazzarmi di lei. Continuavo a ripensare a quando gli avevo detto che volevo che lei avesse una possibilità di vivere, e lui aveva insistito che noi seguissimo il consiglio dei medici».
«Perché non si era opposto allo specialista? Perché non gli aveva detto che volevamo tenere il bambino?»
«La sensazione che egli non mi avesse sostenuto quando avevo maggiormente bisogno di lui degenerò come un cancro tra noi».
«Allan insisteva nel dire di sentire che anche lui era stato forzato come me. Ma da allora in poi, ho notato altre cose banali in cui non mi sosteneva. E col passare dei mesi, abbiamo cominciato a discutere maggiormente sull’aborto».
«Col senno di poi, ci ha distrutto. Prima dell’aborto eravamo veramente una coppia felice, ma ora riuscivamo a malapena a comunicare.»
La coppia ha cercato di rimettere in carreggiata il loro rapporto avendo Reuben, che ora ha quattro anni.
«Sapevo che un altro bambino non avrebbe mai preso il posto di Lillie, ma credevo che avere un altro bambino insieme avrebbe ricucito il nostro rapporto e di che ci potessimo mettere alle spalle ciò era successo. Allo stesso tempo, speravo che avrebbe riportato l’intimità che una volta c’era tra noi».
«Il colpo di grazia arrivò quando avevo le doglie con Reuben. L’esperienza terribile dell’aborto di Lillie riemerse».
«Ero a casa e le ostetriche mi dicevano che dovevo andare in ospedale, ma dissi loro che non potevo tornare dove avevo abortito Lillie».
«Allan cercò di convincermi ad andare e alla fine non ebbi scelta. Sentivo che, ancora una volta, non aveva preso le mie difese nel momento in cui ero più vulnerabile».
«Sapevo nel profondo che Allan non aveva nessuna colpa, ma nel mio cuore ancora non riuscivo a perdonarlo».
«Può sembrare irragionevole, ma io incolpavo lui dell’aborto quanto i medici. Sapeva che ero contro l’aborto e che volevo tenere il mio bambino».
«Ero arrabbiata perché lui mi aveva permesso di prendere la pillola e non mi aveva solo portato a casa. Ho creduto che avesse preso le parti dello specialista. E quando è arrivato Reuben, ho anche capito che nulla avrebbe riportato indietro Lillie e un nuovo bambino non avrebbe risolto i problemi del nostro matrimonio».
Quando Reuben aveva due anni la coppia si divise. Marie, che non aveva mai firmato un modulo di consenso per l’aborto, ha speso migliaia di sterline in spese legali nel tentativo di ottenere le scuse dall’ospedale, anche se alla fine è stata costretta ad abbandonare l’azione legale per via della spesa.
Della rottura del suo matrimonio dice: «Non riuscivo a superare quello che era successo, nessuno di noi riusciva a rappacificarsene. Il trauma era sempre lì tra Allan e me. La frattura che aveva causato non riusciva a guarire».
«I miei figli più grandi ora hanno 25 anni. Quando ero incinta di loro, sentivo parlare di donne che avevano avuto bambini con sindrome di Down. Ma quando ho avuto Ruben, non ne sentivo più parlare.
Oggi non vedo mai mamme con bambini Down. Non posso fare a meno di pensare che altre donne devono avere abortito ma non lo volevano. Non posso credere che tutti coloro che scoprono che il bambino ha la sindrome di Down scelgano volontariamente di abortirlo»

Mail online: Having an amnio test ruined my life


8 commenti:

Anonimo ha detto...

Capisco il dolore di questa
Donna. Ma conosco molto bene l'altra faccia della medaglia. Il piccolo angelo, il mio nipotino, che ho dovuto salutare prima di conoscere, non potrà che premiarci e ringraziarci per avergli risparmiato tante frustrazioni e sofferenze e per esserci fatto carico noi e in primis i suoi genitori di ansie, inquietudini e sensi di colpa. È l'atto d'amore e di coraggio più forte che una coppia possa fare. Il moralismo e i giudizi in questa sede non esistono.

agapetòs ha detto...

Se una coppia vuole che non ci siano sofferenze nella vita dei propri figli ha una strada ben precisa: la sterilizzazione.
Ma una volta che il figlio c'è, ucciderlo in grembo o ucciderlo a 1 mese, 1 anno o 10 anni ha lo stesso identico valore morale.
O forse ucciderlo in grembo è più comodo perché il lavoro sporco lo fanno dei tecnici e non c'è neanche bisogno di guardare il corpo del proprio figlio?
Come ha scritto una donna che si è amaramente pentita di aver abortito, «Per amore non si uccide, per amore si ama.»

Anonimo ha detto...

l'opera di convincimento del personale dell'ospedale è stata agghiacciante e scorretta nei modi e nei contenuti. Ad esempio L'errore nel dichiarare che un bambino dawn o disabile comporta disagio anche per gli altri fratelli è comprovato dal fatto che avere un disabile in casa porta a prendere contatto delle mille diversità che ci sono nel mondo e a non considerarle come tali. La paura del diverso nasce dall'ignoranza (non conoscenza) dello stesso.
Vorrei poi far conoscere Marco a chi con molta facilità pensa che un bambino abortito ci ringrazia per averlo terminato. Marco è un ragazzo di 18 anni su una sedia a rotelle con grave deficit fisico, problemi di salute e (tra l'altro) ha perso entrambi i genitori in un incidente. Marco ha un QI quasi nella norma (per la serie è perfettamente coscio di ciò che è la sua vita). Marco ride sempre, studia, va su facebook e ammira i fondoschiena delle belle donne.
Marco non ha mai pensato "magari non fossi mai nato".
La faciloneria con cui si liquida una terminazione è sconcertante. Macché moralismi ??? Qui si tratta di un cuore che batte, di un "essere" che si muove in una pancia. Atto di amore ??? Coraggio ??? Bene dice chi - in un altro blog - scegliendo l'interruzione si è autodefinito codardo perché non voleva andare incontro a problemi e al giudizio e alla superficialità della società che fa il casting delle nascite (come al grande fratello dove più passano le edizioni e più i concorrenti sono belli e televisivi).
La verità stà nella cinica franchezza della nostra ginecologa che ci ha detto: "io non sono portata al sacrificio, ho una sola vita e cerco di viverla nel modo più sereno possibile e pertanto se avessi un figlio con problemi abortirei".
Poi possiamo trovare tutte le scuse che vogliamo ma il punto è quello.

Anonimo ha detto...

Io però non capisco una cosa: esercitare i diritti può essere doloroso. Tanta gente si pente, ad esempio, di essersi sposata. Magari si è sposata sotto pressione, ma la responsabilità è individuale. Questa signora era un medico di quarant'anni e non è stata in grado di resistere al consiglio di chi riteneva giusto che abortisse? Certo, i medici non dovrebbero dare consigli con contenuto etico, ma solo informazioni. Ma faccio fatica a credere che la signora, e le tante "pentite" come lei non abbiamo davvero avuto modo di scegliere. Tutti possiamo scegliere, e poi dobbiamo vivere con le scelte che abbiamo fatto. E non combattere perchè altri non abbiamo la possibilità di scegliere solo perchè noi crediamo di avere fatto la scelta sbagliata.

agapetòs ha detto...

Caro anonimo, il primo diritto è quello alla vita, ed è questo diritto che viene calpestato quando un figlio viene soppresso con l'aborto.

Anonimo ha detto...

Io ho un figlio con sindrome di Down di 3 anni. Abbiamo passato un brutto periodo quando abbiamo scoperto della sua condizione, ma adesso vederlo giocare con i suoi amichetti, con la sorella maggiore, vederlo imparare ogni giorno un sacco di cose nuove, vederlo amare la vita mi fa dire in tutta sincerità...che è una delle cose più belle che ci siano potute succedere...e non potrei più immaginare la nostra vita senza di lui!

Anonimo ha detto...

Ho appena ritirato un bitest che ha avuto un brutto risultato. Il dottore ci ha consigliato di fare un'amniocentesi a cui mi sono fermamente opposta. La tua testimonianza sopra mi da grande coraggio e conferma le convinzioni mie e di mio marito. Ameremo nostro figlio in qualsiasi modo e in qualsiasi condizione nascerà. È un nostro dovere oltre che a un'incredibile privilegio. E poi considero il concetto di normalità in maniera molto relativa. Normale significa migliore? Avrà noi e un fratello che lo aiuteranno ad affrontare qualsiasi problema o pregiudizio. L'amore della mia famiglia potrebbe farmi affrontare qualsiasi cosa....ti ribadisco ancora la mia immensa ammirazione. Michela

Anonimo ha detto...

Questa è la bella storia che ci si racconta per placare il senso di colpa.....
Forse sarebbe il caso di chiedere al tanti bimbi e adulti down che per fortuna sono sopravvissuti alle loro madri (!!) se sono felici di essere al mondo oppure no.